Ed
è proprio forse dal fatto che, nella vita di un tempo, l'uomo era
considerato più spirito che corpo, che è derivato l'uso di dire che
un paese era popolato da un certo numero di anime. E, a questo
proposito, non è del tutto fuori luogo il riferimento letterario
alle "Anime morte" con cui Gogol, nel suo romanzo, indicava
i servi della gleba passati a miglio vita. Così, per rimanere in
tema di trapassati, in dialetto essi venivano sempre ricordati
premettendo loro l'appellativo di bun'àrima, "la
buon'anima", espressione che oggi, almeno in italiano, suona
piuttosto ironica. Nelle chiese non mancava mai la cascéta
de àrime, destinata a raccogliere le offerte dei fedeli da
utilizzare per la celebrazione di messe per i defunti.
C'era
poi una domenica, la quarta di Quaresima per l'esattezza,
chiamata duménega de àrime perché dedicata a
particolari funzioni in loro suffragio. A Bordighera, nello stesso
periodo dell'anno, si tiene ancora oggi una tradizionale fiera
chiamata anch'essa delle àrime. Ma, poi, i discorsi
quotidiani erano farciti di anima a più non posso: che viveva a
lungo u l'aveva l'àrima düra, chi era in
apprensione per qualcosa u stava cun l'àrima apesa e
chi gridava disperatamente per chiedere aiuto u ragliava
àrime perse. A un rompiscatole si minacciava ina
barrà in sce l'àrima oppure si diceva nu stame a
rumpe l'àrima.
In
un catasto del 1795 si legge di "Una terra detta il
Serro delle anime con fichi ed olivi" e, spiccando un
salto alquanto acrobatico, come non ricordare che in Spagna si
trovano certe locande sulla cui insegna si legge "Venta
de las almas?"
Renzo Villa, Dialetto ieri e oggi, Cumpagnia di Ventemigliusi, Pinerolo (To), 1996
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