giovedì 25 dicembre 2014

Buone Feste


Auguri a tutti di Buon Natale 

e Buon Anno Nuovo


martedì 16 dicembre 2014

I Santéti

U Santétu de Cabanéte

Le edicole votive, in dialetto santéti, sono state costruite dalla gente quale oggetto di culto religioso. Spesso non esiste traccia storica della loro esistenza, se non qualche testimonianza orale tramandata di famiglia in famiglia. Alcune sono state conservate con cura, altre hanno subito i danni del passare del tempo. 
Durante una grigliata, in un giorno qualsiasi, parte un'iniziativa dal basso che si propone di procedere al restauro delle edicole "bisognose". In prima battuta i commensali pensano di rivolgersi all'associazione degli Alpini oppure all'associazione culturale del paese, ovvero A Cria: quest'ultima, chiamata in causa, inizia così un percorso per capire il da farsi.
I santéti non hanno una natura giuridica ben precisa: non appartengono alla Chiesa, né al Comune; solitamente insistono su di un terreno privato, ma al momento in cui si decide di intervenire con il restauro subentra la Soprintendenza per i beni storici ed è necessario attenersi alle regole che detta sapendo che, con questo Ente, occorre muoversi con molta precisione e accuratezza.
A Cria decide di assumersi questo onere e si informa debitamente per produrre la documentazione necessaria. L'iniziativa parte nel mese di maggio su proposta di Oscar Rossi e se ne parla al bar, tra amici, cercando di individuare le persone competenti. Con un rapido scambio di informazioni con l'Istituto Internazionale di Studi Liguri, A Cria riceve sufficienti indicazioni sul da farsi. Il primo aiuto ce lo fornisce la restauratrice Silvia Alterini, che ci dice quali titoli deve avere la persona adatta per la nostra causa e si adopera per metterci in contatto con la dott.ssa Raffaella Devalle.
In un secondo tempo occorrono informazioni di tipo tecnico e l'architetto Tullio Gugole non esita a mettersi a disposizione per fornire quanto necessario; infine necessita l'autorizzazione dei proprietari del terreno su cui si trova l'edicola da restaurare, che la concedono compiaciuti.
La trafila sembra poco impegnativa, ma in realtà necessitavano relazioni e redazioni di documenti ben precisi, soprattutto per evitare lungaggini burocratiche per incompletezze o quant'altro.
Ieri è arrivata la risposta della Soprintendenza, che ha dato parere favorevole!


L'autorizzazione della Soprintendenza
(Cliccare sopra per ingrandire)

La comunicazione è giunta anche al Comune, che non sapeva nulla dell'iniziativa. In effetti non era stata divulgata, perché si aspettava il buon fine della domanda: se ne parlava al bar, è vero, non era certo un segreto di stato, anzi, qualche privato si è offerto di voler contribuire al restauro, ma per l'associazione era importante ottenere prima l'autorizzazione e poi darne notizia al fine di intraprendere anche il percorso per reperire i fondi necessari.
Ora siamo giunti al dunque: l'autorizzazione, come un regalo di Natale, è arrivata e d'ora in poi si dovrà ragionare per dar corso al restauro e alla sua finanziabilità.

U Santétu da Maciurina

L'auspicio è che, come spesso accade nei paesi, non ci siano quelle solite stizze perché A Cria non ne ha parlato prima con le "autorità". Ognuno porta avanti il proprio operato per il bene del luogo in cui vive e se l'associazione si era prefissa di darne comunicazione ufficiale dopo aver avuto la certezza dell'autorizzazione, questo va accettato come una libera scelta. 
Finché ci sono energie da spendere per il bene comune, bisogna convenire che c'è solo da rallegrarsi: peggio vanno le cose quando non si fa nulla o si va contro di esso.
U santétu de Cabanéte è solo l'inizio, poi toccherà a quello da Maciurina: come potete ben vedere nella foto, non se la passa molto bene neanche lui.
Personalmente ringrazio tutti color che hanno collaborato e soprattutto per lo spirito con cui l'hanno fatto. E non dimentichiamoci che siamo solo all'inizio...


giovedì 11 dicembre 2014

Amare senza ritorno


Amare
senza ritorno,
ogni dettaglio,
ogni piccola parte
del volto
o del corpo coperto
in inverno.
Amare
senza sapere
il perché,
sentire soltanto,
allontanando
il pianto.
Amare cos'è,
respiro di vita,
anima lieve,
abbraccio
e calore.
Amare ogni giorno,
amare lo stesso
anche senza ritorno.

Autore Anonimo


giovedì 4 dicembre 2014

Il forno venduto

Testo pubblicato in data odierna su La Riviera, a mia firma: senza rabbia, né rancori, ma con disappunto e dispiacere. Il titolo che riporta il giornale "Il comune ha svenduto il nostro passato" non è una mia frase. Per me il titolo è quello che ho dato a questo post.

