domenica 28 febbraio 2016

"Purtugalu" e "sitrùn"

Purtugalu (arancia), di forma tondeggiante


In una denuncia di furto, avvenuta nelle campagne di Ventimiglia nel 1785, si legge che i ladri "avevano portato via ortaglia e arance o sia portogalli". Poiché gli agrumi erano una voce importante dell'economia agricola del passato, proviamo un po' a ripercorrere la storia di questa parola con la quale, in dialetto, si indica sia l'albero che il frutto. Essa ci ricorda che le piante di aranci, originarie della Cina, furono introdotte in Europa dai portoghesi circa 600 anni fa, e che dal loro paese, il Portogallo, presero il nome. Nome che, nell'italiano antico era "portogalli" poi facilmente dialetizzato in purtugali e diffuso nella Liguria di ponente con propaggini che raggiungono il nizzardo e il Piemonte occidentale. Anche in questo, come in altri casi, la Liguria linguistica si spacca nettamente in due col purtugalu usato ad ovest e sitrùn o setrùn al centro e nel levante. "Portûgâ, arancia di Portogallo" lo definisce il Casaccia, ma altri dizionari genovesi danno, come più antica, la voce setròn, che poi si diffonde ed è in uso anche ai giorni nostri ad est fino all'area spezzina.

Sitrùn (arancia amara), di forma più appiattita sul fondo


Col termine sitrùn/çitrùn, si intende invece, qui da noi, quella pianta e relativo frutto che il Nuovo Glossario medievale ligure definisce "Citronus, arancio amaro" chiamato dai botanici Citrus vulgaris e che, nell'autorevole La Mortola Garden, il catalogo del Giardino Hanbury edito nel 1938, è riportato come Citrus Aurantium L. varietas amara. Si trattava di una pianta molto coltivata nella nostra zona per le essenze che se ne potevano ricavare, data anche la presenza in loco di distillerie.
La botanica ci ha fatto dimenticare il dialetto, al quale però torniamo subito con l'aggettivo purtugalau che significa color arancione, simile a quello della peröglia, la buccia dell'arancia. Purtugalau era riferito specialmente al colore che certi vini bianchi assumono invecchiando. E, per finire, la parola galu che in dialetto vuol dire sì "gallo" ma anche "spicchio" sia dell'arancia che del mandarino.


Renzo Villa, Dialetto ieri e oggi, Alzani Editore, Pinerolo (To), 1996, pag. 83


sabato 20 febbraio 2016

Montagne azzurre


Montagne azzurre
azzurre d'onde
toccano a pelo
l'orizzonte,
e il cielo,
ed erte vette
con valli strette
piegano a schiere,
sin dove nasce
il maestrale,
a morir nel mare.

Ed ove flora,
ogni estate in gioioso
rifiorir di colore
di fiori esplode,
per poi divenir,
come disse il poeta,
come d'autunno sugli alberi 
le foglie,
foreste spoglie.

Montagne azzurre
di laboriose genti
ebbre di fede,
musica e folklore
che da sempre con gregari greggi
peregrinando tra l'alpi e mari 
- come noi ora - 
vanno, ignari,
alla scoperta dell'insolito.


Giannino Orengo (1952 - 2005)



Oggi, a Pigna, verrà conferito 
il Premio Sant'Ambrogio d'Argento Giannino Orengo
figura di spicco nella poetica dialettale del Ponente ligure. 
Il premio verrà consegnato alla moglie.



domenica 14 febbraio 2016

Sull'amore

Hermann Hesse

"Quanto più invecchiavo, quanto più insipide mi parevano le piccole soddisfazioni che la vita mi dava, tanto più chiaramente comprendevo dove andasse cercata la fonte delle gioie della vita. Imparai che essere amati non è niente, mentre amare è tutto, e sempre più mi parve di capire ciò che da valore e piacere alla nostra esistenza non è altro che la nostra capacità di sentire. Ovunque scorgessi sulla terra qualcosa che si potesse chiamare “felicità”, consisteva di sensazioni. Il denaro non era niente, il potere non era niente. Si vedevano molti che avevano sia l’uno che l’altro ed erano infelici. La bellezza non era niente: si vedevano uomini belli e donne belle che erano infelici nonostante la loro bellezza. Anche la salute non aveva un gran peso; ognuno aveva la salute che si sentiva, c’erano malati pieni di voglia di vivere che fiorivano fino a poco prima della fine e c’erano sani che avvizzivano angosciati per la paura della sofferenza. Ma la felicità era ovunque una persona avesse forti sentimenti e vivesse per loro, non li scacciasse, non facesse loro violenza, ma li coltivasse e ne traesse godimento. La bellezza non appagava chi la possedeva, ma chi sapeva amarla e adorarla.C’erano moltissimi sentimenti, all’apparenza, ma in fondo erano una cosa sola. Si può dare al sentimento il nome di volontà, o qualsiasi altro. Io lo chiamo amore. La felicità è amore, nient’altro. Felice è chi sa amare. Amore è ogni moto della nostra anima in cui essa senta se stessa e percepisca la propria vita. Ma amare e desiderare non è la stessa cosa. L’amore è desiderio fattosi saggio; l’amore non vuole avere; vuole soltanto amare."


