martedì 31 gennaio 2012

Dimensione neve

Bosco di Urbe (Savona)
Foto di Matteo Zunino

Non sarà certo solo la riviera ligure a non conoscere la dimensione neve, ma la riflessione che mi sorge è volta ad esprimere le mie impressioni su questo fenomeno insolito per noi.
Laddove non è consuetudine che scenda la neve, è pur vero che quando ciò accade comporta più danni e disagi che apprezzamenti. I fiori potrebbero gelare: nella migliore delle ipotesi soltanto i raccolti se le temperature non si abbassano troppo oppure anche le piante se la colonnina di mercurio va in caduta libera, come accadde nel 1956 e nel 1985. E purtroppo c'è una cadenza temporale che si aggira tra i 25-30 anni tra l'uno e l'altro, quindi facendo bene i conti ci siamo in pieno...
Ovviamente ci sono anche disagi per muoversi in automobile: io, ad esempio, non ho mai montato né posseduto le catene! 
Il grigiore che si instaura durante questi giorni, il silenzio, la "paura" del gelo... ecco tutto ciò non è congeniale a chi vive in zone a clima mite. 
Eppure la dimensione neve è innegabilmente bella, ma purtroppo non si riesce a gioirne. Umidità, freddo, scivolosità, acqua gelata nei tubi, riscaldamenti a manetta, inattività... eh no, non fa per i floricoltori liguri.
E' per questo che siam ben contenti che scenda e anche in abbondanza nei luoghi preposti, ma che si risparmi pure la stravaganza di raggiungere le nostre zone!


domenica 29 gennaio 2012

Cade la neve



Sui campi e sulle strade
silenziosa e lieve
volteggiando, la neve
cade.

Danza la falda bianca
nell'ampio ciel scherzosa,
poi sul terren si posa,
stanca.

In mille immote forme
sui tetti e sui camini
sui cippi e sui giardini,
dorme.

Tutto d'intorno è pace,
chiuso in un oblìo profondo,
indifferente il mondo
tace.



Ada Negri (1870 - 1945)

Post n. 500!


giovedì 26 gennaio 2012

Da Marì


"Da Marì" è un'idea.  
Si dice che sia vitale avere un sogno da inseguire e così io ci sto provando. E' un sogno assai semplice, non difficile da realizzare: trattasi di una cucina da allestire nel magazzino in cui confeziono fiori da una vita,  per avere uno spazio comodo e aperto in cui ricevere gli amici. Un'idea che sta incontrando propositi di collaborazione negli amici stessi, perché disponibili a dare una mano se idraulici o falegnami o muratori. 
Pentole grandi per piatti unici da consumare insieme a chi c'è; accoglienza, condivisione, voglia di curare i rapporti umani. "Marì" è colui/colei che all'occorrenza si prende la briga e la libertà di preparare qualche prelibatezza. "Da Marì" è il luogo in cui ci si ritrova, un modo di stare insieme. D'altronde Marì è il nome di donna più comune in vernacolo, così in Liguria come a Napoli, insomma, un simbolo.
Anche se invecchiando molti cibi diventeranno proibiti, ci sarà sempre la possibilità di consumare un piatto di minestrone in compagnia senza alterare trigliceridi o colesterolo. E fare il minestrone per gli amici è sempre una grande gioia.


