sabato 21 novembre 2015

Secondo la profezia



La Liguria crollerà in mare, è certo, i suoi
confini alti al vento di abeti e di agrifogli e le
colline antiche terrazzate, di pinastri, di
ginestre, di ulivi, le rocciose

aeree propaggini del cactus e dell'aloe, interi
parchi di palme e di araucarie, ville
bianchissime, le chiese intatte e quelle già sventrate
dai terremoti: su tutto calerà il silenzio colmo di

fondale. Sul pelo dell'acqua poche rame
di precoce mimosa, dell'errante pitosforo.
Liguria dalle città livide, algose, di gusci, traversate
da squame e da correnti: incrostate

di buio, del buio bagliore attonito
di dopo le catastrofi. Noi soli ci
salveremo, noi che abbiamo imparato a
camminare sull'acqua: sul pelo dell'acqua

poche rame di precoce mimosa
basteranno, il vento soffierà l'Isola Viola
nuova ai nostri occhi, seguiremo la rotta
dell'errante 
pitosforo.


Giuseppe Conte, da L'Oceano e il Ragazzo, 1983


mercoledì 4 novembre 2015

Bun'àrime e àrime perse


Immateriale e invisibile come tutto ciò che riguarda il mondo spirituale, l'àrima, cioè l'anima, era una delle parole che, per diritto o per traverso, entrava maggiormente nel linguaggio dialettale. Sarà stato per via della religione, certamente più praticata di quanto non lo sia ai giorni nostri, e quindi per la fede nell'aldilà, ma parlare di àrima era per i nostri vecchi cosa di ordinaria amministrazione.
Ed è proprio forse dal fatto che, nella vita di un tempo, l'uomo era considerato più spirito che corpo, che è derivato l'uso di dire che un paese era popolato da un certo numero di anime. E, a questo proposito, non è del tutto fuori luogo il riferimento letterario alle "Anime morte" con cui Gogol, nel suo romanzo, indicava i servi della gleba passati a miglio vita. Così, per rimanere in tema di trapassati, in dialetto essi venivano sempre ricordati premettendo loro l'appellativo di bun'àrima, "la buon'anima", espressione che oggi, almeno in italiano, suona piuttosto ironica. Nelle chiese non mancava mai la cascéta de àrime, destinata a raccogliere le offerte dei fedeli da utilizzare per la celebrazione di messe per i defunti.
C'era poi una domenica, la quarta di Quaresima per l'esattezza, chiamata duménega de àrime perché dedicata a particolari funzioni in loro suffragio. A Bordighera, nello stesso periodo dell'anno, si tiene ancora oggi una tradizionale fiera chiamata anch'essa delle àrime. Ma, poi, i discorsi quotidiani erano farciti di anima a più non posso: che viveva a lungo u l'aveva l'àrima düra, chi era in apprensione per qualcosa u stava cun l'àrima apesa e chi gridava disperatamente per chiedere aiuto u ragliava àrime perse. A un rompiscatole si minacciava ina barrà in sce l'àrima oppure si diceva nu stame a rumpe l'àrima.
In un catasto del 1795 si legge di "Una terra detta il Serro delle anime con fichi ed olivi" e, spiccando un salto alquanto acrobatico, come non ricordare che in Spagna si trovano certe locande sulla cui insegna si legge "Venta de las almas?"



Renzo Villa, Dialetto ieri e oggi, Cumpagnia di Ventemigliusi, Pinerolo (To), 1996