Hermann Hesse - “Sull’amore”

Dalla pagina di FacebooK de "Il cenacolo intellettuale" di oggi.


Intesa



Nei silenzi che parlano

negli occhi che cercano

nelle risate che volano

nei momenti che aspettano

negli animi che vibrano

noi siamo.


Pia - 1996


Buon San Valentino!


domenica 7 febbraio 2016

Henry de Toulouse-Lautrec a Pisa



"E pensare che non avrei mai dipinto 
se le mie gambe fossero state più lunghe"

L'impatto con questa frase, pressoché all'ingresso della mostra dedicata a Toulouse-Lautrec a Palazzo Blu a Pisa, mi ha sorpreso e spiazzato: sembrava quasi mi creasse una difficoltà di "immersione" in quello che stavo per andare a vedere. Era ragionevole, per lui, visto il suo stato fisico ed il suo desiderio di diventare un cavallerizzo, ma non per me!


Ricca di manifesti pubblicitari, materia di cui fu innovatore, e di litografie, la mostra scorre in una numerosissima serie di opere in cui si colgono raffinatezza, grandezza e bellezza. I suoi temi, quelli della vita popolare di Montmartre fatta di prostitute e vita libertina, sono trattati con grazia e dignità, cosa che non prescinde, a mio avviso, le sue origini aristocratiche.


Tratti essenziali e colori decisi per dare ad ogni elemento la sua configurazione, semplificano il messaggio pubblicitario, creando una comunicazione diretta ed immediata: grande bravura.


La vita diurna delle prostitute, poi, spoglia di ogni volgarità quei soggetti che per forza di cose ne sarebbero depositari. Toulouse-Lautrec è decisamente un raffinato ed attribuisce molta più "miseria" ai soggetti maschili che frequentano i bordelli che non alle "donnine".

Les deux amies

Moltissime litografie, dunque, quel tipo di opere che mi coinvolgono per "capire", ma non per "sentire". Due modi diversi di percepire, egualmente importanti, ma prediligo il secondo e il mezzo di cui ho bisogno è la pittura, l'elemento meno presente alla mostra. Cercavo Les deux amies, ma non c'era. Da quasi trent'anni il poster di quell'opera è appeso in casa mia e ricordo come adesso quale emozione mi provocò a Martigny quando lo vidi: mi immedesimai nelle lunghe ore passate con la mia cara amica a raccontarcela. Quel quadro, a Pisa, non era in mostra e non c'è più neanche la mia amica: chissà, forse è per quello che non l'ho ritrovato...

venerdì 5 febbraio 2016

"Giancheti" gustosi, ma sempre più cari


Benché il loro prezzo aumenti vertiginosamente, divenendo di anno in anno sempre più proibitivo, quando arriva il mese di febbraio, eccoci un'altra volta alla stagione dei giancheti. Si tratta del minuscolo novellame di acciughe e sardine che, un tempo, veniva pescato qui da noi con una grande rete a sacco, tirata dalla spiaggia e chiamata u gianchetà.
Il nome italiano non si discosta granché dall'italiano "bianchetti" e trae origine dal loro colore biancastro che questi pesiolini assumono dopo essere stati pescati. E, una volta tanto, i giancheti, dialettalmente parlando, sono tali in tutta la nostra regione, dal Roia alla Magra, compresa, a occidente, l'appendice ligure di Monaco.
Dopo di che, i giancheti cedono il posto a nonnats franco-provenzali, che sarebbero poi i pesci neonati. Ma, spiccando un bel salto, di circa cinquecento chilometri attraverso la Francia meridionale, li ritroviamo trasformati in chanquetes, parola che gli spagnoli usano per indicare, per l'appunto il novellame delle alici.
e, a proposito di quest ipesciolini, ecco un proverbio tratto dal grande libro della sapienza popolare: L'è megliu atacasse a a testa d'in gianchetu che a a cua d'ina balena". Come a dire: a volte, è più facile che l'aiuto ci giunga da persone di poco conto che da quelle importanti e potenti.
data la squisitezza dei piatti che si possono preparare con questa specialità marinara, a questo punto è quasi d'obbligo concedersi una piccola pausa gastronomica. Quella dei giancheti bolliti e conditi con olio e limone, o dei fresciöi de giancheti, le gustose frittelle con farina, olio, aglio e prezzemolo. Per nulla disprezzabile nemmeno una bella menestrina de giancheti, minestrina con pasta fine, sedano e cipolla.
Tutte cose che, soltanto a pensarci, fanno venire l'acquolina in bocca e di cui, portafoglio permettendo, ci si può sempre togliere la voglia almeno una volta all'anno.



Renzo Villa, Dialetto ieri e oggi, Alzani Editore, Pinerolo (To), 1996, pag. 19