mercoledì 30 novembre 2011

Zucche... di Albenga

Caddy agricolo, ovvero la carriola

Circa un mese fa, chi aveva ben coltivato l'orto durante l'estate se ne poteva tornare a casa con la provvista invernale di zucche. Derivano dalla varietà trombette di Albenga, di cui ne parlai qui, e non sono certo famose come le zucche coltivate nel mantovano, che sono tonde, grosse, arancione intenso e che danno popolarità a diversi piatti, primo tra tutti i tortelli.


Le nostre sono molto più discrete. E particolari. Infatti la loro forma allungata esce assai dalla norma; il loro colore non è molto intenso e i piatti tipici non sono affatto popolari come i tortelli. Nella tradizione, il suo utilizzo per eccellenza era (ed è) quale ingrediente indispensabile per i barbagiùai, un fagottino di pasta fritto il cui ripieno è composto, oltre che dalla zucca, da riso, bietole, aglio, prezzemolo, brussu, uova e maggiorana. Nella foto le zucche "abbracciano" delle splendide mele, che anche loro contribuiscono alla scorta di beni durevoli da consumare durante l'inverno.


Sono belle. Hanno delle forme molto varie. Una volta iniziate vanno consumate assai rapidamente: non si capisce come mai durano così tanto prima di tagliarle e poi marciscono in men che non si dica. La uso molto volentieri per fare il risotto di zucca: i barbagiùai sono un piatto assai elaborato, mentre un risottino è presto fatto...
Devo dar merito per questa carriolata di zucche a mia cugina-madrina Giuliana di Sasso, che riesce sempre ad ottenere dei risultati strepitosi in ogni attività che intraprende e che non sono di certo poche!


martedì 29 novembre 2011

Novembre di Flaubert


"Sentivo freddo e avevo quasi paura. Questa stagione è triste; si direbbe che la vita se ne vada col sole, un brivido serpeggia nel cuore come sulla pelle, i rumori si spengono, gli orizzonti impallidiscono, tutto s’addormenta o muore. Il sole gettava un ultimo addio dietro le colline che già svanivano. Ho assaporato a lungo la mia perduta vita; ho pensato con gioia che la giovinezza era trascorsa; è una gioia, infatti sentire il freddo che ci attanaglia il cuore e poter dire, toccandolo con la mano come un focolare che ancora fumi: non arde più. Ho rievocato lentamente tutte le cose della mia vita, idee, passioni, giorni di slancio, giorni di lutto, palpiti di speranza, spasimi di angoscia. Ho rivisto tutto, come un uomo che visiti le catacombe e guardi, lentamente, dalle due parti, i morti allineati dietro i morti. Se conto gli anni, però, non sono nato da molto tempo, ma i miei ricordi sono così numerosi che mi opprimono, come i vecchi sono oppressi dal peso di tutti i giorni della loro vita; mi sembra, talvolta, di aver vissuto per secoli e che il mio essere racchiuda i relitti di mille esistenze trascorse. Perché? ho amato? ho odiato? ho cercato qualche cosa? Ne dubito ancora; ho vissuto fuori di ogni movimento, di ogni azione, senza affannarmi per la gloria, né per il piacere, né per la scienza o per il denaro. E, del resto, il cuore umano non è forse un’immensa solitudine dove nessuno penetra? le passioni che lo abitano sono come i viaggiatori del Sahara, vi muoiono soffocati e i loro gridi non sono mai uditi oltre i confini".