lunedì 23 gennaio 2012

Solo una bacca


"Il piccolo stagno sonnecchiava perfettamente immobile nella calura estiva. Pigramente seduto su una foglia di ninfea, un ranocchio teneva d'occhio un insetto dalle lunghe zampe che stava spensieratamente pattinando sull'acqua: presto sarebbe stato a tiro e il ranocchio ne avrebbe fatto un solo boccone, senza tanta fatica. Poco più in là, un altro minuscolo insetto acquatico, un ditisco, guardava in modo struggente una graziosa ditisca: non aveva il coraggio di dichiararle il suo amore e si accontentava di ammirarla da lontano.
Sulla riva, a pochi millimetri dall'acqua un fiore piccolissimo, quasi invisibile, stava morendo di sete. Proprio non riusciva a raggiungere l'acqua, che pure era così vicina. Le sue radici si erano esaurite nello sforzo.
Un moscerino stava annegando. Era finito in acqua per distrazione. Ora le sue piccole ali erano appesantite e non riusciva a risollevarsi. E l'acqua lo stava inghiottendo. 
Un pruno selvatico allungava i suoi rami sullo stagno. Sulla estremità del ramo più lungo, che si spingeva quasi al centro dello stagno, una bacca scura e grinzosa, giunta a piena maturazione, si staccò e piombò nello stagno.
Si udì un "pluf!" sordo, quasi indistinto, nel gran ronzio degli insetti.
Ma dal punto in cui la bacca era caduta in acqua, solenne e imperioso, come un fiore che sboccia si allargò il primo cerchio nell'acqua. Lo seguì il secondo, il terzo, il quarto...
L'insetto dalle lunghe zampe fu carpito dalla piccola onda e messo fuori portata dalla lingua del ranocchio.
Il ditisco fu spinto verso la ditisca e la urtò: si chiesero scusa e si innamorarono.
Il primo cerchio sciabordò sulla riva e un fiotto d'acqua scura raggiunse il piccolo fiore che riprese a vivere.
Il secondo cerchio sollevò il moscerino e lo depositò su un filo d'erba della riva, dove le sue ali poterono asciugare.
Quante vite cambiate per qualche insignificante cerchio nell'acqua".


Bruno Ferrero, Cerchi nell'acqua - Piccole storie per l'anima, Editrice Elle Di Ci, Leumann (Torino), 2004


venerdì 20 gennaio 2012

La tossicodipendenza da crescita


"La nostra società ha legato il suo destino a un'organizzazione fondata sull'accumulazione illimitata. Questo sistema è condannato alla crescita. Non appena la crescita si ferma è la crisi, il panico. (...) Questa necessità fa della crescita una "camicia di forza". L'occupazione, il pagamento delle pensioni, la spesa pubblica (istruzione, sicurezza giustizia, cultura, trasporti, sanità, ecc.) presuppongono l'aumento costante del prodotto interno lordo (PIL). (...) Alla fine, il circolo virtuoso diventa un ciclo infernale... La vita del lavoratore si riduce perlopiù a quella di un "biodigestore che metabolizza il salario con le merci e le merci con il salario, transitando dalla fabbrica all'ipermercato e dall'ipermercato alla fabbrica". 
Per permettere alla società dei consumi di continuare il suo carosello diabolico sono necessari tre ingredienti: la pubblicità, che crea il desiderio di consumare, il credito che ne fornisce i mezzi, e l'obsolescenza accelerata e programmata dei prodotti, che ne rinnova la necessità. Queste tre molle della società della crescita sono vere e proprie "istigazioni a delinquere". 
(...) Siamo dunque diventati dei "tossicodipendenti" della crescita e, per dirla con Dominique Belpomme: "La crescita è diventata il cancro dell'umanità".

Se è ormai riconosciuto che il perseguimento indefinito della crescita è incompatibile con un pianeta finito, le conseguenze (produrre meno e consumare meno) sono invece ben lungi dall'essere accettate. Ma se non vi sarà un'inversione di rotta, ci attende una catastrofe ecologica e umana. Siamo ancora in tempo per immaginare, serenamente, un sistema basato su un'altra logica: quella di una "società di decrescita".

Serge Latouche, Breve trattato sulla decrescita serena, Bollati Boringhieri, Torino 2010, pag. 26-27 e quarta di copertina


mercoledì 18 gennaio 2012

Freddo secco

"Bosco d'inverno
di Pietro Gandolfo Chiusanico (IM)

Chi svolge un'attività agricola ha una connessione pressoché continua con la meteorologia. Inevitabilmente gli andamenti delle stagioni sono monitorati in funzione delle necessità e dei processi produttivi. L'osservazione è attenta e ogni tanto si arriva a constatazioni o conclusioni che si acquisiscono solo strada facendo.