Vallebona - Vico Forno

Il Comune di Vallebona non ha in dotazione un grande patrimonio immobiliare ed è un peccato dover assistere alla vendita di parte di quel poco che possiede. Tuttavia ciò è accaduto e, nello specifico, ai locali delle ex docce pubbliche e dell’ex forno comunale, due stanze una sopra all’altra, ma con entrate autonome sull’incrocio di due diversi vicoli.
Senza nostalgia o reminescenza del tempo che fu, quei locali avevano a suo tempo offerto opportunità e servizi per la collettività e, benché fossero da molto tempo in disuso e dunque bisognosi di restauro, ci si stupisce di come sia potuta sorgere l’idea di venderli.
La cifra, 43.000 €, meno di 1.000 euro al mq.,  non era poi così significativa da permettere di risolvere chissà quale annoso problema economico e quei locali avrebbero potuto dare ancora delle possibilità alla collettività se solo si fosse pensato a come destinarli.
In un'epoca in cui ci si avvale di micro-economie per sopravvivere ad una floricoltura agonizzante, sarebbe stato opportuno valutare il restauro e l’insediamento di una cucina a norma in una stanza e una linea di imbottigliamento dell’olio, delle salamoie e di altre conserve nell’altra. Il cibo, oggetto di Expo 2015, è uno degli argomenti più importanti del momento e un paese agricolo non può prescindere dalle sue potenzialità.
Con un prodotto di nicchia come L’acqua di fior d’arancio amaro, che è già presidio Slowfood e pubblicizzato ad ogni manifestazione nazionale di rilievo (vedi Salone del gusto di Torino, per citarne uno recente); con una ricetta di ravioli elaborata dalla Pro Loco, che ha dato lustro e fama al paese grazie alla sagre; con un’intera generazione di ragazzi che ha frequentato la scuola alberghiera; con la ristorazione che settimanalmente garantisce il flusso di almeno un centinaio di persone in bassa stagione, come non si è potuto pensare che esistessero già significativi presupposti per andare in una certa direzione?
Scuole di cucina per i turisti, laboratori per i bambini, possibilità alle persone con turni prenotati di cucinare piatti dolci o salati in ambienti idonei e in regola… il tutto nel cuore del paese, laddove un tempo pulsava la vita della comunità e che ora è terribilmente spenta.
Immagino già le obiezioni: c’è poco spazio, non ci sono soldi, non interessa a nessuno. E invece il problema è un altro: quello che  manca è la politica della comunità, una visione finalizzata a dare impulsi affinché il “bel paese” esca da quell’apparenza sterile e trovi forme di vita e, di conseguenza, di economia, con idee e progetti presumibilmente finanziabili da parte della Comunità Europea.
Mi stupisce infine il fatto che tutte queste cose il vice-sindaco le sapesse, in seguito ad un incontro post elettorale avvenuto a giugno con i rappresentanti degli enti che operano nel paese. Gli era stato detto questo ed altro, tutti elementi che avrebbero dovuto essere analizzati al fine di fare veramente una politica tangibile per la comunità. Ed invece picche.
Il mio modo di essere, che non può scindere il cuore dalla ragione, reagisce a questo evento con disappunto e con profondo dispiacere. Nulla da ridire sull’acquirente, anzi, è una persona di tutto rispetto, il problema è un altro. Il problema è che la storia non si vende, la storia si fa.

lunedì 1 dicembre 2014

Cerea Remo e cerea au furnu

Remo Guglielmi
"Pausa" di Maria Grazia Rebaudo

Quando nel 2006 Remo, il panettiere, ci ha lasciati, gli dedicai lo scritto che segue. L'ho "ripescato" perché oggi ho saputo che anche il luogo in cui faceva il pane, u furnu, proprietà del Comune, è stato venduto. Per me è un'altra morte, non per chissà quale nostalgica o poetica fisima, ma perché quel locale rappresentava un'opportunità per vitalizzare il paese. Si poteva riadattarlo a luogo per cucinare, ma soprattutto per insegnare a cucinare ai turisti, si poteva, attraverso quel piccolo spazio, seminare qualcosa destinato a crescere nel tempo, con una Expo 2015 che punta sul cibo, con un momento storico in cui "non ci resta che mangiare". Non mi dilungo sulle potenzialità, mi dispiace e basta.
E chi ha deciso di venderlo, sono certa non è stato minimamente sfiorato dall'uso che se ne poteva fare. 
Chi l'ha venduto non sa di essere in Europa.