Da Novembre di Gustave Flaubert (1821 - 1880)


domenica 27 novembre 2011

Racconti d'autore


La serie di libri "Racconti d'autore" in vendita ogni domenica con Il sole 24ore mi colpisce nel segno: mi piacciono tantissimo i racconti e la possibilità di spaziare sui più svariati autori si sta rivelando cosa assai gradita.
Cogliere i significati tramite la poca scrittura contenuta in un racconto alimenta quell'amore per la sintesi e per la rapidità di comprensione di ciò che lo scrittore sottende nella brevità. In un epoca, poi, in cui "non si ha più tempo", esso diventa lo strumento per mantenere una relazione letteraria in giusta misura. E' mia abitudine, ogni tanto, leggere qualche racconto di Anton Cechov, che considero l'autore russo che preferisco. Non saprei descrivere come egli "mi prenda", ma avverto una commistione molto forte.
Magicamente mi sono imbattuta in John Cheever e ho sorbito con trasporto i suoi tre racconti: non lo conoscevo e la scoperta mi ha entusiasmato. Egli ha l’arte di conferire un’alta magnificenza emotiva e spirituale ai lati sinistri della vita, ai particolari, a quelle sfaccettature su cui difficilmente si sofferma la narrativa tradizionale. La narrativa di Cheever è l’epopea dei sobborghi, l’esaltazione della piccola vita di provincia, delle esistenze che non sembrano incidere nella storia di un paese.
Non conoscendolo affatto, ho poi naturalmente cercato informazioni su wikipedia e, tra le prime cose, leggo: "John Cheever è stato chiamato il Cechov della periferia".
Una quadratura del cerchio.


sabato 26 novembre 2011

Il corbezzolo

Il corbezzolo (l'arbùssìn)
foto Marlor (solo questa, e si vede!)

Nei territori dei paesi di mezzacosta l'estensione del bosco è assai limitata rispetto a quelli più interni. Trattasi della tipica macchia mediterranea, con molti arbusti e poche piante di alto fusto. Una sorta di boscaglia, con la quale si vive un rapporto diverso dal bosco vero e proprio, quasi un mordi e fuggi, e dove è pressoché impossibile perdervisi dentro.
C'è chi lo vive per la caccia, chi per i pochi funghi che vi nascono, chi per raccogliere arbusti destinati ai mercati floricoli, chi per approvvigionarsi di aromatiche e chi per assaporarne i frutti.


La parte del leone, in questi boschi assai vicini al mare, la fa il corbezzolo. Ad autunno inoltrato inizia la maturazione di questo particolare frutto "spigoloso" che, degustato ben maturo, ha il pregio di non essere troppo dolce e regala quella netta sensazione di relazione col bosco. Ci sono frutti in abbondanza e grappoli di fiori bianchi che preannunciano quanto sarà copiosa la produzione del prossimo anno.


Mi ritrovo a mangiar corbezzoli sempre senza premeditazione. Un tempo andavo nel bosco in questo periodo per provvedere alla chiusura di una linea idrica, ma da alcuni anni non è più compito mio. Ieri sono andata a fare un giro spassionato in regione Pace degli occhi, toponimo da cui si deduce quale splendido panorama si possa godere, ed ecco che trovo gli ultimi corbezzoli della stagione, giusto in tempo per assolvere al rito.
Con i frutti (antidiarroici) si possono fare marmellate e liquori; i fiori sono molto ambiti dalle api per dar vita ad un pregiato miele; il legno è un ottimo combustibile; le foglie sono usate per decotti diuretici e, un tempo, per la concia delle pelli, visto il loro alto tasso di tannino; le piante hanno ottime caratteristiche ornamentali.
Il corbezzolo è diffusissimo nelle Marche, ma anche noi Liguri, che non ci facciamo mancare niente, fino ad 800 metri di altezza ne disponiamo a sufficienza. E gratis.


giovedì 24 novembre 2011

Costi e ricavi

Un litro d'olio di oliva taggiasca
(foto Marco Lorenzi - Marlor)

