Ecco come ho celebrato il 25 aprile 2015 a Vallebona:
In Italia, il 25 aprile 1945 finì la Seconda guerra mondiale, quella combattuta contro il nazi-fascismo: gli alleati e i partigiani portarono a compimento la lotta di liberazione, gettando le basi per la nascita della democrazia. I partigiani potevano aspettare che fossero gli alleati a risolvere il problema, ma furono obbligati a scegliere da che parte stare, perché, come disse Italo Calvino, “bastava un nonnulla per essere considerati di questa o di quell’altra parte”. I partigiani furono costretti ad essere di parte, a schierarsi, ormai non c’era altra possibilità di scelta e la posta in gioco era alta.
E partigiani furono, partigiani divennero al di là della loro
matrice ideologica. Uomini, donne, ragazzi. Il popolo. Il popolo che si ribella
alla barbarie, che imbraccia le armi, che decide di combattere per la libertà a
costo della propria vita. E vince.
Tante le vittime, tante le brutture di cui essi stessi si
sono resi responsabili, tanti rischi, tanta la storia che entra nella loro
esistenza e che diventerà pane su cui formare le generazioni a venire, quelle
che hanno potuto cogliere il frutto del loro sforzo, ma che erano chiamate a
sapere e a tramandare.
Perché quel 25 aprile, da 70 anni, è pur sempre lo
spartiacque tra la pace e la guerra. Perché quel 25 aprile è le fondamenta
della democrazia. Perché quel 25 aprile ha visto nascere la Repubblica e la nostra Costituzione
col contributo di tutti coloro che si erano adoperati per abbattere la
dittatura. Perché quel 25 aprile ha indicato la via per costruire una nazione,
fatta di diritti, di doveri, ma soprattutto di condivisioni.
E sull’onda del principio delle società operaie
di mutuo soccorso nate alla fine dell’Ottocento, il dopoguerra dà vita alla
forma più evoluta delle stesse, ovvero allo stato sociale, base imprescindibile
di una democrazia. La pubblica istruzione, la sanità, i trasporti, la pubblica sicurezza, la
previdenza, l’assistenza all’infortunio… ecco, soltanto nell’elencarne alcune si
ravvisa quale passo gigantesco ha mosso una nazione nell’organizzare la vita
del suo popolo e mentre la memoria ne intravede l’alto valore etico, il pensiero
dell’oggi ci pone di fronte ad una riflessione: come abbiamo potuto abusare di
ciò che è stato costruito a così caro prezzo, dando vita ad un sistema corrotto
e corruttibile, consentendo alla disonestà di approfittare laddove le
circostanze lo permettevano senza pensare che la demolizione dello Stato
sociale è la fine stessa della democrazia?
L’oggi è dunque il problema, che alla luce della Festa della
Liberazione assume una connotazione ancora più grave. Molti hanno pagato un
caro prezzo per darci delle opportunità e non voglio credere che nell’arco di
così pochi decenni la bassezza umana possa farne piazza pulita.
Preferisco accodarmi al pensiero di Norberto Bobbio, laddove
sostiene che “se in Italia le cose non vanno come dovrebbero andare, la nostra
non sempre lieta situazione presente dipende da una ragione soltanto, ovvero
quella che non abbiamo ancora appreso tutta intera la lezione della libertà. E
siccome l’inizio di questo corso sulla libertà è stata la Resistenza, si dovrà
concludere che i nostri malanni non dipendono già dal fatto che la Resistenza
sia fallita, ma dal fatto che non l’abbiamo ancora realizzata. Un regime di
servitù, quando giunge alla sua esasperazione, si può strozzare in poco tempo,
ma la libertà, per consolidarla, ci vogliono decenni, adottando un
atteggiamento di modestia di fronte ai compiti giganteschi che richiede, con la
serietà dell’impegno nell’opera comune. Un regime di libertà non si crea con i
miti, ma con la chiarezza mentale applicata ai problemi socialmente utili e
neppure con l’indifferenza, ma con la partecipazione attiva ai problemi del
nostro tempo. Insomma non vi è nulla di cui valga di più la pena di
entusiasmarsi che la costruzione di una convivenza civile, in cui vi sia meno
corruzione, meno furberia, meno spirito di sopraffazione e maggior rispetto
delle opinioni altrui insieme al maggiore riserbo nella espressione delle
proprie. Non c’è che è un modo per realizzare la Resistenza ed è quello di
continuare a resistere.”
Preferisco accodarmi al pensiero di Bobbio, ho detto, per non
temere il peggio.
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