lunedì 31 agosto 2015

GRADINI di Hermann Hesse

La poesia di Hermann Hesse che ho sempre preferito.


Come ogni fior languisce e giovinezza 
cede a vecchiaia, anche la vita in tutti 
i gradi suoi fiorisce, insieme ad ogni 
senno e virtù, né può durare eterna.
Quando la vita chiama, il cuore sia 

pronto a partire ed a ricominciare,
per offrirsi sereno e valoroso 

ad altri, nuovi vincoli e legami.
Ogni inizio contiene una magia
che ci protegge e a vivere ci aiuta.


Dobbiamo attraversare spazi e spazi,
senza fermare in alcun d'essi il piede,
lo spirto universal non vuol legarci,
ma su di grado in grado sollevarci.
Appena ci avvezziamo ad una sede
rischiamo d'infiacchire nell'ignavia:
sol chi e' disposto a muoversi e partire
vince la consuetudine inceppante.


Forse il momento stesso della morte
ci farà andare incontro a nuovi spazi:
della vita il richiamo non ha fine....
Su, cuore mio, congedati e guarisci!



Hermann Hesse (1877 - 1962)


martedì 11 agosto 2015

Ciao Mario

Presentazione del libro a Bordighera:
Paolo Veziano, Mario Genari, io e Gian Paolo Lanteri

Pubblico la postfazione al libro "Le radici di un percorso" per salutare Mario Genari. In quelle poche righe è racchiuso il significato dell'esperienza condivisa con lui e così pure il suo ritratto. A dicembre avrebbe compiuto 94 anni, ma un uomo "senza tempo" non ha età e il dispiacere è grande.


Il 13 giugno 2008 ho compiuto cinquant’anni e ho organizzato un aperitivo per brindare insieme ai miei più cari amici.
Franco Ardissone, annoverato tra questi, mi ha regalato per l’occasione una bellissima penna, ma il regalo vero e proprio è stata la proposta di scrivere un libro raccogliendo le memorie di Mario Genari, per tracciare il percorso compiuto dall’associazionismo e dal cooperativismo nella provincia di Imperia tramite il suo diretto protagonista.
Ho accettato di buon grado, colma di riconoscenza e consapevole di andare incontro ad un’esperienza che senz’altro mi avrebbe arricchita.
E così è stato. Ed è con una certa e viva emozione che dedico queste righe a Mario.
Nei nostri assidui incontri pomeridiani, durati da luglio a dicembre del 2008, ogni giovedì, nella sede Cia di via Parini ad Imperia, ho avuto modo di conoscere una persona della cui straordinarietà sapevo per ciò che mi avevano raccontato, ma che non avevo mai potuto constatare di persona prima di allora.
Seguendo una debita traccia temporale che ci ha accompagnati nel nostro lavoro, vedevo davanti a me un uomo che nel giro di pochi minuti era in grado di ricordare, con assoluta naturalezza, la storia che eravamo chiamati a scrivere: come aprire un «file» e trovare nitidamente, al suo interno, tutto scritto e conservato.
Al di là della capacità di memoria e della sua pacata ricostruzione, ho avuto modo di percorrere un viaggio umano dentro di me di cui, mi auguro, rimanga sempre traccia. Mario mi ha riportato alla vita, alla gente, ai valori, ai territori, ai confronti; mi ha risvegliato da un torpore in cui è facile cadere al giorno d’oggi; mi ha fatto capire quanta forza può avere un essere umano pur rimanendo nella sua modestia e spesso mettendosi in contrasto con tutti coloro che possono anche ostacolargli il percorso.
Ho visto molti uomini, in Mario; ho avuto la possibilità di riconoscere le ragioni di tutti gli oppressi, il bisogno e il diritto di giustizia, l’importanza della semplicità e dell’umiltà, la vanità delle illusioni cui siamo continuamente sollecitati, la sua profondità di uomo.
Non era sicuro che ce l’avremmo fatta, ma come al solito ce l’ha messa tutta: ha tirato fuori la sua vecchia macchina da scrivere e mi ha preparato parecchie parti nei momenti in cui gli riaffioravano alla mente, riuscendo a stupirmi, di volta in volta, per la sua tenacia e operosità.
Sento per lui riconoscenza, gratitudine, rispetto, amore.
Un uomo che mi ha collegato la mente e il cuore.