Eh sì, il mio amico Marlor spesso mi manda un sms di primo mattino, talvolta segnalandomi Gramellini, talaltra per comunicarmi una sua riflessione. Mi raggiunge molto spesso anche via mail, inviando splendide fotografie, segnalando passi di letture o link di articoli interessanti: insomma un amico prezioso, costantemente presente da buon ex compagno di scuola quale è.
Ieri mi giunge una mail con cui mi comunica di aver finito la frangitura delle olive, di essere soddisfatto delle rese e di aver ultimato il lavoro e aggiunge:
"P.s.: Certo che se si producesse per commercio, mettendo in conto fatica per raccolta, potatura e cura piante in genere, insetticidi, spese di trasporto e frantoio, ammortamento reti e macchina elettrica (neo acquisto) per abbacchiatura, eventuale spesa manodopera............ 25 € al litro forse sarebbero pochi!"
Avevo già fatto da tempo questo calcolo, giungendo alla stessa conclusione. Alla vendita, però, il prezzo corrente € 10-12 al litro, dandosi decisamente da fare individualmente per piazzarlo, perché un "mercato" vero e proprio dell'olio non esiste.
Il contadino si consola dicendo: "Sì, però mangio il mio olio, so cosa mangio, me lo sono prodotto, che soddisfazione" e aggiunge anche un pò di poesia, perché, stando nella natura, è a portata di mano.
Purtroppo non siamo più contadini, ma piccoli imprenditori, mitragliati dal raffronto tra costi e ricavi, la cui differenza è sempre più in perdita. Preoccupati per i nostri figli, ma anche per noi stessi, cerchiamo di stringere i denti, andare avanti e di arrangiarci, forse perché altre categorie se la passano molto peggio di noi.
E pensare che anche per l'olio qualche idea furba ci sarebbe...


mercoledì 23 novembre 2011

Olive e mani

Donna di Perinaldo
(foto di Renato Gianni Cane)

Le fotografie del passato sono sempre suggestive. E' un passato recente, visto che erano già in uso le reti di plastica, ma erano anche le prime che furono adottate: quelle rigide e di colore bianco. La donna ha il breculùn, cioè una sacca di stoffa legata ai fianchi nella quale riporre le olive raccolte qua e là durante l'abbacchiatura.

Uomo di Perinaldo che stende le olive mondate
(foto di Renato Gianni Cane)

Le mani stendono le olive mondate grazie alla chitarra, che è stato il secondo strumento utilizzato per togliere le foglie dal frutto. Un tempo l'operazione era molto più complessa e consisteva nel lanciare con un piatto le olive in lontananza contro un telo: le foglie, essendo più leggere, si fermavano prima, ma era un metodo faticoso e lungo. Per oltre cinquant'anni si è usato e si sta ancora usando la chitarra, scivolo in legno con corde di ferro su cui far scorrere le olive liberandole dalle foglie, che cadono tra una corda e l'altra. Ultimo ritrovato è la defogliatrice elettrica che, inutile dirlo, una volta provata non si torna più indietro.

Mani di Paolo Veziano
(foto di Alberto Cane)

Le mani sollevano una manciata di raccolto: c'è sempre un fascino nel gesto, ora come allora. Durante la raccolta ho provato a fare dei confronti con il tempo che fu e l'oggi, per capirne le differenze, pregi e difetti. Anche durante lo svolgimento di questo lavoro i ritmi sono stressanti, non c'è più di sicuro la calma di un tempo, la fatica è rimasta, anche se diversa, i risultati, in termini di qualità e pulizia, sono senz'altro migliori al giorno d'oggi.

Mani di mia mamma, Iole Mazzini

Lavoro collettivo, come sempre: dai bambini agli anziani tutti si partecipava alla raccolta delle olive. I giovani, oggigiorno, sono latitanti: studiano, non lavorano più in campagna, sono stati abituati al distacco dalla terra. Ma gli anziani restano: anche se quasi novantenni, non mancano di dare il loro sostanziale contributo, raccogliendo al loro arén (ritmo) le olive cadute a terra ma sane e liberando e lunsurae (mucchi nei teli) dai rametti più grossi.

Mani di mia mamma, Iole Mazzini...