"I ricordi che ognuno di noi porta con sé del proprio esistere sono un patrimonio spesso arricchito e valorizzato dal trascorrere del tempo, soprattutto quando le trasformazioni del modo di vivere ci fanno un po’ rimpiangere il tempo che fu. Personalmente penso che ciò che si è vissuto durante l’infanzia racchiuda una magia, un incantesimo che nessun altro periodo della vita è in grado di offrirci.
E così, attingendo proprio dalla mia infanzia, ritrovo un quartiere di Vallebona, inu Careira, dove sono nata e ho vissuto fino all’età di 12 anni e dove le esperienze non sono state certo tutte positive, ma molti di quei ricordi sono ancora oggi un prezioso bagaglio che porto volentieri con me.
Dedico questo scritto a Remo, u panaté, che da poco ci ha lasciati, perché è stata una presenza importante.
Con il suo pane sono diventata “grande” (…e non solo!), ma la sua figura è stata così ricca di particolari che vale la pena farne un ritratto.
Fischiettava sempre, aveva le ciabatte perennemente infarinate, la canottiera bianca o blu estate e inverno e in quel forno, dall’atmosfera calda e quasi irreale, vedeva avvicendarsi buona parte del paese per cuocere torte verdi, pisciarae, torte dolci e quant’altro.
Il pane, il pane di Remo, come tutto il pane del mondo, aveva le sue particolarità…
I filoni bagnai cun a pumata erano mitici e resteranno nella memoria di molti come uno di quei gusti mai più ritrovati; poi c’erano le rosette con lo spacco in metà, belle gonfie e bianche, i cornetti diventati poi banane, le muneghe e le biove. Ma al martedì e al venerdì pomeriggio, con la riapertura del negozio, c’erano le briosce e i canestrelli che, pur avendo una denominazione abbastanza generica, nella mente di ognuno di noi sono qualcosa di ben preciso. Quante volte andavo a vedere, uscendo di corsa dal magazzino, se Remo aveva già sceso quel ben di dio per la merenda! …e magari dopo una o due volte in cui non trovavo nulla, Palmira mi diceva: “Va’ in po’ a vé in tu furnu si sun prunte…” Ecco, quella familiarità, quella libertà, quella complicità che era innata nella vita del paese rimane per me una delle cose più belle che il vivere in un piccola comunità possa offrire.
A tutte le ore Remo lo si sentiva, anche d’in casa, trafficare nel carugiu. Arrivava con l’ape blu, rigorosamente senza porte e senza telone dietro la schiena, con le bombole che savagiavano da un lato all’altro del cassone, oppure portava i rifornimenti per il negozio.
Scherzava sempre bonariamente, in modo sommesso, e mi ha sempre colpito questo suo essere estroverso ma non chiassoso, direi quasi discreto… Naturalmente dal quadro non può essere dimenticato quanto all’avanguardia fosse il negozio, il primo simbolo di progresso nei confronti degli altri esercizi commerciali esistenti. Il soffitto a giorno con mattoni di vetro, la scala a chiocciola, la disposizione della merce bene in vista sugli scaffali, la vetrina sempre invitante, le luci… insomma, allora esisteva solo la Standa e a me sembrava una miniatura della stessa a Vallebona!
Ringrazio sia lui che Palmira per avermi fatto partecipe di questa bella esperienza, così come molti altri un po’ più vecchi di me aggiungerebbero alla lista anche il servizio da loro gestito delle docce pubbliche. Ah, dimenticavo… Il salame dolce! Cume u l’eira bon…, ma era anche una concessione delle grandi occasioni, perché in quegli anni non era domenica tutti i giorni come adesso e fare un po’ di economia era la regola. Nasceva, sì, la società dei consumi, ma alle spalle c’era ancora vivo il ricordo della penuria e la parola “spreco” era bandita dal vocabolario.
“Remo, ma cousa vö dì cerea?” “Ciau in piemuntese…”  …anche questo l’ho imparato da lui.
E nello stesso modo lo saluto per l’ultima volta. Cerea, Remo…"

P.S.: Remo era il papà dell'attuale vice-sindaco.

sabato 29 novembre 2014

Aurevoir Monsieur

Vito

Una settimana fa festeggiavamo i tuoi 58 anni, 
oggi ti abbiamo accompagnato 
all'ultima dimora. 


Nella vita ci sono persone che, per la loro condizione, diventano già da bambini “l’amico speciale”.
Per noi, nati e cresciuti in un piccolo paese, tra asilo, piazza e scuola elementare in pluriclasse, per noi, bambini nati nella seconda metà degli anni Cinquanta, l’amico speciale eri tu, Vito.

Lo sanno bene i tuoi compagni di classe del 1956, Graziella, Aldo e Pino che eri l’amico speciale, perché tra di voi è rimasta nel tempo un’unione che tra le altre classi si è persa. E lo sappiamo bene anche tutti noi che siamo nati in quello stesso periodo.

A scuola sapevamo che c’eri, pur nella tua diversità di comportamento, pur essendoci a modo tuo,  sapevamo che c’eri e facevamo di tutto per aiutarti, di quel poco che eravamo in grado di fare per te.

