Remo Guglielmi
"Pausa" di Maria Grazia Rebaudo
Quando nel 2006 Remo, il panettiere, ci ha lasciati, gli dedicai lo scritto che segue. L'ho "ripescato" perché oggi ho saputo che anche il luogo in cui faceva il pane, u furnu, proprietà del Comune, è stato venduto. Per me è un'altra morte, non per chissà quale nostalgica o poetica fisima, ma perché quel locale rappresentava un'opportunità per vitalizzare il paese. Si poteva riadattarlo a luogo per cucinare, ma soprattutto per insegnare a cucinare ai turisti, si poteva, attraverso quel piccolo spazio, seminare qualcosa destinato a crescere nel tempo, con una Expo 2015 che punta sul cibo, con un momento storico in cui "non ci resta che mangiare". Non mi dilungo sulle potenzialità, mi dispiace e basta.
E chi ha deciso di venderlo, sono certa non è stato minimamente sfiorato dall'uso che se ne poteva fare.
Chi l'ha venduto non sa di essere in Europa.
Chi l'ha venduto non sa di essere in Europa.
"I ricordi che ognuno di noi porta
con sé del proprio esistere sono un patrimonio spesso arricchito e valorizzato
dal trascorrere del tempo, soprattutto quando le trasformazioni del modo di
vivere ci fanno un po’ rimpiangere il tempo che fu. Personalmente penso che ciò
che si è vissuto durante l’infanzia racchiuda una magia, un incantesimo che
nessun altro periodo della vita è in grado di offrirci.
E così, attingendo proprio dalla mia
infanzia, ritrovo un quartiere di Vallebona, inu Careira, dove sono nata e ho
vissuto fino all’età di 12 anni e dove le esperienze non sono state certo tutte
positive, ma molti di quei ricordi sono ancora oggi un prezioso bagaglio che
porto volentieri con me.
Dedico questo scritto a Remo, u panaté, che
da poco ci ha lasciati, perché è stata una presenza importante.
Con il suo pane sono diventata
“grande” (…e non solo!), ma la sua figura è stata così ricca di particolari che
vale la pena farne un ritratto.
Fischiettava sempre, aveva le
ciabatte perennemente infarinate, la canottiera bianca o blu estate e inverno e
in quel forno, dall’atmosfera calda e quasi irreale, vedeva avvicendarsi buona
parte del paese per cuocere torte verdi, pisciarae, torte dolci e quant’altro.
Il pane, il pane di Remo, come
tutto il pane del mondo, aveva le sue particolarità…
I filoni bagnai cun a pumata erano
mitici e resteranno nella memoria di molti come uno di quei gusti mai più
ritrovati; poi c’erano le rosette con lo spacco in metà, belle gonfie e
bianche, i cornetti diventati poi banane, le muneghe e le biove. Ma al
martedì e al venerdì pomeriggio, con la riapertura del negozio, c’erano le
briosce e i canestrelli che, pur avendo una denominazione abbastanza generica,
nella mente di ognuno di noi sono qualcosa di ben preciso. Quante volte andavo
a vedere, uscendo di corsa dal magazzino, se Remo aveva già sceso quel ben di
dio per la merenda! …e magari dopo una o due volte in cui non trovavo nulla,
Palmira mi diceva: “Va’ in po’ a vé in tu furnu si sun prunte…” Ecco, quella
familiarità, quella libertà, quella complicità che era innata nella vita del
paese rimane per me una delle cose più belle che il vivere in un piccola
comunità possa offrire.
A tutte le ore Remo lo si sentiva,
anche d’in casa, trafficare nel carugiu. Arrivava con l’ape blu, rigorosamente
senza porte e senza telone dietro la schiena, con le bombole che savagiavano da un lato all’altro del cassone, oppure portava i rifornimenti per il negozio.
Scherzava sempre bonariamente, in
modo sommesso, e mi ha sempre colpito questo suo essere estroverso ma non
chiassoso, direi quasi discreto… Naturalmente dal quadro non può essere
dimenticato quanto all’avanguardia fosse il negozio, il primo simbolo di
progresso nei confronti degli altri esercizi commerciali esistenti. Il soffitto
a giorno con mattoni di vetro, la scala a chiocciola, la disposizione della
merce bene in vista sugli scaffali, la vetrina sempre invitante, le luci…
insomma, allora esisteva solo la
Standa e a me sembrava una miniatura della stessa a
Vallebona!
Ringrazio sia lui che Palmira per
avermi fatto partecipe di questa bella esperienza, così come molti altri un po’
più vecchi di me aggiungerebbero alla lista anche il servizio da loro gestito
delle docce pubbliche. Ah, dimenticavo… Il salame dolce! Cume u l’eira bon…,
ma era anche una concessione delle grandi occasioni, perché in quegli anni non
era domenica tutti i giorni come adesso e fare un po’ di economia era la
regola. Nasceva, sì, la società dei consumi, ma alle spalle c’era ancora vivo
il ricordo della penuria e la parola “spreco” era bandita dal vocabolario.
“Remo, ma cousa vö dì cerea?” “Ciau in piemuntese…” …anche
questo l’ho imparato da lui.
E nello stesso modo lo saluto per
l’ultima volta. Cerea, Remo…"
P.S.: Remo era il papà dell'attuale vice-sindaco.
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