...mani che non tralasciano la solita oliva che rimane attaccata al rametto da scartare, nonostante l'artrite deformante; mani che hanno lavorato una vita con volontà e spirito di dedizione a ciò che quell'attività contadina richiedeva; mani che ancora oggi ci indicano una strada che non siamo più capaci di percorrere nello stesso modo, perché inquinati da mille deviazioni; mani che non hanno mai preteso nulla, ma solamente dato.
Mani che devono vivere con 500 euro al mese di pensione dopo essere state le vere protagoniste della costruzione di questa Italia indegna.


lunedì 21 novembre 2011

Le folate di Vento largo


"(...) Da noi sta morendo l'antica civiltà greca e fenicia dell'ulivo, e siamo in un interregno; non si sa quale civiltà verrà fuori dalla fine di quella dell'ulivo, cui poi è anche legata tutta la civiltà mediterranea: perché l'ulivo, visto in una certa luce, non sembra nemmeno un albero, ma un sogno d'albero, un'incarnazione di Minerva.
(...) Da noi l'ora che viaggia sola coi suoi diamanti estremi è l'ora in cui la luce si forma, in cui la luce discende. E' l'ora del sommovimento della vita, del ricorso alla nostalgia, non attraverso una memoria estetica, ma attraverso una memoria etica: quella che può servire per nutrire la vita, per orientarsi nel presente nel cercare delle radici antiche, per affrontare la nuova avventure della vita. Insomma, mettere in scena un uomo che sappia di antico e di nuovo, ciò che un uomo solo può delle due cose sapere.
In Liguria la letteratura è sempre stata metafisica: cioè il paesaggio è sempre servito come nucleo di una forte meditazione etico-morale, che a volte diventa metafisica, a volte resta puramente etica, procedimento analogo a quello della letteratura provenzale.
(...) Che cosa si può fare, adesso, se non un romanzo che gioca tutto se stesso in quegli spazi che si aprono, in quei crepacci dell'animo umano in cui si intravvede un mondo perduto e nello stesso tempo un mondo che nasce; se non mettere in scena questa lacerazione, questo passaggio, in quest'ora che sta tra la luce e la tenebra, la calma e il vento, insomma; se non affidarsi ad una percezione quanto mai difficile e sospesa, come difficile e sospesa la condizione umana.
(...) Date le premesse, le assunzioni di visione del mondo, il destino umano non poteva compiersi in una vicenda concreta, perché la vicenda vera dell'uomo è quella che si trasogna, quella che si smarrisce, che entra nei cammini che non portano da nessuna parte se non nelle pulsioni stesse del cuore."

Trascrizione dell'intervento di Biamonti alla Presentazione autori e opere finalisti, Premio Nazionale dei Giovani "Costantino Pavan" di San Donà di Piave (Ve) 14 novembre 1992

Francesco Biamonti, Scritti e parlati, Einaudi editore spa, Torino 2008, pag 78 e segg.


venerdì 18 novembre 2011

Olive e olio 2011

Sulle piante

Raccolte e mondate



Al frantoio

Piante di caco negli orti vicino al frantoio



Grappolini sulla grata

La macina

La pasta

Arriva l'olio!

La prima bottiglia

Ottima qualità, soddisfacente produzione, un rito sempre appagante.
E tanta fatica.

