lunedì 14 novembre 2016

Rubens a Milano a Palazzo Reale

 Autoritratto

Con la semplicità del mio linguaggio, visto che non sono esperta in materia, provo a descrivere quanto ho visto ieri alla mostra "Rubens. La nascita del barocco" in corso fino al 26 febbraio 2017 a Milano a Palazzo Reale. Ancora una volta, l'Associazione culturale A Cria ha dato l'opportunità ai partecipanti di scoprire qualcosa di sublime, come in tante altre occasioni in passato.

 Ritratto della figlia Isabelle

La mostra non segue un filo cronologico, ma espone le opere per argomenti ed inizia con una sala dedicata ai ritratti, primo tra tutti il suo autoritratto e quello della figlia Isabelle. Ella morì in giovane età e l'amore del padre fu talmente grande da consentirgli di continuare per lungo tempo a dipingerla, tanto era impressa nella sua memoria l'immagine di lei.

L'adorazione dei pastori

Nel 1600, a 23 anni, Pietro Paolo Rubens raggiunse l'Italia a cavallo e vi rimase fino al 1608: voleva scoprire la grandezza dell'arte italiana, rivisitando il mondo classico. Le opere che dipingerà nel corso di quegli anni divengono un modello a cui ispirarsi: i santi vi sono rappresentati come eroi del mondo antico, le sante come matrone romane e gli angeli creano un dinamismo nuovo. E' in questa fase della sua opera che si può affermare la nascita del Barocco, di cui si faranno protagonisti Bernini, Pietro da Cortona, Lanfranco, Luca Giordano e altri ancora.

Cristo risorto

Grazie a Valentina, una bravissima e giovane guida, scopriamo che Rubens era un uomo depositario di molte virtù: bello, colto, ricco e soprattutto buono. Nella sezione dedicata al Sacro, si inizia a vedere la sua grande capacità di rappresentare il corpo umano, seguendo i crismi raffigurati nella scultura mutilata del Torso del Belvedere, l'opera di Apollonio di Atene. Di fronte a tanta perfezione, la mente non può fare a meno di ricordare quanto l'arte giustifichi il nostro vivere, ritornandoci il valore pieno della vita laddove spesso il pensiero tenderebbe a perdersi nel nulla. 

Achille scoperto da Ulisse tra le figlie di Licomende

Si arriva poi alla sezione dei Miti: di fronte a quest'opera, mi inchino. Rimango affascinata dalla scenografia, dal movimento, dall'ariosità, dalla ricchezza di dettagli, dalla simbologia e, mentre Valentina ne spiega il significato, capisco ulteriormente il motivo della mia attrazione: Achille, al centro, vestito da donna per mano della madre Licomede che vuole proteggerlo dal pericolo della vita maschile, viene riconosciuto da Ulisse quando, sentendo rumori di battaglia, Achille reagisce in modo diverso dalle sorelle. A quel punto Ulisse gli da un elmo, sicuro di averlo scoperto con certezza, nonostante l'abbigliamento femminile.
E' senz'altro il gioco tra maschile e femminile che tocca le mie corde, un gioco al quale da sempre mi sento esposta...

 Romolo ed Erittonio alla radici della civiltà occidentale

Sempre più densi di significato, i quadri di Rubens continuano a rapire e stupire. Egli è molto dedito allo studio e da ciò che apprende ha una immensa capacità di riprodurre in immagini i contenuti. In quest'opera egli vede le radici della civiltà occidentale: Romolo, primo re di Roma, ed Erittonio, re di Atene, sono raffigurati in un'articolata simbologia.

Il suicidio di Seneca

Ed ecco Seneca al momento del suo "suicidio", ovvero della sua condanna a morte: il suicidio, tuttavia, era proibito ed allora Rubens raffigura un medico sulla destra che, con in mano un bisturi, recide le vene al filosofo mentre un altro personaggio, sulla sinistra, è pronto ad annotare le sue eventuali ultime parole. Come al solito una fotografia non può di certo rendere l'effetto del quadro originale e l'imponenza ne è oltremodo sminuita...