Un particolare ringraziamento a Marco Lorenzi,
 autore delle fotografie.


mercoledì 5 agosto 2015

L'inganno del lavoro

La fonte originale di questa analisi è qui  
Per non perdere di vista questo bell'articolo, lo posto anche sul mio blog, sperando lo leggano più persone possibile. Sembra lungo, ma cattura l'attenzione e si legge tutto d'un fiato. Cambiare prospettiva nel vedere la realtà è di somma importanza.



La domanda giusta da porci non è come creare lavoro, ma come garantire a tutti la possibilità di vivere dignitosamente utilizzando meno risorse possibile... 

Francesco Gesualdi - Il Fondo Monetario Internazionale ha sentenziato che l'Italia avrà bisogno di 20 anni per tornare ai livelli occupazionali pre-crisi. Ma ci sta prendendo in giro perché sa bene che di lavoro questo sistema non ne creerà più. Semplicemente perché non è il suo obiettivo, non è la sua missione come piace dire a chi vive l'economia come una religione.

La missione di questo sistema è garantire profitto alle imprese e ai suoi azionisti. Quanto al lavoro è solo un costo da contenere e poco importa se dietro al così detto mercato del lavoro ci sono persone in carne e ossa, con una dignità, una vita, dei diritti da salvaguardare. Per il mondo degli affari il lavoro è solo una merce, è del tempo da comprare al prezzo più basso possibile. E poiché la legge di mercato sancisce che il prezzo scende quando c'è più offerta che domanda , per fare scendere il prezzo del lavoro bisogna creare più offerenti lavoro di quanto siano i posti disponibili.

Il capitalismo può essere raccontato come la storia di un sistema che si è organizzato per creare disoccupazione e assicurarsi costantemente lavoro a buon mercato. Fra le strategie utilizzate, c'è prima stata l'estromissione dei contadini dalle terre comuni, poi la sostituzione degli umani con le macchine, infine la globalizzazione. Strategie in continuo cambiamento per ottenere un numero crescente di persone in sovrappiù che tengano basso il prezzo del lavoro. Un progetto definito da Papa Francesco come l"economia dello scarto", e se fino a ieri gli scartati eravamo abituati a vederli nel Sud del mondo, oggi li troviamo sempre più nelle nostre case, a giudicare dalla crescita dei poveri e dei disoccupati.

Fosse onesto, il sistema ci racconterebbe apertamente che l'esclusione fa parte della sua natura. Invece tenta di farci credere che lui, poverino, vorrebbe tanto dare un lavoro a tutti, ma per riuscirci ha bisogno di crescita, perché che volete, il lavoro lo creano le aziende e le aziende assumono solo se vendono di più. Peccato che ogni volta che si creano nuove opportunità di lavoro le aziende preferiscano le macchine alle persone e al tempo della globalizzazione, oltre ad assistere alla guerra fra lavoratori da un capo all'altro del pianeta, si assiste anche alla guerra dei robot contro gli umani. Lo stanno sperimentando anche cinesi da che hanno osato alzare la testa per chiedere migliori condizioni di lavoro.

Ma la bugia più grave rispetto alla crescita è che ormai non è più compatibile con lo stato comatoso raggiunto dal pianeta. E mentre geologi, agronomi, climatologi ci informano che le risorse si stanno riducendo al lumicino e che i rifiuti ci stanno sommergendo facendo cambiare equilibri millenari come il clima, succede che industriali, politici, sindacalisti ed economisti, tutti insieme acclamino la crescita come l'unica via per tirarci fuori dai guai. E noi ci crediamo. Presi da quell'impellente bisogno di lavoro, anche noi corriamo dietro alla leggenda, finendo per sdoppiare la nostra personalità: pro sobrietà in nome dell'ambiente, pro crescita in nome del lavoro.