Ne parlo ogni anno: qui nel 2010 e qui nel 2009


Alla meno peggio


"Un governo di onesti professori borghesi, quasi tutti cattolici, quasi tutti ricchi, guidato da un onesto professore borghese, cattolico e ricco. (In pratica: un governo Prodi, però libero dal ricatto bilaterale di Mastella e di Bertinotti). Ognuno è libero di trarne le conclusioni che crede, e ovviamente ogni critica, in questo clima di unanime consenso, sarà la benvenuta. Ma date retta, prima di aprire il rubinetto dei vostri dubbi fate come ho fatto io ieri, subito dopo avere letto la lista dei ministri: cercate in rete il video "Meno male che Silvio c'è", dura neanche due minuti ma è un sunto fantastico della catastrofe antropologica dalla quale (forse) siamo appena sortiti. Rivederlo e sentirsi miracolati, guariti dalla peste, redenti dalla dannazione è tutt'uno. Il grigio-banca del governo Monti sembra un antidoto alla pacchianeria sgargiante che ci ha sommersi, incanagliti, instupiditi per tanti di quegli anni che quando vediamo passare in televisione, tra gli stucchi di Palazzo, una faccia normale, una persona noiosa, sbarriamo gli occhi per l'incredulità. Per ogni ministro nominato, fate così: cercate di ricordarvi chi era il suo predecessore. Vedrete che in nove casi su dieci il passo in avanti è stato grandioso. A prescindere."

L'amaca di Michele Serra - La Repubblica del 17 novembre 2011


lunedì 14 novembre 2011

Posacenere


Un grafico di Borsa

"Forse, senza saperlo, stiamo combattendo la prima guerra globale del Duemila. Una guerra che non usa più armi, che non bombarda né fa esplodere atomiche, che non provoca morti, ma produce fame, disoccupazione, scontro sociale, impoverimento. Insomma, riduce sul lastrico i perdenti. Le direttive che pervengono dall'UE o dalla Bce assomigliano ai piani strategici di uno Stato Maggiore: far resistere la Grecia ad ogni costo, apprestare immediate difese per le prime linee direttamente sotto attacco che si chiamano Italia e Spagna. E i quotidiani listini delle Borse europee ed extraeuropee e li si attendono con la stessa ansia, con la stessa trepidazione dei Bollettini di guerra di una volta."

Andrea Camilleri

Da Il sole 24 ore del 13/11/2011, inserto Domenica, rubrica Posacenere


sabato 12 novembre 2011

Jean de Pascà u barlétu

Jean de Pascà u barlétu
al secolo Giovanni Guglielmi

Vado raramente a camminare in passeggiata a mare a causa di quell'innata pigrizia all'attività fisica "opzionale", ma l'altra mattina, nell'attesa dell'ora del dentista, non ho trovato di meglio che fare quattro passi. Mentre tornavo ecco che vedo arrivare Jean, personaggio sempre gradevole da incontrare.

Jean u sartu - Jean il sarto

Un vecchio arzillo come molti in buona salute, penserete, ma per Jean va sottolineata una particolarità: il prossimo 2 aprile compirà 100 anni. Ho mezz'oretta di tempo e la voglio sfruttare per chiacchierare con lui. Inizia a raccontarmi un pò della sua vita, durante la quale ha sempre svolto il mestiere di sarto, anche nei 7 anni di vita militare: quando era a 5 km dal fiume Don confezionò anche gli abiti per i tre figli di Vasilij, un calzolaio russo "nemico"...


La giacca che indossa è l'ultima di una serie di tre che si era confezionato per sé: la vita gli ha dato l'opportunità di consumarle tutte! E' di Vallebona, ma ha sempre vissuto a Vallecrosia dopo essersi sposato: la sua mente, lucidissima, parla del paese e della sua gente come se non se ne fosse mai andato. So che è il terzo di tre fratelli: gli chiedo se ha una foto in cui sono tutti assieme per il calendario storico de A Cria e mi risponde di sì, scattata alla festa di San Bernardo di circa 80 anni fa. Nel pomeriggio vado a prenderla. Gli chiedo di sua mamma e mi dice che morì 5 ore dopo la sua nascita; gli ricordo che mia zia Marì era nata nel 1912 come lui e mi risponde che è stata la sua prima fidanzata, prima che i bordigotti che venivano a ballare ai festini gliela portassero via...