Ginestra 

Siamo nel bel mezzo della stagione floricola: protagonista la ginestra che in questo inverno di freddo secco trova il suo habitat ideale. Sono cose che si sanno, ma solo quando si esperimentano se ne ha la prova e la conferma. La maturazione è progressiva e cadenzata, il fiore è turgido e croccante, la colorazione è assunta in maniera perfetta e lo stelo assetato si rigonfia dopo aver aspirato la sua sana dose d'acqua nel secchio.
Peccato che in tutto questo bailame di perfette coordinate si debba inserire il problema commerciale, che inspiegabilmente mortifica il prezzo di un bene così particolare e laborioso, rendendo quasi vano l'operato di migliaia di persone. Nonostante l'abbondanza di luce che questo inverno ci sta offrendo, continuiamo a vivere oscurati da meccanismi di profitto che solo l'uomo sa innescare. E a chi ne è vittima rimangono ben poche chances.


lunedì 16 gennaio 2012

Pablo Picasso a Pisa


Anche per andare a vedere la mostra di Picasso a Pisa, l'associazione culturale A Cria di Vallebona è riuscita ad organizzare un pullman e concedersi questa opportunità. Ovviamente con tutti gli annessi e connessi, visto che Picasso, il grande e geniale Picasso, implica sempre tanti dubbi e tante difficoltà ad essere capito.
Umilmente mi esonero dal giudizio. La mostra era ricca ed ho molto apprezzato, in particolare, l'esposizione degli splendidi disegni della serie Il pittore e la modella. Ci sono state opere che mi sono "giunte" altre che proprio non sapevo cogliere: ora come ora, devo ammettere che sento un certo subbuglio dentro di me. 
Seguono nel post alcune immagini di quadri che non commento. Dirò soltanto che il primo era quello che avevo assunto a simbolo della mostra, quello che avrei voluto "cogliere" eppure non ci sono riuscita, perdendo in qualche modo una sfida: con Picasso mi rimangono ancora molti punti interrogativi.

Nature morte à la corbeille de fruits, 1942

Buste de faune, 6 settembre 1946

Busto de mujer con sombrero, 1962

Autoritratto, 1907


Pisa, Campo dei Miracoli

Pisa ci ha ben accolti e ci ha salutati con una luce splendida di delicato arancione su tutto Campo dei Miracoli. Un pezzo della nostra Bella Italia, in cui si avverte tuttavia la depressione e il cambiamento in atto nei visi, negli usi, nei costumi. Città di gite scolastiche, di ricordi lontani, ma precisi. Città, come il resto del paese, che non merita decadenza.


venerdì 13 gennaio 2012

Il cellulare lasciato sul copriletto



Sibila il cellulare
lasciato sul copriletto
nella mia camera d'albergo
simile ad un insetto
levigato, ingigantito.
Mi risveglio e lo prendo.
E' la voce che attendo.
Ti dico grazie, vita.
Domenica mattina
e tu mi sei vicina
da un mare all'altro mare
va chiara la tua voce.
Forse tu mi vuoi ancora.
Miracolo che continua.
Luce di un'altra aurora.


Giuseppe Conte (Imperia 1945)

mercoledì 11 gennaio 2012

A Carignano, 13 anni fa...

