mercoledì 29 aprile 2015

Del viandante

Viandante sul mare di nebbia - Caspar David Friedrich

Il viaggio classico-medievale segue una sorta di ordine, di articolazione, di ciclo, uno sviluppo che parte da un principio, si svolge secondo linee divergenti e trova una conclusione finale nel ritorno in patria, ossia la meta finale del viaggio.
Par contre, il Romanticismo riscopre la figure del viandante classica e medievale e la re-interpreta, la ri-definisce, la ri-elabora, la ri-vive. Ora il viandante vaga in cerca della sua patria che non è di questa terra e non è nemmeno una patria celeste. Il viandante vaga solo con se stesso in cerca di nessun luogo. Un altrove che non si trova, che è agognato ma che non esiste. Nessuna meta. L'errare diventa incessante e senza sosta. La patria, da luogo fisico, come Itaca, da luogo sovra-sensibile, come il regno dei cieli, diventa ora il cuore dell'uomo, diventa il luogo dove stare. Domina, nel Romanticismo, un elemento nuovo, che definisce il viandante e lo contraddistingue e lo suggella: il cuore. Ora il viaggio diventa sentimentale.
Il viandante romantico erra per necessità e per bisogno di viaggiare, un bisogno costitutivo della sua essenza. Il viandante da figura, modello, diventa cifra romantica, un modo di essere. Metafore e vita vissuta diventano inscidibili e inseparabili. Il centro propulsivo del vagare è il sentimento che essendo infinito fa sì che l'errare sia incessante: la meta viene raggiunta a tratti, ma sono solo brevi soste, piccole oasi di pace verso una meta finale che non c'è. Insondabile il sentimento, vagare infinito.
Chi sia giunto anche solo realtivamente alla libertà della ragione, sulla terra non può sentirsi altro che un viandante, verso un'ultima metà che non c'è. (F. Nietzsche)


Il viandante e la libertà, Cristiano Basso, Philobiblon Edizioni, Ventimiglia, 2004, pagg. 23 e seguenti



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