La tua lucidità e le tue difficoltà hanno convissuto nel tempo, dandoti una grande capacità di accettazione della tua condizione. Non ti sei mai dimenticato di nessuno di noi: non importava se stavamo anche tanto tempo senza vederti, tu c’eri lo stesso e all’occasione dimostravi interesse e presenza di spirito alla vita di ognuno di noi. Mentre noi eravamo sempre più presi da mille cose, sempre di fretta, sempre senza tempo per occuparci di un amico con cui la vita non era stata altrettanto generosa, tu c’eri lo stesso.

E grazie a quel po’ di autonomia che la motoretta ti aveva permesso, siamo riusciti ad incontrarti più spesso, soprattutto al mercoledì, quando andavi “in giù” all’edicola. E allora ci siamo regalati qualche occasione in più di amicizia, per scherzare e ridere, perché con noi ti piaceva fosse così.

E poi la festa, la tua festa di compleanno, quella che da qualche anno a questa parte avevamo battezzato Il Vito day. Non era solo la tua festa, era anche la nostra: era l’unica occasione in cui ci ritrovavamo tutti assieme per una bella serata, sempre più partecipata, sempre più voluta, perché per noi era straordinario sintonizzarsi al tuo cuore pulito, incontaminato.

Ti abbiamo lasciato anche tanto da solo, ne siamo consapevoli. Si dà sempre colpa alla vita, all’essere inghiottiti dentro ai meccanismi che la regolano, mentre invece abbiamo semplicemente peccato di egoismo e sarebbe stupido non ammetterlo. E soltanto ora ci rendiamo conto che non solo ti abbiamo fatto mancare tante cose, ma abbiamo perso l’occasione di ricevere tante belle cose da te, perché sapevi liberarci dalle catene della nostra mente e riportarci alla semplicità e alla verità.

Non ti dimenticheremo, Vito, siamo solo disperati per il fatto che te ne sei andato all’improvviso e così presto e non possiamo che augurarti di essere ora in un mondo-altro dove non ti tocchi più la sofferenza.

Ti salutiamo col cuore gonfio, ma dobbiamo lasciarti andare.
Ti ho parlato e salutato a nome di tutti, Vito.

Solo una cosa voglio ancora recitarti, una strofa di canzone, quella che abbiamo cantato in ogni occasione e che forse più di ogni altra ci rappresenta per quello che è stato il nostro esserci incontrati su questa terra:

“Carissimo Pinocchio, amico dei giorni più lieti, con tutti i miei segreti, torna ancora, nel mio cuor come allor”

Aurevoir Monsieur, bon voyage


giovedì 20 novembre 2014

Il Vito day


Quando un evento si ripete costantemente nel tempo e lo si avvalora sempre più sorge spontaneo dargli un nome e così è nato il "Vito day".

 Vito Taggiasco

Nei paesi si nasce e si cresce promiscui: ci si sente come una grande famiglia. 
La mia generazione, quella degli anni Cinquanta, vide un considerevole uso del forcipe per aiutare le donne nel parto, strumento nato nel 1572 e che è sempre stato oggetto di forti dibattiti. Vito, più di altri che subirono soltanto ferite superficiali, rimase leso in maniera assai grave, riportando problemi di deambulazione, rallentamento e trattenimento della parola, senza che tuttavia gli fossero negate una lucida intelligenza e una buona dose di saggezza.

 Graziella, Pino, Aldo e Vito: la classe del 1956

La pluriclasse era un sistema scolare che rafforzava l'unione tra i bambini: Vito era inserito insieme a noi e lo aiutavamo in tutti i modi possibili, un ruolo che oggi si chiama "sostegno" e che allora non era previsto. Chi finiva per primo di fare le operazioni o i pensierini, sapeva che poteva andarsi a sedere vicino a Vito e aiutarlo.

Marcello, Giorgio, Aldo, Oscar, Jose (il bimbo), Vito, Pino e Nino

Da molti anni, il 19 novembre festeggiamo insieme il suo compleanno: cascasse il mondo, non ce ne importa nulla, per noi è il Vito day. Una cena che ci riunisce in qualità dei più stretti amici d'infanzia, cresciuti nella consapevolezza dei suoi problemi e volendogli naturalmente tanto bene.

Pia e Vito 

Gli piace cantare: durante le cene del Vito day si canta sempre, anche tra una portata e l'altra. La serata è sempre all'insegna dell'allegria e dello stare bene e puntualmente si centra il bersaglio.
Le foto sono del 2012 e riflettono l'atmosfera che si respira ogni anno:

 Aldo, Oscar e Vito

 Vito, Oscar e Nino

 Aldo, Graziella e Vito

La tavolata conta sempre un minimo di 15 persone. Si alternano anche personaggi più giovani o meno giovani, tanto è sicuro che è sempre uno stare insieme speciale. 