Genova, chiesa di Carignano
Funerale di  Fabrizio De André
13 gennaio 1999

Forse è stato l'unico funerale di un grande al quale ho partecipato e vorrei condividere con i miei lettori alcuni momenti di quella giornata, in particolare due. La piazza era naturalmente gremita e mi trovavo poco distante dalla scalinata di accesso alla chiesa. C'erano delle casse che, a volume discreto, trasmettevano le canzoni di Fabrizio prima e per tutto il tempo della messa. Aleggiava un'emozione molto viva di dolore: Fabrizio se n'era andato e si era di fronte alla perdita  di un maestro. Ero lì, sola, le mie compagne di viaggio erano piazzate da un altra parte. Ero sola, sì, ma in mezzo a migliaia di persone che come me partecipavano all'ultimo saluto a Fabrizio. La musica tace, sta per uscire il feretro ed ecco che mi accade la prima cosa incredibile. Un anziano signore dietro di me, nel silenzio della piazza, inizia a fischiare le note de A simma, una delle canzoni di Fabrizio che amo di più, perché la so tutta e la canto ogni volta che preparo la cima per gli amici: non è tra le più conosciute, è un pò "nostra", in genovese, di noi liguri, particolare. Neanche glielo avessi detto a quel signore di fischiare proprio quella... una pelle d'oca che ancora adesso mi torna se ci ripenso.
Ecco che escono dalla chiesa. Lo portano in spalla giù dalla scalinata e sul davanti, sulla sinistra, c'è Cristiano, suo figlio. La cassa poggia sulla sua spalla destra, ma io noto la presa della mano sinistra sulla bara; quella presa mi colpisce, non capisco il perché, ma mi rimane impressa negli occhi e nel cuore. La sera dopo, alla tv, fanno vedere l'ultimo concerto dal vivo di Fabrizio de André a Roma, partecipi anche i suoi figli, una meraviglia. Ce lo fanno vedere tutto, anche le scene a tendoni tirati, dietro le quinte, a concerto finito. Ed ecco che Fabrizio va incontro a suo figlio, lo abbraccia, lo stringe a sè e la sua presa era identica a quella che mi aveva tanto colpito il giorno prima a Carignano.
Queste le mie indelebili emozioni, oltre a tutto il resto che Fabrizio ci ha dato e continuerà a darci.

martedì 10 gennaio 2012

Befana a Vallebona


Le feste son finite. Vallebona, come ogni anno, ha dato vita a 15 giorni di fògu du Bambin, il rogo che accoglie, soprattutto la sera, allegre brigate di persone che bivaccano per mangiare qualcosa insieme e, se possibile, ascoltare musica. 


La serata più particolare di quest'anno, almeno per me, è stata quella del minestrone. Le grigliate son belle e buone, ma non si vive di sola carne... e così nasce l'idea di cucinare una mega pentola di minestrone, con tutte le verdure di stagione e i classici ditalini rigati come pasta: una marmitta piena sparita in un batter d'occhio. Tamburi, bongo, flauto e zampogna hanno poi cesellato la splendida serata.


L'attesa per eccellenza rimane tuttavia quella del rogo della Befana, tradizione che a Vallebona si consuma da oltre quarant'anni. I ragazzi che la preparano sono fantastici: generalmente è una Befana in tema con l'attualità e quest'anno era dedicata a Monti che, purtroppo, non si vede nella foto, ma era nella gerla sulle spalle della vecchia.


Ha sorpreso, quest'anno, la presenza di molti bambini: l'indomani non c'era scuola e quindi era possibile per loro rimanere desti fino alla mezzanotte, l'ora fatale! Ciò, tuttavia, fa riflettere, perché significa che la nomea di questo rito dilaga anche tra i più piccini. Essendo, però, questa Befana "degli adulti" un pò pericolosa perché strapiena di petardi, sarebbe opportuno dedicare loro una Befana apposita, da bruciarsi sul tardo pomeriggio, di modo che non debbano concedersi solo quella che cade di venerdì o sabato ed essere esposti al pericolo.


Alé, il rogo divampa, i botti esplodono ed ognuno vive il rito ancestrale buttandovi dentro i propri dispiaceri e facendo buoni propositi alla calda luce del fuoco. Sono solo cinque minuti, ma intensi, accattivanti: tutti vi pongono l'attenzione... e quest'anno eravamo davvero in tanti!


Dal complesso al semplice: qualcuno ha raffigurato a suo modo la befana, usando pochi, ma significativi elementi che mettevano in rilievo il contrasto con la befana montiana, frutto di una lunga serata di lavoro tra un folto gruppo di ragazzi, capeggiati dalla ormai consolidata protagonista dell'opera tale Sandra Milani... 


L'appuntamento è per il prossimo anno: si ricomincerà col Santo Natale, la catasta di legna, i presepi sparsi per il paese. Meritava cenno quello che vedete nella foto, ottenuto con il gioco delle ombre: anche in questo caso la semplicità era un elemento determinante per sancirne la bellezza.
E brava Vallebona!

Ringrazio l'amico Michel per avermi fornito le fotografie

sabato 7 gennaio 2012

Ombre

Ombre di fatica

Queste tre fotografie, scattate dall'amico Corrado Camillo, mi sono giunte via mail dallo stesso come regalo il giorno del mio compleanno: regalo insolito e, devo dire, graditissimo.

