giovedì 1 novembre 2018

Un articolo da salvare


Yanis Varoufakis e Bernie Sanders:  
“Sconfiggere la follia delle nuove destre è possibile”

La nostra epoca sarà ricordata per la marcia trionfale di una destra capace di unificarsi a livello mondiale in una vera e propria Internazionale nazionalista emersa dal pozzo nero del capitalismo finanziario. Allo stesso tempo, però, potrebbe, invece, essere celebrata come il tempo di una grande risposta umana a questa follia. Ciò dipende dalla volontà e dall’impegno dei progressisti negli Stati Uniti, nell’Unione europea, nel Regno Unito e in paesi come il Messico, l’India e il Sudafrica, di forgiare una nuova Internazionale dei Progressisti.
Il nostro compito non è senza precedenti. I fascisti non sono andati al potere, nel periodo tra le due guerre mondiali, promettendo violenze, guerre o campi di concentramento. No. Arrivarono al potere rivolgendosi a tanta brava gente che, spaventata e immiserita da una durissima crisi economica, era stata sino ad allora trattata come merce che aveva perso il proprio valore di mercato.
Invece di trattare questa gente come dei miserabili, i fascisti la guardarono negli occhi e giurarono di ridargli dignità, offrirono la loro amicizia, dettero a questa gente la sensazione di far parte di un grande ideale, la aiutarono a pensarsi qualcosa in più che meri consumatori.
Quell’iniezione di autostima era accompagnata da avvertimenti contro lo “straniero” in agguato che minacciava la loro rinata speranza. La politica di “noi contro loro” prese il sopravvento, scolorita dalle caratteristiche della classe sociale e definita unicamente in termini di identità. Il timore di perdere il proprio status si trasformò in tolleranza nei confronti delle violazioni dei diritti umani prima contro i sospetti “altri” e poi contro qualsiasi forma di dissenso.
Non è forse questo il modo in cui Donald Trump ha prima conquistato la Casa Bianca e ora sta vincendo la guerra discorsiva contro l’establishment del Partito Democratico? Non è questo che ricorda l’improvviso apprezzamento da parte dei Conservatori a favore della Brexit di un servizio sanitario nazionale che avevano affamato per decenni, o l’energico abbraccio della democrazia che invece il thatcherismo aveva subordinato alla logica delle forze del mercato? Non sono questi i modi dei governi di estrema destra in Austria, Ungheria e Polonia, o dei nazisti di Alba Dorata in Grecia e, più acutamente, di Matteo Salvini, l’uomo forte che guida il nuovo governo italiano? Ovunque guardiamo oggi, assistiamo a manifestazioni di rinascita di un’ambiziosa Internazionale Nazionalista, con caratteristiche che non avevamo più visto dagli anni ’30.Mentre ciò accade tutte le altre forze si comportano come se avessero un debole per il ripetere ogni errore della Repubblica di Weimar.
Ma basta con la diagnosi.
La domanda pertinente ora è: cosa dobbiamo fare? Un’alleanza tattica con l’establishment attuale a livello mondiale è fuori questione. Tony Blair, Hilary Clinton, l’establishment socialdemocratico dell’Europa continentale sono troppo compromessi dai loro legami monetari con un degenerato capitalismo finanziario e con le sue ideologie. Per decenni hanno fatto affidamento sul populismo del libero mercato: la falsa promessa che tutti noi potessimo star meglio a patto che ci sottomettessimo alla mercificazione di ogni cosa, noi compresi. Ci hanno fatto credere in una scala mobile sociale senza fine che ci avrebbe portati ai vertici della soddisfazione del consumatore, ma essa non esiste.