 Il regalo dell'anno scorso: il libro su Antonio Rubino

Con buona pace della sottoscritta, che solitamente è incaricata dagli altri di provvedere al regalo, lo scorso anno gli abbiamo regalato il libro che Marco Cassini ha scritto su Antonio Rubino. La maggior parte dei convenuti non sapeva o non ricordava l'autore del Signor Bonaventura, ma Vito invece ne era ben consapevole: suo padre è di Baiardo, paese di origine di Rubino e ne conosce tutta la storia!
La sua condizione, che spesso dimentichiamo durante gli altri giorni dell'anno, ci riporta in questa occasione ad una dimensione dell'umano su cui riflettere. Puntualmente constatiamo che Vito è pulito, non è contaminato come noi. Non si fa trovare impreparato su nessun argomento e le sue risposte hanno quel fondo di verità che diventa una rivelazione anche per noi. 
Il Vito day, oltre che la sua, è anche la nostra festa, perché quello che riceviamo dalla qualità di questo nostro stare assieme è tantissimo. 
Vito c'è.

domenica 9 novembre 2014

Frida Kahlo e Diego Rivera a Genova

La parte di Pedro - Diego Rivera

A Palazzo Ducale, a Genova, è in corso la mostra dedicata a Frida Kahlo e a Diego Rivera. E' strutturata in maniera netta: la prima parte comprende prevalentemente opere di Rivera, la seconda è uno stacco fotografico, la terza riguarda le opere di Frida Kahlo. Già dai primi quadri, si avverte un'energia possente, qualcosa che fa pensare ad un uomo imponente. E' un emozione che si attiva e rimane viva per tutto il percorso espositivo.

Ritratto di Natasha Gelman - Diego Rivera

Diego Rivera, pittore a 360 gradi, spazia in tutti i campi, ritrae personaggi dell'aristocrazia, situazioni di vita di ogni genere e di ogni classe sociale, è proiettato nel sociale, è estro.

Murales - Diego Rivera

I suoi Murales raccontano la storia della rivoluzione messicana, sono ricchi di particolari, densi, potenti, nulla viene trascurato... Rivera è uomo del suo tempo e uomo senza tempo, che segue il corso della storia, coi suoi grandi ideali, i suoi voltagabbana, i suoi compromessi, i suoi ritorni.

Frida Kahlo e Diego Rivera

Frida e Diego sono due grandi artisti. Lei ha 21 anni in meno, si conoscono tramite Tina Medotti, italiana, fotografa, comunista, emigrata in Messico e si sposano nel 1929. La loro storia è travagliata: si separano nel '39 per risposarsi nel 1940. Vivono agli alti vertici politici della vita del loro paese, la loro casa ospiterà Lev Trotsky durante l'esilio; hanno contatti con Henry Ford, i murales di Rivera decoreranno l'industria automobilistica americana.

Frida Kahlo

Una serie di 80 fotografie separa le opere di Diego Rivera da quelle di Frida Kahlo. Il padre di lei, di origine tedesca, era fotografo e l'archivio è molto ricco. Durante questo "intermezzo" pensavo di aver già ricevuto così tanto dalla vista dei quadri di Rivera che quelli della Kahlo non mi avrebbero potuto impressionare più di tanto.

Frida Kahlo - Autoritratto

E invece no. Man mano che i suoi ritratti mi passano sotto gli occhi, sento di essere "trasferita" in una dimensione decisamente "altra" rispetto a quello che avevo visto fino ad allora. Tutto un altro mondo di emozioni: quei ritratti, quell'espressione quasi sempre uguale e se stessa, tanto nelle foto come nei suoi dipinti, mi cattura come una calamita: Frida è intro.

Frida Kahlo - Autoritratto (part.)

E' bellezza, è amore, è perfezionismo dell'immagine, è femminile, è insondabile, è silenzio, è sofferenza trasformata in qualcosa di assoluto. I suoi occhi sono vivi, guardano, vedono attraverso i nostri occhi: è un gioco di specchi, un regalo che trasmette ad ogni donna che incontra il suo sguardo e che grazie a lei può vedere se stessa. 
E' tanto, tantissimo. 
E lo dice anche con le parole:

"Vorrei darti tutto ciò che non hai mai avuto,
neppure così sapresti 
quanto è meraviglioso amarti"

Immensa.


venerdì 24 ottobre 2014

Il Pastis


Il Pastis è un aperitivo alcolico profumato all'anice tipico della Francia, nato nella città di Marsiglia, con un contenuto di alcol di solito intorno al 40-45%, anche se esistono versioni analcoliche della bevanda. Il suo nome viene dall'occitano e significa "pasticcio" o "miscela" in questa lingua. 


