A 31
anni di distanza dalla I° edizione, il Premio di poesia dialettale intemelio U
Giacuré continua il suo cammino durante il quale è doveroso ricordare la sua
istitutrice, prof.ssa Marisa Amalberti De Vincenti. Un premio in memoria del
marito prematuramente scomparso e cultore del dialetto. Un concorso di poesia
che continua a coinvolgere un territorio compreso tra Nizza e la Valle
Argentina, insomma l’estremo ponente, il far west.
Per
questa edizione sono stati inviati 26 componimenti da sottoporre al vaglio
della giuria, della quale mi preme ricordare i nomi: Daniela Lanteri,
presidente, Ferruccio Poggi, Gianni Modena, Gianni Rebaudo e Marilisa
Sismondini. Nell’insieme il livello delle opere si è rivelato buono e, pur non
essendo U Giacuré un concorso a tema, si è notato che l’argomento maggiormente
trattato è stato quello riferito alla Natura.
Mi è
venuto spontaneo chiedermi “perché” e ho provato a dare una risposta.
Si
ritorna alla Natura e al suo ricchissimo mondo quando c’è una caduta di valori
altri: essa diventa un concetto di rifugio, quel qualcosa che stando al di là
del tempo e dell’uomo, continua imperterrita il suo miracolo, pur subendo
aggressioni e devastazioni di proporzioni esagerate da parte dell’uomo stesso.
L’osservazione
di molti di voi si è soffermata su micro-aspetti, quasi in contrasto con i
fenomeni di globale grandezza cui è giunta la comunità umana. L’infinitamente
piccolo e talvolta il sommerso, assumono quindi un magico aspetto pieno di
leggi sue proprie, immutabili, rinnovabili, perenni. Un mondo da osservare nel
momento in cui l’uomo non sa più dare il meglio di sé, nonostante la sua
preziosa intelligenza e magnifica emotività.
La
Natura, matrigna per leopardiana memoria, cattura l’osservazione, stupisce per
la sua energia vitale, incanta per la sua bellezza e diventa panacea di fronte
ad un quotidiano sempre più privo di valore, di spessore e di profondità.
I
sentimenti cedono il passo allo stupore quasi infantile che si cela nella
Natura. I sentimenti faticano a ritrovare una loro sede espressiva forse perché
il momento storico è troppo compulsivo, veloce e dà più voce all’agire che al
pensare e soprattutto al sentire; le emozioni si nascondono dietro una realtà
virtuale che non è comparabile alla realtà vera e propria: nessuna mediazione è
possibile laddove manca la presenza fisica dell’altro da sé.
Tutto
contribuisce ad impoverire l’anima, la vera sede della contemplazione e quindi
della poesia.