Purtugalu (arancia), di forma tondeggiante
In
una denuncia di furto, avvenuta nelle campagne di Ventimiglia nel
1785, si legge che i ladri "avevano
portato via ortaglia e arance o sia portogalli". Poiché
gli agrumi erano una voce importante dell'economia agricola del
passato, proviamo un po' a ripercorrere la storia di questa parola
con la quale, in dialetto, si indica sia l'albero che il frutto. Essa
ci ricorda che le piante di aranci, originarie della Cina, furono
introdotte in Europa dai portoghesi circa 600 anni fa, e che dal loro
paese, il Portogallo, presero il nome. Nome che, nell'italiano
antico era "portogalli" poi facilmente dialetizzato
in purtugali e diffuso nella Liguria di ponente con
propaggini che raggiungono il nizzardo e il Piemonte occidentale.
Anche in questo, come in altri casi, la Liguria linguistica si spacca
nettamente in due col purtugalu usato ad ovest
e sitrùn o setrùn al centro e nel
levante. "Portûgâ, arancia di Portogallo" lo
definisce il Casaccia, ma altri dizionari genovesi danno, come più
antica, la voce setròn, che poi si diffonde ed è
in uso anche ai giorni nostri ad est fino all'area spezzina.
Sitrùn (arancia amara), di forma più appiattita sul fondo
Col
termine sitrùn/çitrùn, si intende invece, qui da
noi, quella pianta e relativo frutto che il Nuovo Glossario
medievale ligure definisce "Citronus, arancio
amaro" chiamato dai botanici Citrus vulgaris e
che, nell'autorevole La Mortola Garden, il
catalogo del Giardino Hanbury edito nel 1938, è riportato
come Citrus Aurantium L. varietas amara. Si trattava
di una pianta molto coltivata nella nostra zona per le essenze che se
ne potevano ricavare, data anche la presenza in loco di distillerie.
La
botanica ci ha fatto dimenticare il dialetto, al quale però torniamo
subito con l'aggettivo purtugalau che
significa color arancione, simile a quello della peröglia, la
buccia dell'arancia. Purtugalau era
riferito specialmente al colore che certi vini bianchi assumono
invecchiando. E, per finire, la parola galu che
in dialetto vuol dire sì "gallo" ma anche "spicchio"
sia dell'arancia che del mandarino.
Renzo Villa, Dialetto ieri e oggi, Alzani Editore, Pinerolo (To), 1996, pag. 83