La
parola "Natale", mediata dalla lingua italiana, ha quasi
sostituito definitivamente Deinà, termine con il
quale i nostri antenati indicavano la festa del 25 dicembre.
Sulla
sua etimologia non vi sono dubbi, in quanto sia il dialetto ligure,
sia il piemontese ed il lombardo l'hanno ricevuta dal latino Dies
natalis, giorno della Natività. Sotto varie forme, tutte
riconducibili a Deinà, i vocabolari dialettali
della nostra regione riportano questo termine, ma più come una
curiosità linguistica che come parola di uso corrente.
La
sua decadenza deve risalire a molto tempo fa se, già nel 1876, il
Casaccia, nel suo dizionario genovese, la riporta così: "Dënâ,
Natale o Pasqua di natale. Voce del contado". E in questa
ultima annotazione è insita una regola costante nella vita delle
parole dialettali. Secondo la teoria del linguista Matteo Bartoli,
esse sono più persistenti nelle aree laterali, che solitamente si
identificano con le zone rurali, mentre tendono ad innovarsi al
centro, dove maggiore è l'urbanizzazione cittadina. Ma, nella
citazione di cui sopra, vi è una curiosità che non possiamo passare
sotto silenzio, quella “Pasqua di natale” che ricorda tanto la
Pascua de Navidad degli spagnoli.
Volgendo,
come sempre lo sguardo a Occidente, vediamo che la festa è Natale
a Mentone e a Monaco, Calena a Nizza e Nouvè o Calendo
in Provenza. Fra i detti legati alla festività natalizia,
ricordiamo «dürà
da Deinà a San Steva» usato
per indicare qualcosa di talmente effimero che la sua durata va dal
giorno di Natale all'indomani, festa di Santo Stefano.
Oggi
il nostro Natale è più che altro ridotto al rango di una qualsiasi
operzione commerciale e anche se, sul fronte linguistico,
l'antichissimo Deinà è
caduto in disuso, non possiamo fare a meno di constatare che il suo
suono arcaico ha il potere magico di evocare i tempi in cui il Natale
era soprattutto una festa religiosa che si celebrava nel calore della
famiglia.
Renzo Villa, Dialetto ieri e oggi, Cumpagnia d'i ventemigliusi, Alzani Editori, Pinerolo, 1996, pag. 85