Il 1929 della nostra generazione, avvenuto nel 2008, con la crisi dei subprime, ha infranto questa illusione. L’establishment ha continuato come se fosse possibile riparare le cose attraverso una combinazione di austerità per i molti, socialismo per pochissimi e autoritarismo tutt’intorno. Nel frattempo, l’Internazionale Nazionalista ha cominciato a vincere, alimentata dal crescente malcontento.
Per contrastare questo stato di cose, i progressisti devono specificare molto chiaramente le cause e la natura del malcontento e dell’infelicità del popolo: l’intensa guerra di classe dell’oligarchia globale contro il precariato in rapida crescita, contro ciò che resta del proletariato occidentale e, in generale, contro i cittadini più deboli.
Quindi, dobbiamo dimostrare che l’unico modo in cui i molti possono riprendere il controllo delle loro vite, delle loro comunità, delle loro città e dei loro paesi è coordinando le nostre lotte lungo l’asse di un New Deal internazionalista. Mentre non va più permesso al capitale finanziario globalizzato di distruggere le nostre società, dobbiamo spiegare che nessun paese è un’isola. Proprio come il cambiamento climatico richiede sia un’azione locale che una internazionale, così la lotta alla povertà, al debito privato e ai banchieri disonesti. Per illustrare che le guerre commerciali e dei dazi non sono il modo migliore per proteggere i nostri lavoratori, dal momento che arricchiscono principalmente le oligarchie locali, dobbiamo fare una campagna per accordi commerciali che impegnino i governi dei paesi più poveri a legiferare salari minimi per i loro lavoratori e garantire posti di lavoro a livello locale. In questo modo le comunità possono essere rianimate in paesi ricchi e poveri contemporaneamente.
Ancora più ambiziosamente, la nostra Internazionale Progressista deve proporre una International Monetary Clearing Union, del tipo suggerito da John Maynard Keynes durante la conferenza di Bretton Woods nel 1944, includendo restrizioni ben precise sui movimenti di capitale. Riequilibrando salari, commercio e finanza su scala globale, la migrazione involontaria e la disoccupazione involontaria diminuiranno, ponendo fine al panico morale intorno al diritto umano di muoversi liberamente nel mondo.
E chi sta cercando di mettere insieme questa Internazionale Progressista disperatamente necessaria? Fortunatamente, non mancano potenziali iniziatori: la “rivoluzione politica” di Bernie Sanders negli Stati Uniti, il partito laburista di Jeremy Corbyn, il nostro Movimento Democrazia in Europa, il presidente eletto del Messico, gli elementi progressisti dell’African National Congress, i vari movimenti che combattono contro bigottismo e austerità in India.
Cominciamo noi oggi. Altri ci seguiranno nel momento in cui l’odio e la rabbia cederanno il passo a nuove e più umane speranze.
Yanis Varoufakis

RISPOSTA DI BERNIE SANDERS

Yanis Varoufakis ha perfettamente ragione. In un’epoca di massicce disparità globali, disuguaglianze di reddito, oligarchia, autoritarismo e militarismo in aumento, abbiamo bisogno di un movimento progressista internazionale per contrastare queste minacce. Non è accettabile che l’1% che sta in alto della popolazione mondiale possieda più ricchezza del 99% in basso, che le multinazionali e i ricchi accumulino oltre 21 trilioni dollari in conti bancari offshore per evitare di pagare la loro giusta quota di tasse e che l’industria del combustibile fossile continui a distruggere il pianeta perché i paesi non sono in grado di cooperare efficacemente per combattere il cambiamento climatico.
Mentre i ricchi diventano molto più ricchi, le persone in tutto il mondo lavorano più ore per salari stagnanti e temono per il futuro dei loro figli. Le destre più estreme sfruttano queste ansie economiche, creando capri espiatori che mettono un gruppo sociale contro un altro.
La soluzione, come sottolinea Varoufakis, è un’agenda progressista internazionale che riunisca i lavoratori e i cittadini di tutto il mondo attorno a una visione di prosperità condivisa, sicurezza e dignità per tutte e tutti. Il destino del mondo è in gioco. Andiamo avanti insieme ora!

BY  · SET 15, 2018


lunedì 16 luglio 2018

U Giacuré 2018


A 31 anni di distanza dalla I° edizione, il Premio di poesia dialettale intemelio U Giacuré continua il suo cammino durante il quale è doveroso ricordare la sua istitutrice, prof.ssa Marisa Amalberti De Vincenti. Un premio in memoria del marito prematuramente scomparso e cultore del dialetto. Un concorso di poesia che continua a coinvolgere un territorio compreso tra Nizza e la Valle Argentina, insomma l’estremo ponente, il far west.

