Si trattava di fare i Duzàiri o e Duzàire
(parole derivate dal numero dialettale duze, ovvero dodici), una pratica che
consisteva nell'osservare le condizioni del tempo durante i primi dodici giorni
di gennaio e da ciò pronosticare l'andamento meteorologico dei mesi dell'anno.
Così a giorni sereni o piovosi avrebbero corrisposto mesi di bel tempo o di
pioggia, a giornate calde o fredde mesi afosi o rigidi.
L'usanza, diffusa in tutta la Liguria, si
chiamava calèndie nell'imperiese e calàndria o calàndre rispettivamente
nell'area genovese e savonese. Una particolarità può essere considerata quella
del dialetto di Buggio, in alta Val Nervia, dove è in uso (o almeno lo era) la
parola diair(i)e.
Volgendo lo sguardo fuori casa, scopriamo
che in Spagna l'usanza esisteva con il nome las cabañuelas, come ci assicura
Pedro De Alarcon nella sua novella El año campesino, l’anno
contadino, in Nouvelas cortas, Madrid 1955. In questo saggio,
l’autore enumera le varie tappe dell’anno, viste nell’ottica dei contadini, per
i quali la divisione del tempo non avveniva in base alle date del calendario,
ma secondo lo svolgersi dei cicli naturali. Da altre fonti autorevoli, sempre
spagnole, si viene a sapere che l’osservazione delle vicende meteorologiche, ai
fini della previsione, riguardava i primi 12, 18 o 24 giorni di gennaio e di
agosto. In questo modo la validità del pronostico si prolungava fino ai mesi
dell’anno successivo.
Anche presso la comunità albanese in
Italia, si pratica questo antico sistema di previsione del tempo. Soltanto che
i 12 giorni presi in considerazione non sono i primi di gennaio, ma quelli che
precedono la festa di Natale, cioè dal 14 al 25 dicembre. Come si dice: paese
che vai, usanza che trovi.
Renzo Villa, Dialetto ieri e oggi,
Cumpagnia di Ventemigliusi, 1996, pag. 12
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