Va due volte al giorno a Bordighera a piedi: al mattino passeggia, al pomeriggio va alla bocciofila a giocare a scopa. Percorre circa 6-8 chilometri al giorno a piedi e non usa più la bici perché sua figlia noterebbe troppo se lui è a casa o in giro. Gli ho anche chiesto che cosa si pensa a cent'anni e lui mi ha risposto: "Il passato me lo sono buttato dietro alle spalle, io ci sono ancora e questi anni che pare io abbia non li sento affatto. Mi sa che il tempo non esiste!"
Riprende la sua marcia, lo guarda con tenerezza perchè in lui ho visto molti uomini, non da ultimo mio padre. Uomini che ho conosciuto nelle varie epoche della mia vita, morti da chissà quanti anni, ma lui me li ha riportati tutti davanti, con il senso di fratellanza e di appartenenza alla comunità dove siamo nati.
Mi ha fatto capire che è meraviglioso andare a camminare in passeggiata.


mercoledì 9 novembre 2011

Accadde nel 2006

Sito di mimose invaso dai detriti alluvionali.
Il livello della fascia è quello della strada.

Nel ponente ligure abbiamo avuto due alluvioni importanti nel corso del 2000 e del 2006. Nella mia vallata è stata più grave la seconda, di cui, a memoria d'uomo, non si ricorda nulla di simile. Soltanto verso la seconda metà dell'Ottocento pare che il nonno della memoria interpellata (un ottantenne) raccontasse che fossero arrivate delle pietre in piazza dalle campagne retrostanti il paese.

La mamma guarda allibita

Era il 14 settembre 2006. Nell'arco di 3 ore scarse venne giù il finimondo, anzi il cosiddetto muro d'acqua, espressione che nelle interviste degli alluvionati ricorre spesso e volentieri. Muro d'acqua... io l'ho visto e sono corsa in bagno.

Il livello della fascia di mimose salì di oltre un metro: terra, pietre e qualche ramo. Tengo pulito il ritano e la cosa che più mi ferì fu che i muri a lato della campagna erano tutti in piedi, ma quella furia portò via tutto: pietre e quanta terra servisse per poter passare.

Livello strada = livello fascia

Quando sono arrivata dalla campagna, le ruspe avevano già iniziato a sgomberare la strada dai detriti. L'interpoderale più a valle era crollata ed il traffico non poteva che essere deviato che su questa via. Quelle pietre, quella terra erano state maneggiate dall'uomo, messe al loro posto, ancora con i criteri saggi della regimentazione delle acque e quei ritani avevano lasciato scorrere le acque per parecchi decenni senza turbamento alcuno.

A riana (il rio o ritano)

Vedere a riana in questo stato era un dolore. Da dove si era smossa tutta quella massa di roba, dato che è una zona abbastanza curata dal punto di vista delle acque?

A monte della fascia

I detriti si sono fatti strada nella fascia: impensabile, se penso a come era l'assetto del ritano, impensabile che possa essere successa una cosa così.

A riana dopo il passaggio della furia:
muri scomparsi e detriti nelle fasce

C'era sempre tutto pulito. Non c'era un ramo, né erbacce, né arbusti. Allora si comincia a pensare che è un evento eccezionale, ma anche che non piove più come un tempo. Per più di un secolo neanche una volta, in 6 anni due volte... e poi telegiornali che in ogni periodo dell'anno parlano sempre di maltempo a livelli feroci.

Il ritano, che divide due siti di mimosa,
invaso inverosimilmente

Col cuore gonfio lascio il mio appezzamento e mi sposto in un'altra zona, dove lo stupore aumenta esponenzialmente: come ha potuto riempirsi così di detriti u valùn di ursi?



U valùn di ursi
(il vallone degli orsi)

Quelle pietre strappate dalla furia dell'acqua erano al loro posto, posate nei muri a secco, non erano randagie nell'alveo per via dell'abbandono: eppure quell'acqua terrificante le ha scaraventate tutte a valle...