Ercole nel giardino delle Esperidi

Il fascino della figura di Ercole si incontra più volte nelle opere di Rubens, che era molto attratto dalle virtù virili e di coraggio. Per Rubens la parola "problema" era sostituita dal termine "opportunità" per invocare quella capacità di superare le difficoltà riuscendone sempre vincitore, modello di vita che l'artista praticava in prima persona. Il fascino delle sue opere sta proprio nel "sentire" la presenza della forza come elemento positivo, non necessariamente da intendendersi come volontà di potere o di dominio, bensì come vera e propria virtù con cui affrontare la vita.

Il ratto di Ganimede 

La figura della mitologia greca classica celebre per essere il “coppiere degli dei” è certamente Ganimede: considerato da tutti, uomini e dei, il più bel giovinetto esistente sulla terra, Zeus se ne invaghì e lo rapì sotto forma di un’aquila gigante (ricordata nella costellazione vicina all’Acquario), trasportandolo sull’Olimpo e dandogli l’incarico di servire l’ambrosia agli dei, sostituendo Ebe. In questo mito l’acqua versata dall’Acquario/Ganimede rappresenta il nettare divino degli dei, la conoscenza e la saggezza che avvicinano agli dei. E qui si compie il connubio tra Mitologia e Astrologia.

Susanna e i vecchioni

Infine riporto la storia di "Susanna ed i vecchioni" che fu presa dalla Bibbia, più precisamente dal libro 13 di Daniele ed è il solo episodio in cui, alla tarda età, non viene associata la virtù, ma il vizio. Due magistrati traggono in inganno Susanna per violentarla. Per non tradire il marito, ella si ribella urlando e facendo accorrere i servitori, ma i due perversi gridarono a loro volta tacciandola di adulterio. Per lei non poteva che aprirsi la via di un processo che si sarebbe concluso con la pena di morte per lapidazione. Durante il processo entra in scena Daniele, convinto dell'innocenza di Susanna, e chiede di interrogare separatamente i due vecchioni e ad entrambi rivolge la stessa domanda. Alla domanda dove fossero Susanna ed il giovane amante, uno rispose "sotto un lentisco" e l'altro "sotto un leccio", svelando con la contraddizione la loro menzogna. Racconta la storia che i due vecchioni vennero condannati a morte secondo la legge di Mosè e Susanna salvò il suo onore, la sua dignità e la vita.

Di fronte alla bellezza mozzafiato di queste opere, ritorno ancora per un attimo sul concetto di "forza", essendo questo l'elemento che in ognuna traspare, perché non è affatto sinonimo di arroganza o di potere, ma il puro significato della stessa. Sarà perché troppo spesso ci viene a mancare, o perché assistiamo ad espressioni negative di essa, sarà perché l'epoca in cui viviamo ci impedisce di dare il giusto significato alle cose, insomma, ritrovarla con così tanta chiarezza non può che farci del bene.

Concludo ringraziando la curatrice della mostra, Anna Lo Bianco, e la bravissima Valentina, la nostra guida. Questa ragazza mi ha fatto pensare ad una canzone che recita "Cosa resterà di questi anni Ottanta"... Valentina appartiene a quel decennio e se resteranno persone come lei, possiamo tranquillamente dire che avremo buoni eredi!

E un grazie va anche all'amico Gian Paolo Lanteri che mi ha stimolato a scrivere questo post...


2 commenti:

Gian Paolo ha detto...

E così, avendomi immeritatamente citato, non posso far commenti.Però è valsa la pena che tu scrivessi.

Elena Bianco ha detto...

Il multiforme fascino della pittura fiamminga...
Da ogni opera emerge una travolgente potenza che coinvolge in pieno lo spettatore...dai morbidi nudi femminili,alle gesta di eroi e Santi interpretati da vigorose pennellate che delineano decisi effetti cromatici.Dunque, tutto molto interessante , ed un evviva alla compagnia!