Contadina che cuce, 1881
Impensabile perdere la mostra di Van Gogh a Vicenza organizzata dal bravo Marco Goldin. Siamo andati, in tanti, come altre volte è accaduto con l'Associazione culturale A Cria: lezioni di storia dell'arte e tante opere da vedere, oltre ad una visita guidata nella splendida città di Vicenza.
Otto stanze di quadri in mostra, di cui le prime cinque si riferiscono al periodo olandese durante il quale Van Gogh dipinge, ma soprattutto disegna, la vita contadina. L'atmosfera è cupa, non per mancanza di luce, ma per condizione, tanto che il volto della gente giunge, alla fine, ad essere raffigurato come una patata.
Vecchio che soffre, 1882
Un animo sensibile e sofferente, il suo, che non vede riscatto nella vita contadina, ma solo fatica e malinconia. Il contesto dipinto è spoglio, marcatamente espressiva la figura con evidenti sproporzioni fisiche. Leggevo quella sofferenza per la fatica come un dato reale ancora ai giorni nostri: chi conosce il "contadinismo" conosce quella fatica, quella condizione, e ciò nonostante la affronta, la attraversa e la supera, perché così detta la realtà; ma nell'animo è una pena oscura per la quale si anela alla liberazione.
Testa di pescatore con cappello di tela cerata, 1883
La sorella con uno scialle, 1883
I volti di quei ritratti di uomini e di donne, clou a mio avviso della mostra, hanno una potenza espressiva intensissima ed appartengono tutti al mondo contadino, o, perlo meno, al popolo. Mi hanno fatto pensare, per contrasto, ad una successione di ritratti della borghesia, o meglio, dell'aristocrazia della stessa epoca: sono altre espressioni, trasmettono altre emozioni, sono libere dalla sofferenza derivante dall'indigenza. E allora mi sono chiesta se quel popolo raffigurato da Van Gogh fosse realmente così o se fosse, invece, solo il suo modo di percepirlo. Perché, comunque, in quei volti, c'era autenticità, verità, umanità, rassegnazione, rancore, dolore, cose che, a pensarci bene, non sono così scontate e riscontrabili nei volti di chi, al giorno d'oggi, versa nell'indigenza. Trattasi sempre di disperazioni che assumono, però, volti diversi.
Il giardino dell'ospedale di Saint-Rémy, 1889
Poi le altre tre stanze: la Provenza, la luce, la tanta luce.
Una sorta di bipolarismo volutamente rimarcato dal curatore tra opere di un periodo buio e di uno profondamente illuminato: ed ecco il Van Gogh per eccellenza, dell'emozione pura, del pianto inspiegabile davanti ad un suo quadro, del genio, dell'opera immortale, del capolavoro.
E, nella mostra, come al solito pochi quadri famosi e soprattutto pochi quadri, che diventano importanti e sufficienti grazie alla capacità commentativa della preparatissima guida. O perché comunque c'è quel "pezzo" che arriva dritto e filato all'anima, come per me Il giardino dell'ospedale di Saint-Rémy...
Il ponte di Langlois ad Arles, 1888
Una bella mostra, una bella lezione di storia dell'arte: sempre sia lode ai grandi artisti, che ogni volta ci riconciliano con la vita e con noi stessi e che ci nutrono l'anima per continuare il nostro viaggio che spesso si consuma in alto mare aperto. Un dialogo si schiude dentro di noi grazie a ciò che sulla tela, in altra epoca, qualcuno ha espresso proprio per andare al di là del tempo finito e comunicare ciò che nell'uomo è atemporale: la bellezza dell'essere attraverso l'arte.
1 commento:
Molto bello il tuo commento "a caldo" della mostra, dopo aver mangiato un pezzo di torta verde, accompagnato da un bicchiere di bianco. Mi permetto di aggiungere solo che oltre alla vita contadina, a te più affine, Van Gogh ha descritto anche quella dei minatori del Borinage, ancor peggiore, se possibile, a quella dei contadini.
Ciao
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