L'ombra del clero

La fotografia notoriamente non necessita di parole: l'occhio guarda e i pensieri scorrono, lasciando un'impressione silenziosa che però parla dentro di noi. 

Ruagi

Ruagi è un termine dialettale che stento a tradurre, anzi, non riesco proprio a trovare il corrispondente. Me la date una mano?

giovedì 5 gennaio 2012

La mia neve

Genista monosperma - Ginestra

L'inverno dei floricoltori liguri è bianco, come quello delle zone montane in cui scende la neve, che quest'anno (tra l'altro) si fa tanto desiderare. Ma la nostra "neve" sono gli infiniti fiorellini bianchi che ornano gli steli di ginestra, l'articolo più importante commercializzato sul mercato dei fiori di Sanremo.

Piante di ginestra fiorite 

Il bianco, il profumo, la fioritura in pieno inverno, lo stupore che ingenera ogni anno per il suo adattarsi alla specifica meteorologia, gli andamenti di mercato, le aspettative... tutto contribuisce a rendere questo fiore un qualcosa di particolare e diverso da ogni altro genere coltivato.


Cieli azzurri, mare, colline, muri a secco: le piante offrono il loro prodotto in contesti ricchi ed intensi, in quel midi italiano che è la naturale continuazione di quello francese, forse solo un pò meno valorizzato. Clima mite, colori, profumi, luce... a pensarci bene è quasi un lusso vivere in posti così!


La ginestra è un "viaggio". Questa è la definizione che ne diedi anni or sono nel libro che le dedicai e che mi valse quanto riportai qui; questo è quanto ci si ritrova a esperire ogni anno quando piano piano ci si addentra nella raccolta e nella lavorazione. Sì, è un lavoro faticoso, stressante, ansiogeno, ma è anche molto bello.



Miliardi di bianchi fiorellini profumati, che chimicamente trasformiamo in altri sette colori perché così vuole il mercato; piccoli, morbidi, delicati, ma capaci di sfidare la stagione più inclemente; misconosciuti in Italia, ma ambiti dai paesi del centro e nord Europa, perché contribuiscono a render loro la vita meno grigia e fredda; preziosi in tutti i sensi, perché per i floricoltori sono una basilare fonte di sopravvivenza.


Mani che "puliscono" la ginestra

L'evoluzione nel modo di coltivare la ginestra ha reso possibile semplificare processi di lavorazione che un tempo erano molto più complessi: il lavoro a dir poco "certosino" di ripulitura degli steli dagli apici privi di fiore è pressoché superato. Si svolgeva così come lo si può notare nella fotografia e lascio immaginare quanti apici era necessario tagliare per ogni stelo...
Speriamo sopravviva a questa crisi. In fondo è una coltivazione che ogni anno rinnova la stessa passione di sempre.


Le fotografie sono state prese dall'album di Genista monosperma su Facebook



lunedì 2 gennaio 2012

Inverno



Sale la nebbia sui prati bianchi
come un cipresso nei camposanti
un campanile che non sembra vero
segna il confine fra la terra e il cielo.


Ma tu che vai, ma tu rimani
vedrai la neve se ne andrà domani
rifioriranno le gioie passate
col vento caldo di un'altra estate.


Anche la luce sembra morire
nell'ombra incerta di un divenire
dove anche l'alba diventa sera
e i volti sembrano teschi di cera.


Ma tu che vai, ma tu rimani
anche la neve morirà domani
l'amore ancora ci passerà vicino
nella stagione del biancospino.


La terra stanca sotto la neve
dorme il silenzio di un sonno greve
l'inverno raccoglie la sua fatica
di mille secoli, da un'alba antica.


Ma tu che stai, perché rimani?
Un altro inverno tornerà domani
cadrà altra neve a consolare i campi
cadrà altra neve sui camposanti.


Fabrizio De André, tratto dall'album Tutti morimmo a stento, 1968

domenica 1 gennaio 2012

Buon 2012


...affinché non sia funesto! Auguri a tutti.

Ringrazio Carla Belotti per l'immagine