Per questa edizione sono stati inviati 26 componimenti da sottoporre al vaglio della giuria, della quale mi preme ricordare i nomi: Daniela Lanteri, presidente, Ferruccio Poggi, Gianni Modena, Gianni Rebaudo e Marilisa Sismondini. Nell’insieme il livello delle opere si è rivelato buono e, pur non essendo U Giacuré un concorso a tema, si è notato che l’argomento maggiormente trattato è stato quello riferito alla Natura.

Mi è venuto spontaneo chiedermi “perché” e ho provato a dare una risposta.
Si ritorna alla Natura e al suo ricchissimo mondo quando c’è una caduta di valori altri: essa diventa un concetto di rifugio, quel qualcosa che stando al di là del tempo e dell’uomo, continua imperterrita il suo miracolo, pur subendo aggressioni e devastazioni di proporzioni esagerate da parte dell’uomo stesso.

L’osservazione di molti di voi si è soffermata su micro-aspetti, quasi in contrasto con i fenomeni di globale grandezza cui è giunta la comunità umana. L’infinitamente piccolo e talvolta il sommerso, assumono quindi un magico aspetto pieno di leggi sue proprie, immutabili, rinnovabili, perenni. Un mondo da osservare nel momento in cui l’uomo non sa più dare il meglio di sé, nonostante la sua preziosa intelligenza e magnifica emotività.

La Natura, matrigna per leopardiana memoria, cattura l’osservazione, stupisce per la sua energia vitale, incanta per la sua bellezza e diventa panacea di fronte ad un quotidiano sempre più privo di valore, di spessore e di profondità.

I sentimenti cedono il passo allo stupore quasi infantile che si cela nella Natura. I sentimenti faticano a ritrovare una loro sede espressiva forse perché il momento storico è troppo compulsivo, veloce e dà più voce all’agire che al pensare e soprattutto al sentire; le emozioni si nascondono dietro una realtà virtuale che non è comparabile alla realtà vera e propria: nessuna mediazione è possibile laddove manca la presenza fisica dell’altro da sé.

Tutto contribuisce ad impoverire l’anima, la vera sede della contemplazione e quindi della poesia.



mercoledì 25 aprile 2018

Vallebona, 25 aprile 2018

U Cipu

"1915 – 1945: sono le date che segnano l’inizio della I e la fine della II G. M.
In quella prima metà del secolo scorso, in trent'anni e in nemmeno dieci sommati di guerra, l’Europa ha pagato la follia umana con quasi 50 milioni di vittime. Cinquanta milioni, quasi l’intera popolazione italiana… Era inevitabile che, da quel 1945, iniziasse un percorso nella vita politica delle nazioni europee avente lo scopo di evitare il ripetersi di simili tragedie.
C’erano diversi punti da mettere a fuoco, importanti e chiari, alla luce delle ferite riportate e di quell’impensabile numero di vittime. C’era da isolare in tutti i modi il nazifascismo, in primis, affinché si potesse guardare ad un futuro democratico, senza soprusi, senza oppressioni, senza orrori. C’era poi da creare una sorta di comunità in cui riconoscersi ed appartenere, al fine di ridurre il più possibile i nazionalismi, le competizioni, le supremazie, la rivalità.
Ed entrambi questi progetti hanno trovato realizzazione.
        *   In Italia, il 2 giugno 1946, con il referendum in cui votarono per la prima volta le donne, fu scelta la Repubblica e, due anni dopo, venne promulgata la nostra preziosa Costituzione.
      *   Il 25 marzo 1957 nacque la CEE, ovvero il Comitato Economico Europeo, con la firma dei Trattati di Roma, in vigore dal 1 gennaio 1958. Essi fissavano un periodo transitorio di dodici anni (conclusosi il 31 dicembre 1969) entro cui si sarebbe dovuto realizzare il Mercato Unico, fondato sulla libera circolazione di merci, servizi, persone e capitali su tutto il territorio dei sei Paesi aderenti (Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo). Uno spazio economico unificato, con condizioni di libera concorrenza tra le imprese e che permettesse di ravvicinare le condizioni di scambio dei prodotti e dei servizi.
Questi sono i cardini su cui si basò il percorso dell’Europa in seguito a ciò che le due grandi guerre avevano provocato. Democrazia e Unione, due principi tanto alti quanto difficili da sostenere e perseguire. Due principi costati tante lotte, sia per liberarsi definitivamente dalla barbarie, sia per ottenere in tempo di pace, lo stato sociale, nonché riconoscimenti e diritti alle classi più deboli.
E nonostante l’imperfezione dei sistemi economico-politico-giuridici, alta deve rimanere sempre la guardia e viva la memoria. Non si gridi alla non democrazia o alla non libertà quando si applicano leggi che impediscano propagande, comizi, riunioni di stampo fascista: il fascismo, in Italia, è bandito dalla legge, è bandito dalla memoria, è bandito da un passato che non passa.
In questo giorno, il 25 aprile, Festa della Liberazione, non si vuole inneggiare a nessun eroismo: la lotta partigiana o lotta di popolo fu tanto necessaria quanto non auspicata, fu l’inevitabile conseguenza di uno scellerato regime che già di suo era deprecabile e coronò il peggio alleandosi alla Germania nazista. Il 25 aprile, nel presente, sia invece, un monito; sia consapevolezza di ciò che può provocare una falsa propaganda; sia conoscenza dei fatti e non manipolazione della storia; sia un riportare la coscienza ai principi di Democrazia e Unione, unici cardini del vivere senza conflitti. W la Resistenza, W il 25 aprile."