Quando in Francia fu proibito l'assenzio, i maggiori produttori, Pernod e Ricard (che poi si sono fusi nella Pernod Ricard) riformularono le loro ricette introducendo l'anice, lo zucchero e l'alcool. Da allora, tuttavia, la ricetta della bevanda è cambiata considerevolmente. 

Dosatore

Tipica bottiglietta per l'acqua

Pastis nature

Il Pastis si beve di solito diluito con acqua (con un rapporto di 5 volumi di acqua per ognuno di Pastis), che ne diminuisce notevolmente il contenuto alcolico e, portando alcuni dei suoi componenti a essere insolubili, prevalentemente l'anetolo, ne cambia l'aspetto da giallo scuro limpido a giallo chiaro lattiginoso. La bevanda va consumata fredda, anche con ghiaccio, per rinfrescarsi nelle giornate calde.
Il Pastis può essere nature se preparato solo aggiungendo acqua, oppure:
perroquet (pappagallo) con sciroppo di menta verde;
tomate (pomodoro) con sciroppo di granatina;
rourou con sciroppo di fragola;
mauresque (moresco) con sciroppo di orzata.


Sebbene consumato in tutto il paese, il Pastis è tipico della Francia sudorientale, specialmente a Marsiglia e in Provenza, dove è considerato, come la Pétanque, parte dello stile di vita. Data la vicinanza geografica è diffuso anche in alcune zone del Piemonte, soprattutto in provincia di Cuneo, e nella Riviera ligure di ponente. 


In queste zone, le abitudini francesi sono molto sentite e non saprei dire se accade altrettanto oltreconfine rispetto alle nostre tradizioni. Il Pastis, soprattutto nell'entroterra del ponente ligure riscontra ancora un discreto consumo, benché le mode cambino continuamente. Forse sarà per rimanere fedeli al detto:


...o forse semplicemente perché il Pastis è buono e naturale.
Tuttavia, di Ricard famosi in Francia non c'è solo il Pastis, ma anche il monaco buddista di scuola tibetana Matthieu Ricard, persona di grande e profonda cultura.

Matthieu Ricard

I suoi saggi garantiscono la continuità del dialogo tra Oriente e Occidente e i diritti d'autore percepiti egli li cede per i suoi progetti umanitari. E' un grande personaggio, insignito da Mitterand col titolo di Cavaliere dell'Ordine Nazionale del Merito. L'Università del Wisconsin lo ha sottoposto ad un esame specifico di risonanza magnetica connessa con una zona del cervello correlata all'emozione positiva: il risultato (strabiliante) ha gli ha assicurato il primato di "uomo più felice del mondo".

Beato lui, noi ci possiamo concedere soltanto qualche attimo di "felicità" con un Ricard al bar.


venerdì 17 ottobre 2014

La voce a te dovuta


Che allegria, vivere 
e sentirsi vissuto.
Arrendersi alla grande certezza, 
oscuramente, 
che un altro essere, 
fuori di me, 
molto lontano mi sta vivendo.
Che esiste un altro essere 
con cui io guardo il mondo 
perchè sta amandomi 
con i suoi occhi.
Che esiste un’altra voce 
con cui io dico cose 
non sospettate 
dal mio gran silenzio 
e che mi ama 
anche con la sua voce. 
E quando lei mi parlerà 
di un cielo scuro, 
di un paesaggio bianco, 
ricorderò stelle 
che non ho visto, 
che lei guardava, 
e neve che nevicava 
nel suo cielo. 
Con la strana delizia 
di ricordare di aver toccato 
ciò che non toccai 
se non con quelle mani 
che non raggiungo con le mie, 
tanto distanti.
E spogliato di sé potrà 
il mio corpo riposare,
tranquillo, morto ormai.
Morire nell’alta certezza 
che questo viver mio 
non era solo il mio vivere: 
era il nostro…


Pedro Salinas (1891 - 1951)


sabato 11 ottobre 2014

E' Genova che piange



E' Genova che piange sotto i tuoni
col mare che si frange contro il porto;
nessuno, anche stavolta, s'era accorto
che stessero arrivando le alluvioni.
E' Genova che soffre le urla e i suoni
d'un battere di pioggia assai distorto;
non pare vero, eppure un uomo è morto
con l'acqua che ha sommerso anche i portoni.
E incalza la questione sempiterna
di chi sian state colpe e negligenza
per la tragedia sotto la Lanterna.
M
a ancora chi ha da subir la penitenza

dell'incapacità di chi governa
è il popolo che vive l'esistenza.


