lunedì 16 luglio 2018

U Giacuré 2018


A 31 anni di distanza dalla I° edizione, il Premio di poesia dialettale intemelio U Giacuré continua il suo cammino durante il quale è doveroso ricordare la sua istitutrice, prof.ssa Marisa Amalberti De Vincenti. Un premio in memoria del marito prematuramente scomparso e cultore del dialetto. Un concorso di poesia che continua a coinvolgere un territorio compreso tra Nizza e la Valle Argentina, insomma l’estremo ponente, il far west.

Per questa edizione sono stati inviati 26 componimenti da sottoporre al vaglio della giuria, della quale mi preme ricordare i nomi: Daniela Lanteri, presidente, Ferruccio Poggi, Gianni Modena, Gianni Rebaudo e Marilisa Sismondini. Nell’insieme il livello delle opere si è rivelato buono e, pur non essendo U Giacuré un concorso a tema, si è notato che l’argomento maggiormente trattato è stato quello riferito alla Natura.

Mi è venuto spontaneo chiedermi “perché” e ho provato a dare una risposta.
Si ritorna alla Natura e al suo ricchissimo mondo quando c’è una caduta di valori altri: essa diventa un concetto di rifugio, quel qualcosa che stando al di là del tempo e dell’uomo, continua imperterrita il suo miracolo, pur subendo aggressioni e devastazioni di proporzioni esagerate da parte dell’uomo stesso.

L’osservazione di molti di voi si è soffermata su micro-aspetti, quasi in contrasto con i fenomeni di globale grandezza cui è giunta la comunità umana. L’infinitamente piccolo e talvolta il sommerso, assumono quindi un magico aspetto pieno di leggi sue proprie, immutabili, rinnovabili, perenni. Un mondo da osservare nel momento in cui l’uomo non sa più dare il meglio di sé, nonostante la sua preziosa intelligenza e magnifica emotività.

La Natura, matrigna per leopardiana memoria, cattura l’osservazione, stupisce per la sua energia vitale, incanta per la sua bellezza e diventa panacea di fronte ad un quotidiano sempre più privo di valore, di spessore e di profondità.

I sentimenti cedono il passo allo stupore quasi infantile che si cela nella Natura. I sentimenti faticano a ritrovare una loro sede espressiva forse perché il momento storico è troppo compulsivo, veloce e dà più voce all’agire che al pensare e soprattutto al sentire; le emozioni si nascondono dietro una realtà virtuale che non è comparabile alla realtà vera e propria: nessuna mediazione è possibile laddove manca la presenza fisica dell’altro da sé.

Tutto contribuisce ad impoverire l’anima, la vera sede della contemplazione e quindi della poesia.



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