Pia Viale


lunedì 19 marzo 2018

Van Gogh a Vicenza. Tra il grano e il cielo

Contadina che cuce, 1881

Impensabile perdere la mostra di Van Gogh a Vicenza organizzata dal bravo Marco Goldin. Siamo andati, in tanti, come altre volte è accaduto con l'Associazione culturale A Cria: lezioni di storia dell'arte e tante opere da vedere, oltre ad una visita guidata nella splendida città di Vicenza.
Otto stanze di quadri in mostra, di cui le prime cinque si riferiscono al periodo olandese durante il quale Van Gogh dipinge, ma soprattutto disegna, la vita contadina. L'atmosfera è cupa, non per mancanza di luce, ma per condizione, tanto che il volto della gente giunge, alla fine, ad essere raffigurato come una patata.

Vecchio che soffre, 1882

Un animo sensibile e sofferente, il suo, che non vede riscatto nella vita contadina, ma solo fatica e malinconia. Il contesto dipinto è spoglio, marcatamente espressiva la figura con evidenti sproporzioni fisiche. Leggevo quella sofferenza per la fatica come un dato reale ancora ai giorni nostri: chi conosce il "contadinismo" conosce quella fatica, quella condizione, e ciò nonostante la affronta, la attraversa e la supera, perché così detta la realtà; ma nell'animo è una pena oscura per la quale si anela alla liberazione.

Testa di pescatore con cappello di tela cerata, 1883   
 La sorella con uno scialle, 1883

I volti di quei ritratti di uomini e di donne, clou a mio avviso della mostra, hanno una potenza espressiva intensissima ed appartengono tutti al mondo contadino, o, perlo meno, al popolo. Mi hanno fatto pensare, per contrasto, ad una successione di ritratti della borghesia, o meglio, dell'aristocrazia della stessa epoca: sono altre espressioni, trasmettono altre emozioni, sono libere dalla sofferenza derivante dall'indigenza. E allora mi sono chiesta se quel popolo raffigurato da Van Gogh fosse realmente così o se fosse, invece, solo il suo modo di percepirlo. Perché, comunque, in quei volti, c'era autenticità, verità, umanità, rassegnazione, rancore, dolore, cose che, a pensarci bene, non sono così scontate e riscontrabili nei volti di chi, al giorno d'oggi, versa nell'indigenza. Trattasi sempre di disperazioni che assumono, però, volti diversi.