Claudio Capponi di Bologna 
Presa da Facebook

giovedì 9 ottobre 2014

La mela Carla

Mela Carla

Dal sito www.saperesapori.it:
"In Liguria ci sono diverse mele tradizionali. Quella probabilmente più diffusa è la Mela Carla: si trova in tutto l’entroterra, è gialla con macchie rosse, ha una polpa bianca lievemente acidula. La polpa finissima, brillante alla vista, morbida al senso, e nello stesso tempo croccante, è fragrante, saporita, e sugosa.
La Mela Carla si raccoglie sul finir di Settembre e si serba sino alla primavera, maturando gradatamente. Essa ha il vantaggio, sopra le altre Mele vernine, di esser mangiabile sino dal primo momento che si raccoglie, e di sviluppare consecutivamente, nei diversi gradi della sua maturazione, delle qualità differenti, che le danno un pregio diverso. 
In Ottobre è di un verdastro giallognolo, coperta da un lato di un bel rosso di rosa, a polpa croccante, piena di sugo e di un sapore forte. Essa sviluppa in Novembre una fragranza che assomiglia un poco a quella dell’Ananasso, e la sua polpa prende un sapor più gentile. In seguito il color verdastro si volta in un bel giallo cereo, e si copre sovente di qualche macchia di ruggine pallida: il rosso diviene allora meno vivo, o si perde, e l’odore svanisce o resta appena sensibile: la polpa diventa morbida senza cessare di essere fine, e non perde il suo sapore che al ritorno della primavera".

Tutte queste cose non le sapevo. Grazie all'amico Tino di Soldano, che qualche anno fa si è messo in testa di ricostruire un frutteto per recuperare tutte le vecchie cultivar di frutta (e anch'io ho dato una piccola collaborazione procurandogli degli innesti), oggi ho "ri-mangiato" dopo decenni una mela Carla del suo frutteto... Ahimè, signori, non si tratta di decantare chissà quale assoluto sapore di bontà, ma di "ri-assaporare" il proprio vissuto. Mangiavo e mere Carle a casa dei vicini, dalla nonna Amabile (che così chiamavo pur non essendo nonna di sangue, ma sicuramente nonna di fatto): erano giallo pallido, piccoline, ma avevano quel sapore inconfondibile. La mela Carla che ho mangiato oggi non aveva ancora le proprietà di quelle dell'infanzia, perché sono ancora un po' acerbe, ma la consistenza della polpa e il profumo appena accennato sono un preludio sicuro al ritrovamento di quel gusto. Una sorta di recherche, un ritrovamento del tempo perduto, senza la nonna Amabile, però...


sabato 4 ottobre 2014

Elevazione


Al di là degli stagni, delle valli e dei monti,
al di là dei boschi, delle nuvole e dei mari,
al di là del sole, al di là dell'aria,
al di là dei confini delle stellate sfere,

tu, mio spirito, ti muovi con agilità
e, come buon nuotatore che gode tra le onde,
allegro solchi la profonda immensità
con indocile e maschia voluttà.

Fuggi lontano dai morbosi miasmi,
voli a purificarti nell'aria più alta,
e bevi, come un puro liquido divino,
il fuoco chiaro che colma spazi limpidi.

Felice chi con ali vigorose,
le spalle alla noia e ai vasti affanni
che opprimono col peso la nebbiosa vita,
si eleva verso campi sereni e luminosi!

Felice chi lancia i pensieri come allodole
in libero volo verso i cieli nel mattino!
Felice chi, semplice, si libra sulla vita e intende
il linguaggio dei fiori e delle cose mute!


da i Fiori del male di Charles Baudelaire 


lunedì 22 settembre 2014

L'albatros


Io ero un uccello 
dal bianco ventre gentile, 
qualcuno mi ha tagliato la gola 
per riderci sopra, 
non so. 
Io ero un albatro grande 
e volteggiavo sui mari. 
Qualcuno ha fermato il mio viaggio, 
senza nessuna carità di suono. 
Ma anche distesa per terra 
io canto ora per te 
le mie canzoni d'amore.


da I fiori del male di Charles Baudelaire 


lunedì 8 settembre 2014

La facciate delle chiese dell'entroterra imperiese

 Civezza

Qualche anno fa mi fu detto (da non ricordo chi) che la maggior parte delle facciate delle chiese dei paesi dell'entroterra imperiese sono rivolte a nord: mi limito alla nostra provincia, perché non conosco la realtà delle altre tre.

 Dolceacqua

Con un rapido excursus della memoria sui paesi che meglio conoscevo, verificai che la cosa aveva un fondamento, anche se "la maggior parte" non significa ovviamente "tutte".

Vallebona

Il motivo, mi venne detto, era da attribuirsi alla venerazione della montagna, fonte di risorse per la sopravvivenza: un segno di rispetto, dunque, ai benefici che essa rendeva alle popolazioni.

