sabato 12 gennaio 2019

Da un taccuino di viaggio di Giuseppe Yusuf Conte

Giuseppe Yusuf Conte (1945)

"Ricopiato da un taccuino che tengo in tasca in viaggio:

Io mi ribello, non è giusto:

che al   progressivo arricchimento di pochi protagonisti della finanza globale  sia  proporzionale l’impoverimento di miliardi di esseri umani , tra cui io

che la globalizzazione spazzi via tutto quello che è tradizione, passato, appartenenza, sia sul piano spirituale sia sul piano materiale

che la politica ecologica sia appannaggio della tecnologia , cioè di quello che ha provocato i danni peggiori alla natura, e la natura diventi un fatto di tecnocrati e un business, invece che un oggetto d’amore  e di bellezza per tutti gli uomini del pianeta

che  scompaiono mille mestieri al giorno  e mille negozietti di quartiere, tutto ciò che è umile, concretamente utile, umano

che proliferino i  grandi centri commerciali, mentre scompaiono o si svuotano cattedrali e teatri, rendendo i  nostri tempi sempre più amorfi  e miserabili

che i robot sostituiscano gli esseri umani , deprezzando definitivamente il lavoro, la creatività, la dignità individuale del lavoratore

che le privatizzazioni siano considerate sempre il bene assoluto, e che tutto quello che è pubblico e dunque di tutti vada smantellato

che tecnica, economia, finanza siano considerate  una  triade che deve ineluttabilmente dominare il mondo

che  tutto ciò che appartiene alla sfera dell’anima, del sacro, della bellezza, del mistero  venga spento , e l’uomo sia ridotto a una dimensione materiale e poi a nulla
 
che elettronica, rete, social media governino e scandiscano la vita delle masse, rendendo tutto virtuale , senza corpo, senza verità, senza divinità, senza vera vita

che venga considerato illegittimo usare energie insurrezionali per  abbattere un potere ingiusto

che io debba  sottostare all’ignoranza , alla cecità, alla presunzione, alla miseria spirituale degli uomini del potere economico e politico, senza combatterlo in nome dell’arte , dell’amore e  dell’umanità".

Parigi, Le Danton, 9-12-2018


martedì 1 gennaio 2019

Nei "Duzàiri" tutti i segreti dell'anno


In passato, quando i satelliti meteorologici erano del tutto sconosciuti, la sapienza popolare aveva già escogitato un ingegnoso sistema per le previsioni del tempo, e per giunta a lungo termine. E oggi c'è ancora qualcuno, specie nelle zone rurali, che ricorre a questo antico metodo.

Si trattava di fare i Duzàiri o e Duzàire (parole derivate dal numero dialettale duze, ovvero dodici), una pratica che consisteva nell'osservare le condizioni del tempo durante i primi dodici giorni di gennaio e da ciò pronosticare l'andamento meteorologico dei mesi dell'anno. Così a giorni sereni o piovosi avrebbero corrisposto mesi di bel tempo o di pioggia, a giornate calde o fredde mesi afosi o rigidi.

L'usanza, diffusa in tutta la Liguria, si chiamava calèndie nell'imperiese e calàndria o calàndre rispettivamente nell'area genovese e savonese. Una particolarità può essere considerata quella del dialetto di Buggio, in alta Val Nervia, dove è in uso (o almeno lo era) la parola diair(i)e.

Volgendo lo sguardo fuori casa, scopriamo che in Spagna l'usanza esisteva con il nome las cabañuelas, come ci assicura Pedro De Alarcon nella sua novella El año campesino, l’anno contadino, in Nouvelas cortas, Madrid 1955. In questo saggio, l’autore enumera le varie tappe dell’anno, viste nell’ottica dei contadini, per i quali la divisione del tempo non avveniva in base alle date del calendario, ma secondo lo svolgersi dei cicli naturali. Da altre fonti autorevoli, sempre spagnole, si viene a sapere che l’osservazione delle vicende meteorologiche, ai fini della previsione, riguardava i primi 12, 18 o 24 giorni di gennaio e di agosto. In questo modo la validità del pronostico si prolungava fino ai mesi dell’anno successivo.

Anche presso la comunità albanese in Italia, si pratica questo antico sistema di previsione del tempo. Soltanto che i 12 giorni presi in considerazione non sono i primi di gennaio, ma quelli che precedono la festa di Natale, cioè dal 14 al 25 dicembre. Come si dice: paese che vai, usanza che trovi.


Renzo Villa, Dialetto ieri e oggi, Cumpagnia di Ventemigliusi, 1996, pag. 12