Il giardino dell'ospedale di Saint-Rémy, 1889

Poi le altre tre stanze: la Provenza, la luce, la tanta luce.
Una sorta di bipolarismo volutamente rimarcato dal curatore tra opere di un periodo buio e di uno profondamente illuminato: ed ecco il Van Gogh per eccellenza, dell'emozione pura, del pianto inspiegabile davanti ad un suo quadro, del genio, dell'opera immortale, del capolavoro. 
E, nella mostra, come al solito pochi quadri famosi e soprattutto pochi quadri, che diventano importanti e sufficienti grazie alla capacità commentativa della preparatissima guida. O perché comunque c'è quel "pezzo" che arriva dritto e filato all'anima, come per me Il giardino dell'ospedale di Saint-Rémy...

Il ponte di Langlois ad Arles, 1888

Una bella mostra, una bella lezione di storia dell'arte: sempre sia lode ai grandi artisti, che ogni volta ci riconciliano con la vita e con noi stessi e che ci nutrono l'anima per continuare il nostro viaggio che spesso si consuma in alto mare aperto. Un dialogo si schiude dentro di noi grazie a ciò che sulla tela, in altra epoca, qualcuno ha espresso proprio per andare al di là del tempo finito e comunicare ciò che nell'uomo è atemporale: la bellezza dell'essere attraverso l'arte.


mercoledì 14 febbraio 2018

Due parole con Enzo sui migranti

Migranti sulle rive del Roja e Ventimiglia alta

Con Enzo siamo dello stesso paese, anzi, dello stesso quartiere, ma ci vediamo ogni quattro o cinque anni. Ci separano pochi km, una decina, lui è in negozio tutto il giorno-tutti i giorni e quindi non è difficile trovarlo. Le situazioni di vita, tuttavia, dettano delle cadenze che col tempo sono acquisite e prese per buone.
Va detto che con Enzo mi bastano poche parole per mettere a fuoco l'argomento di cui ci mettiamo a parlare. Con un esercizio commerciale in Via Tenda a Ventimiglia, è chiaro che gli rivolgo qualche domanda sui migranti. Con quella pacatezza che gli è tipica, mi spiattella la situazione in una cornice di normalità del fenomeno che sa tanto di verità, rispetto ai deliri che si sentono a destra e a manca. 
I migranti arrivano e a tornate se ne vanno, lasciando il posto ad altri. Cercano di entrare in Europa e ci riescano al di là dei flic, dei mitra e dei controlli a tappeto. Vanno verso il loro destino: una volta passata Nizza, è fatta. Se arrivano in Germania l'accoglienza è al top, qui da noi non è la stessa cosa. 
A Bevera stanno in unico posto dove si mangia male, le donne sono divise dagli uomini, c'è una sola doccia e un solo bagno e fanno code lunghissime. Quelli che sono sotto il cavalcavia, invece, ricevono cibo buono e caldo dai tedeschi e dai francesi che arrivano da Sospel e che gli hanno procurato le tende, soddisfano i loro bisogni nel Roja come fosse il Gange e se la passano meglio degli altri. 
Delinquono? C'è la mafia nigeriana? C'è stata maretta, mi dice, per un periodo, a causa dei magrebini, i neri non rompono le palle; per il fatto che girano avanti e indietro, le vecchiette al pomeriggio evitano di uscire per andare al cimitero o a passeggiare e anche il commercio ne risente un pochino, ma tutto sommato non ci sono grossi problemi. 
E poi mi dice: "Da una parte vorrei che vincessero le destre per vedere cosa riescono a fare. Pensano di fermare i flussi, ma le migrazioni è impossibile fermarle; è certo, però, che arriva il momento in cui si fermano da sole". 
Mi ha detto quello che pensavo e che volevo sentirmi dire. E' una sua/nostra percezione della realtà, che potrebbe non corrispondere al vero, ma è il nostro modo di viverla. E' la storia del presente, semplificata rispetto alla complessità del problema, ma Enzo ed io amiamo la matematica e semplificare è la nostra arte!



venerdì 9 febbraio 2018

La storia appallottolata


Caro blog,

scusa se ti ho trascurato, o meglio, quasi abbandonato per tanto tempo. Mi sono dedicata a tuo fratello, u paìse, per dare spazio alla poesia dialettale ligure e ho perso un sacco di tempo sui social, dove tutto scorre e si consuma come un rotolo di carta igienica. 

