Ahmed I ibn Mustafa
Il professor Fiorenzo Toso ha postato su Facebook il seguente articolo. Il rullo del social network lo inghiottirà come tutto il resto, per cui ho pensato di "dargli asilo" sul mio blog.
A voi.
So che rischio di essere ripetitivo, ma il prossimo 30 maggio ricorre il 160° anniversario della morte di questo signore, Ahmed I ibn Mustafa, bey di Tunisi. Di lui si ricordano la politica riformatrice e di dialogo con l’Europa (promossa grazie ai buoni uffici del suo ministro e parente Giuseppe Raffo, genovese e cristiano); l’abolizione della schiavitù con largo anticipo rispetto a diversi paesi europei e agli Stati Uniti, l’apertura al dialogo interreligioso, la riorganizzazione in senso moderno dello Stato. Durante il suo regno, migliaia di italiani trovarono rifugio e accoglienza nel suo paese, non solo come esuli politici, ma per i motivi che bene evidenzia un brano che traduco qui sotto da un interessante articolo di Alessandro Triulzi, Italian-speaking communities in early nineteenth century Tunis, in “Revue des mondes musulmans et de la Méditerranée”, 9 (1971), n. 1, pp. 153 – 184. Chiedo agli amici interessati di avere la pazienza di leggerlo sino alla fine: “Dopo il 1816 […] si sviluppò un lento ma graduale processo di emigrazione di forza-lavoro dall’Italia alla Tunisia. […] Sovrappopolazione, disoccupazione, povertà endemica, ingiustizia sociale ed economica, cattiva amministrazione: durante tutto il secolo i cronici problemi dell’Italia meridionale e delle isole minori del Mediterraneo diedero ulteriori stimoli a tali migrazioni. In Tunisia, i nuovi immigrati trovavano […] più libertà dai poteri politici. Operai, agricoltori, commercianti, trovavano qui non solo migliori condizioni economiche, ma anche oneri fiscali meno gravosi e una maggiore libertà individuale. Provenendo da una concezione ancora completamente feudale e fortemente gerarchica della società, approdavano a un ambiente democratico in cui ciascuno di loro poteva costruire per se stesso una vita dignitosa con il proprio lavoro. […] Attraversavano lo stretto tra Tunisi e Marsala a bordo di piccole barche da pesca, spesso con pochi mezzi, senza passaporto, e con un seguito di molti parenti. Il loro numero è difficile da accertare almeno fino al 1860, quando cominciarono a essere redatte le prime statistiche ufficiali”.