martedì 25 aprile 2017

"Bella ciao. La canzone della libertà" di Carlo Pestelli


Pubblico il testo del mio intervento alla celebrazione del 25 aprile a Vallebona.
Ho attinto da un'intervista fatta all'autore da Andrea Giambartolomei e pubblicata a suo tempo su Il Fatto Quotidiano e dal bel pomeriggio che ho trascorso alla Pineta di Bordighera, l'estate scorsa, in occasione della presentazione del libro alla presenza dello scrittore, Carlo Pestelli.
Il pensiero finale è di Moni Ovadia, autore della prefazione al libro.

"A ricostruire le tappe dell’origine ed evoluzione di una canzone che seppur conosciuta da pochi ai tempi della Liberazione, si è poi trasformata in un simbolo, è stato Carlo Pestelli, nel libro per Add Editore “Bella ciao. La canzone della libertà”.

Da brano della Resistenza, poco diffuso tra i partigiani, a canzone simbolo della liberazione dal nazifascismo fino un inno internazionale di libertà, la storia di “Bella ciao” ha origini misteriose e controverse, ma anche un straordinario successo mondiale. A riassumerla oggi è Carlo Pestelli, musicista, cantautore, dottore di ricerca in Storia della lingua ed insegnante di linguistica generale alla Scuola Universitaria di Torino.

Da storico Pestelli recupera le ricerche sui canti popolari dalle quali riemergono le somiglianze di “Bella ciao” con alcuni brani dell’Italia settentrionale ormai quasi dimenticati. “Bella ciao è una ‘canzone gomitolo’ in cui si riuniscono molti fili. Il testo rimanda di sicuro a ‘Fior di tomba’, mentre è più complicato indicare l’origine della musica: c’è ‘Bevanda sonnifera’, ci sono alcune villotte nel Nord (la villotta è una forma polifonica a tre o quattro voci su testi di vario metro, nata nel XV secolo e di origine friulana) ed elementi kletzmer (è un genere musicale tradizionale degli ebrei)”.
Il primo brano, ad esempio, ha due elementi comuni, l’incipit “Una mattina mi son svegliato” e il finale con il fiore sulla tomba con “quelli che passeranno”, elementi che risalgono addirittura a un brano francese diffuso tra il XV e il XVI secolo.
Dal secondo brano, invece, prende il ritmo e le ripetizioni. Le note iniziali, inoltre, sono stranamente uguali a un brano kletzmer, “Koilen”, inciso da un ebreo di Odessa a New York nel 1919.

Come è arrivata alla seconda guerra mondiale? Innanzitutto va sfatato un mito: a lungo si è ritenuto che “Bella ciao” derivasse dai canti di lavoro delle mondine, le donne che coglievano il riso. “In realtà la versione delle mondine è nata dopo, negli anni Cinquanta”, spiega Pestelli. Citando gli studi di Cesare Bermani, autore de “La ‘vera’ storia di Bella ciao”, il musicista ribadisce che “Bella ciao” non era il brano partigiano più diffuso ed era noto ad alcuni combattenti di Reggio Emilia e del Modenese, ad alcuni componenti della Brigata Maiella che dall’Abruzzo erano arrivati a Bologna e ad altri partigiani delle Langhe.

Soltanto tempo dopo è diventato il brano partigiano per eccellenza. “Accade alla fine degli anni Cinquanta quando si ha la necessità di unificare le varie anime della Resistenza, quella comunista, socialista, cattolica, liberale, monarchica-badogliana – riassume -. Non si poteva usare ‘Fischia il vento’ o altri canti politicizzati. ‘Bella ciao’ slega la Resistenza dalle appartenenze di partito e racconta qualcosa che può essere atemporale”. Ed è per questo che il congresso Dc che elesse come segretario il partigiano Benigno Zaccagnini si concluse sulle note di “Bella ciao”.

Dopo l’incisione dei Modena City Ramblers e i governi Berlusconi si identifica la sinistra, quindi negli ultimi decenni.

La sua popolarità arriva nel 1963: lo chansonnier francese di origine toscane, Yves Montand (al secolo Ivo Livi) incide il brano che avrà un successo internazionale e, di riflesso, lo riporterà in auge anche in Italia, dove verrà eseguito da Milva e Giorgio Gaber. Poco dopo sono il festival di Spoleto e anche il Nuovo Canzoniere Italiano dell’entomusicologo Roberto Leydi (autore de “La possibile storia di una canzone”), che nel 1964 porta sui palchi italiani l’ex mondina Giovanna Daffini in uno spettacolo chiamato “Bella ciao”. Da lì in poi si è diffusa ovunque: secondo Pestelli il tema della libertà contro un oppressore non precisato lo hanno reso un brano adattabile, adottato dai braccianti messicani in California, dai curdi e dai turchi, dagli ucraini anti-Putin e da quelli filorussi e altri ancora. Ultimo in ordine di tempo, le manifestazioni dopo la strage nella redazione di Charlie Hebdo, pretesto da cui è nata l’idea del libro.

I francesi la amano molto: si potrebbe pensare che risvegli in loro la joie de vivre che ben si sposa con la loro mentalità. Benché sia risaputo il loro nazionalismo, sono gli unici che la cantano in italiano, consapevoli di cosa stanno cantando. E’ vero, Bella ciao sprigiona allegria, ma in realtà racconta la storia di un martirio: sarà il marcato richiamo ad uno dei cardini fondamentali della loro identità ad entusiasmarli, ovvero la libertà.

Pestelli riesce, senza rinunciare al rigore dell’analisi testuale, musicale, etnomusicologica e storica, a offrirci una lettura agile e coinvolgente e ci riesce perché oltre allo studio lo anima la passione: Bella ciao è un piccolo bene immateriale che agisce sulla coscienza come qualcosa che arriva da lontano, quasi a segnare il confine tra il buio della guerra e una nuova primavera dei popoli: un’elegia del presente che è anche, e sempre, una conquista esistenziale e una continua rinascita della storia delle libertà".


1 commento:

Gianni Modena ha detto...

Brava Pia! Aggiungo che probabilmente la canzone raggiunse la piena popolarità quando venne inserita come sigla in una serie televisiva di film sulla resistenza, nella primavera del 1964. La cantava appunto Ives Montand che, col suo accento francese, ne sottolineava ancor più quella spensieratezza agrodolce che caratterizza questo canto, pieno d'amore, di tristezza, di speranza ma, sopratutto, senza odio!