Prima o poi scopriremo che la schizofrenia non ci porta lontano e che la sobrietà è l'unica strada per garantirci un futuro. Ma la buona notizia è che sobrietà non è sinonimo di vita di stenti né di disoccupazione dilagante. Al contrario è occasione di libertà, sovranità e inclusione. L'importante è convincerci che il lavoro è un falso problema. Nella storia dell'umanità, l'obiettivo non è mai stato il lavoro. L'obiettivo è stato vivere bene nel senso di avere di che mangiare, vestirsi, viaggiare, istruirsi, curarsi. Solo noi, figli del mercato, abbiamo trasformato il lavoro in idolo e non perché siamo impazziti, ma perché viviamo in un sistema che ci offre l'acquisto come unica via per soddisfare i nostri bisogni e ci offre il lavoro salariato come unica via per accedere al denaro utile agli acquisti. Per questo il lavoro è diventato una questione di vita o di morte e in suo nome siamo tutti diventati partigiani della crescita. L'unico modo per uscirne è smettere di concentrarci sul lavoro e concentrarci sulle sicurezze.

La domanda giusta da porci non è come creare lavoro, ma come garantire a tutti la possibilità di vivere dignitosamente utilizzando meno risorse possibile, producendo meno rifiuti possibile e lavorando il meno possibile. La strada è ridurre la dipendenza dal lavoro salariato, in modo da interrompe la schiavitù dalla crescita delle vendite. In altre parole l'alternativa è l'autoproduzione in ambito individuale, per i piccoli bisogni personali e familiari, e in ambito collettivo per i beni e servizi fondamentali che richiedono strutture produttive organizzate.

Quando ciò che ci serve lo potremo ottenere senza denaro grazie al lavoro non retribuito nostro e degli altri, in quel momento il lavoro smetterà di essere un costo e si trasformerà in ricchezza. In quel momento non ci sarà più interesse ad escludere, ma a ottenere la collaborazione di tutti. E se dovesse risultare che siamo troppi, potremo sempre dare una bella sforbiciata all'orario di lavoro con somma soddisfazione di tutti perché con meno lavoro potremo avere lo stesso livello di sicurezze.

Capito che l'inclusione passa attraverso il ridimensionamento del mercato e il rafforzamento della solidarietà collettiva, la prima cosa da fare è arrestare la demolizione di ciò che ci è rimasto di pubblico. Basta con la politica delle privatizzazioni. Basta con il taglio alle spese sociali. Basta con una politica di bilancio che dà priorità al servizio del debito. Sì, invece, a una seria lotta all'evasione e ai paradisi fiscali. Sì a una tassazione progressiva dei redditi e in particolare delle rendite finanziarie. Sì a una ristrutturazione del debito. Sì a una sovranità monetaria al servizio dell'occupazione in ambito pubblico. C'è bisogno di politica nuova, ma potremo trovarla solo se saremo capaci di gettare il pensiero oltre il muro del sistema imperante.


, già allievo di don Milani, è fondatore e coordinatore del Centro Nuovo Modello di Sviluppo di Vecchiano (Pisa), che si propone di ricercare nuove formule economiche capaci di garantire a tutti la soddisfazione dei bisogni fondamentali. Coordinatore di numerose campagne di pressione, è tra i fondatori insieme ad Alex Zanotelli di Rete Lilliput. www.cnms.it


domenica 2 agosto 2015

LAMENTO di Hermann Hesse



Non c'è concesso di essere. Sol fiume 
siamo ed in ogni forma c'inseriamo,
per entro la caverna, il duomo, il lume
la notte, e sempre all'essere aspiriamo.

Per l'uomo, benché assuma una sua forma,
patria e felicità son cose vane,
sempre è in cammino ed ospite di norma,
sede non ha, per lui non cresce pane.

Non sa qual sorte Dio gli abbia provviso,
sente che come argilla lo sballotta,
duttile e muta, senza pianto o riso,
che viene impastata, sì, ma mai cotta.

Oh tramutarsi in pietra un dì! Durare!
Di questo abbiamo eterna nostalgia.
Ma un brivido rimane e diventare
quiete non può sulla nostra via.


Hermann Hesse (1877 - 1962)