La "vomitata" di detriti de u valùn di ursi

Erano già passate le ruspe per aprire il varco e guardate cosa c'era ancora di detriti...

U valùn de vì

E per concludere un bel crollo di strada, quello che ha comportato la deviazione su quella soprastante. Siamo nelle campagne, le proporzioni sono ridotte rispetto ad una città o nelle zone limitrofe del paese, ma il senso è lo stesso. Non c'è particolarmente edificato, l'abbandono è relativo, non ci sono serre per le coltivazioni: tutto sommato questa zona riflette ancora i vecchi criteri di tenuta, eppure ha subìto una violenza inaudita.
Di responsabilità ne abbiamo tutti e sicuramente l'uomo ne ha anche nel senso dei cambiamenti climatici, ma rimane sempre affrancato al mistero il perché esistano certi fenomeni.


domenica 6 novembre 2011

Blu cobalto del lampescù

Campanile vecchio e nuovo di Vallebona

Per stemperare il grigio e il grigiore di questi giorni di allerta 2 in Liguria, pubblico questa foto scattata una ventina di giorni fa. Quando il giorno è alle spalle e la sera non ancora del tutto distesa, ecco che la luce assume una tonalità intermedia: in questo caso un blu cobalto decisamente particolare. Questo momento della giornata, in dialetto si chiama lampescù, alla lettera chiaroscuro, in italiano crepuscolo. E' un momento bello, che ha dato metaforicamente vita ad una corrente letteraria cui appartenevano coloro che non avevano emozioni particolari da cantare, se non una vaga malinconia, un senso di spegnimento in cui predominavano i toni tenui e smorzati. Ne furono protagonisti Corrado Govoni, Marino Moretti, Aldo Palazzeschi solo per citarne alcuni.
E' insito nell'animo umano il senso della malinconia, ma anche le risorse per alleviarlo: infatti il crepuscolo, in ogni stagione, coincide con l'ora dell'aperitivo!


sabato 5 novembre 2011

La mia terra


Un tempo, quando si parlava della Liguria, si ricorreva ad aggettivi come impervia, mite, difficile, arida, avara, faticosa. Adesso c'è un solo termine che la qualifica: fragile. Questa fragilità era anche prima, vista la morfologia e i terreni calcarei, ma sicuramente l'uomo ha contribuito alla grande. Sono discorsi triti, lo so: speculazione edilizia, abbandono, floricoltura, politiche sbagliate, impermeabilizzazione dei terreni per costruire soprattutto strade. A ciò va aggiunto il cambiamento climatico, perché le piogge a cui assistiamo negli ultimi decenni non sono "normali". Il tutto dà per risultato disastri tremendi e vittime.
Ciò che mi sconsola è che porre rimedio a tutto ciò è abbastanza difficile, se non impossibile. A parole, si sa, si può tutto, ma nella realtà le cose stanno diversamente. Leggevo su Facebook che l'Acropolis di Nizza è costruita sul Paillon, che ogni anno viene debitamente dragato e ripulito, anche se, in certi casi di piena, nulla può l'uomo. Tant'è che in territorio francese, molto simile al nostro, hanno cementificato molto più che da noi, ma in quanto a disastri se ne sente parlare molto meno.
Anche in Liguria siamo italiani.


mercoledì 2 novembre 2011

Autunno spento


Un autunno morto, sofferto, spento. La siccità dei mesi precedenti ha impedito che le foglie si colorassero di rosso, di arancione, di giallo digradanti: sì, alcune sono diventate gialle, ma la maggior parte sono seccate direttamente, senza trascolorire.
C'è nell'aria un sentore di squilibrio a tutti i livelli. Si va da un eccesso all'altro e tutto ciò che sta in mezzo, ciò che è virtuoso come dicevano i Latini, sta perdendo la partita.
Così i colori dell'autunno, così le mezze stagioni, così il ceto medio, così le possibilità di mediare. Non è un bel vivere.