Qui da te, invece, scrivevo le mie riflessioni, i miei pensieri; qui ho postato un po' di tutto ed eri anche abbastanza seguito e apprezzato da altre persone. Ciò nonostante, ti ho pressoché abbandonato lo stesso. Sai, di là, su Facebook, è tutto più facile: scorri, ridi, commenti, metti mi piace, leggi, scrivi cose serie o belinate, pubblichi foto, bisticci, cancelli qualcuno che non sopporti più... insomma, pur dovendo sempre "trafficare", è tutto più leggero.

Ma rieccomi a te. Un pensiero di dispiacere me lo hanno anche espresso coloro che ti leggevano sempre e non sono sui social: a loro un pochino sei mancato davvero. Ora va detto: da dove si riparte? Ebbene, qualcosa da dire ce l'ho, altrimenti non sarei tornata! Riparto dalla storia appallottolata, a quelle pagine che, con non-challance, gente di tutti i tipi e di tutte le età, accartoccia e butta via come se niente fosse. 

Buttano via la Resistenza, parlano di nuovo di fascismo come se niente fosse stato. Buttano via la Shoah, la deridono, la disprezzano, pure certi sindaci, mica dei beoni da osteria ubriachi, no, no, anche dei sindaci. Poi appallottolano le lotte operaie, la conquista dello Stato sociale, le battaglie femministe, le emancipazioni a tutti i livelli dicendo che è tutta roba vecchia, anacronistica, da comunisti. E buttano via anche quella pagina lì. Ma non è mica finita, sai, accartocciano anche la cultura, quello strumento così importante per aprire un pochino la mente ed avere l'opportunità per tentare di comprendere i fenomeni. Meglio consumare, godere, inseguire i beni materiali, fagocitare il proprio ego, sbraitare perché arrivano i migranti, perché ci ruberanno tutto, ci sgozzeranno, ci faranno a pezzi e ci metteranno nei trolley. Meglio difendersi da queste brutture, invocando un capo popolo come Benito, che sappia comandare, ducere, ripulire da quella feccia NON italiana che ci ha invasi,

Ecco, ce la stiamo passando male. Siamo caduti proprio in basso, sai, e quelli che hanno ancora un filo di ideologia, quelli che cercano di vedere la storia per quello che è il suo corso, quelli che non la appallottolano, ma cercano di ricordarla, di trarne insegnamenti e soprattutto di provare a comportarsi dignitosamente, ebbene, lo sai come sono stati definiti? Buonisti. Ci sarebbe da ridere, ma è tutto talmente grave e triste che con ce lo possiamo permettere. Sbraitano, invocano il fascismo, sparano, hanno bisogno di sbranare l'altro ed anche me che non la penso come loro.

Allora ho pensato che forse era bene ritornare a raccontarti un pochino come butta, a fare il punto della situazione, perché tu "non scorri" come di là, tu rimani. Tu non dimentichi e per una volta appallottolo anch'io qualcosa, ovvero questo presente fatto spesso e volentieri di niente o, peggio ancora, di ignoranza. La storia però la tengo a mente, quella non la dimentico di certo: è lei che mi dà forza per sopportare questo difficile ed incerto momento.



sabato 27 gennaio 2018

Giorno della Memoria


AGAVE 

Non sono utile né bella,
non ho colori lieti né profumi;
le mie radici rodono il cemento,
e le mie foglie, marginate di spine,
mi fanno guardia, acute come spade.
Sono muta. Parlo solo il mio linguaggio di pianta,
difficile a capire per te uomo.
È un linguaggio desueto,
esotico, poiché vengo di lontano,
da un paese crudele
pieno di vento, veleni e vulcani.
Ho aspettato molti anni prima di esprimere
questo mio fiore altissimo e disperato,
brutto, legnoso, rigido, ma teso al cielo.
E’ il nostro modo di gridare che
morrò domani. Mi hai capito adesso?


Primo Levi, 10 settembre 1983


Grazie, Gian Paolo Lanteri, per questa segnalazione