Montalto

Questa "informazione" mi rimase impressa e, inevitabilmente, ogni volta che vado in un paese mi viene spontaneo guardare la direzione in cui "guarda" la facciata della chiesa. Devo ammettere che è proprio così, ma vorrei approfittare di voi, lettori del blog, per chiedervi se sapete qualcosa in merito.


domenica 24 agosto 2014

Nel tempo dei lupi


Il bel libro di Giacomo Revelli, Nel tempo dei lupi, ambientato in alta valle Argentina, mi ha appassionato e talmente incuriosito al punto di chiedere al mio amico Gian Paolo, buon conoscitore della zona, di accompagnarmi alla ricerca dei luoghi di cui parla il romanzo. Naturalmente ha accettato la proposta e così, con i relativi consorti, ieri ci siamo regalati una giornata davvero speciale.

Realdo (Im) - Alta valle Argentina

La valle Argentina è una delle più belle valli del ponente ligure. Non occorre raggiungere la sua sommità per coglierne il fascino, ma quando si arriva nei pressi di Realdo, ecco che inizia una sorta di incantesimo, che permane per tutto il tempo che vi si rimane.

Borniga e il monte Gerbonte

Oltrepassato Realdo, arriviamo a Borniga, l'ultimo piccolo agglomerato di case: dopo troveremo soltanto casolari abitati ancora oggi o a suo tempo dai pastori. La "piramide" del Gerbonte inizia a rivelarsi come una presenza costante. Il paesaggio è splendido e ciò che Revelli descrive nel libro inizia a rivelarsi. 


Arriviamo a Er Pin, dove alcuni cacciatori stanno spaccando legna per l'approvvigionamento del loro rifugio e chiediamo dove si trova Abenìn, il luogo in cui "vive" Giusé Burasca, il pastore protagonista del romanzo insieme a Guido. Abenìn è pressoché dietro il loro rifugio.

 Abenìn

Mi coglie l'emozione quando arriviamo ad Abenìn: il libro mi ha coinvolto parecchio e ritrovarmi "realmente" nel luogo in cui è ambientato non è cosa di tutti i giorni. Pur essendo in una conca, il posto è splendido, anche se i segni della modernità inseriti qua e là ne deturpano a tratti l'originale bellezza.

La casa di Giusé Burasca

Ed ecco il casone vero e proprio. Ci abita qualcuno, c'è un paio di calze stese, un pastore che in quel momento non è presente. Ed io cerco di immaginare Guido e Giusé Burasca trascorrere il tempo in quel contesto ripercorrendo alcune parti del romanzo di Revelli.

Il monte Gerbonte 
e, presumibilmente, Bareghe d'r Bola

Guido ha un compito ben preciso: deve installare un'antenna per la banda larga sulle montagne tra Italia e Francia e questo incarico, per lui abituale, si rivela ricco di avventure nel momento che il luogo indicato è Bareghe d'r bola, posto impervio da raggiungere e che solo Giusé Burasca conosce bene e quindi potrà accompagnarlo. I cacciatori incontrati poco prima non ne conoscono l'esistenza, ma prima di andarmene, fotografo per istinto quel versante verso il Gerbonte e...

 Moraldo, Gian Paolo e Luigi

...quando a Realdo incontriamo e Luigi ed il suo amico Moraldo, gli unici che conoscono il toponimo in questione, ecco che, a grandi linee, ci dicono che  si trova proprio in direzione della zona che ho fotografato! Ero contenta, avevo realizzato lo scopo di individuare i luoghi del romanzo, diversi da come li avevo immaginati leggendolo, ma con la possibilità di entrare relamente in ciò che Giacomo ha narrato e che ho recensito qui.

Preparazione dei sugéli

Intanto tutto il paese, bambini e vecchi compresi, si sta preparando alla festa dei sugéli, il piatto tipico di Realdo. Migliaia di pezzi di pasta vengono compressi col dito pollice per dar vita ad altrettante "orecchiette" da consumare per cena tutti assieme. 


E' sorprendente vedere l'unione di una intera comunità "temporanea" per prepararsi la cena. Realdo e Verdeggia, due paesi al limite dell'ampia valle Argentina, praticamente disabitati durante l'inverno, si ripopolano inverosimilmente durante l'estate, ripristinando costumi di vita ormai perduti. Persone originarie del posto che tornano, turisti che hanno scelto quei luoghi per le loro abituali vacanze: un pullulare di vita, con gare di bocce, partite a calcetto, capannelli di persone nei carugi che vivono una dimensione che pensavo perduta. Una meraviglia. Abbiamo incontrato chi volevamo, si sono create situazioni e coincidenze quasi magiche... Forse, in quei luoghi, è rimasta un po' di stregoneria positiva, o per lo meno, sopravvive la possibilità di essere ancora "uomini".
Più volte ci siamo detti: "Come abbiamo potuto distruggere questi mondi per inseguire la modernità? Che patrimonio abbiamo perso..."
Meno male che esistono ancora queste possibilità e sopratutto meno male che bambini e giovani ne possono fare esperienza: insegnamenti di vita dai quali, un domani, non potranno prescindere.