domenica 28 febbraio 2010
Eppure ti amo ancora
abbi con me la mano
leggera.
Non accanirti contro chi ti ha amato
tanto e senza ragione,
come sempre chi ama amare deve.
D'ora in avanti scendi neve
sui miei capelli già bianchi
e come il vento l'erba,
accarezza i miei fianchi.
Lascia che si rimarginino
tutte quelle ferite
che tu mi hai procurato
e non aprirne di nuove.
Poiché fa presto sera,
tu leggera, leggera
abbi con me la mano.
Vedi in che stato sono.
Eppure ti amo ancora.
Eppure ti perdono.
Giuseppe Conte (Imperia 1945)
mercoledì 24 febbraio 2010
Vecchi impagabili
(...e la piccola pietra al suo posto!)
Il lavoro in corso d'opera
Mia mamma, con la sua volontà, la sua tenacia, la sua semplicità e il suo vivere nel "qui e ora" è una forza straordinaria: non c'è università che sappia insegnare meglio che cos'è la vita di certi "vecchi impagabili".
lunedì 22 febbraio 2010
All'ombra del campanile
La Foto non è di Maria Giovanna Casanova,
ma di Claudia Ferretti!
Pigna, nella Val Nervia, anticamente era il paese più ricco e quindi più importante della vallata. Il suo declino è iniziato dopo la II guerra mondiale, con la crisi dell'olivicoltura che era l'economia principale. Ne conseguì una massiccia emigrazione verso la vicina Francia, in particolare a Montecarlo, e in Inghilterra.
La neve della scorsa settimana ha reso il panorama assolutamente unico: una pignasca doc ha scattato e messo su facebook questa foto e io gliel'ho prontamente "rubata". Pignasco è pure mio marito, quindi conosco bene il luogo ed i suoi abitanti: insomma, a seconda del paese di provenienza del circondario, ci si identifica e ci si prende volentieri in giro, vivendo una dimensione molto ironica ed estremamente piacevole.
Certo che per i Pignaschi si usa spesso la frase "all'ombra del campanile", perchè danno la sensazione di essere quelli che più di ogni altro difendano la loro appartenenza, retaggio, forse, di una storia che per molto tempo li ha fatti sentire più importanti di tutti.
Vi risulta?
sabato 20 febbraio 2010
La bellezza terrena
il dolore più forte,
quello che stringe alla gola
e ti soffoca senza ragione,
il duro, labirintico
dolore dell'esistere,
il terrore di ogni passo,
come se ci fosse
un baratro ad attenderti
e il senso che sarà finito tutto
di colpo come per un proiettile
di fucile
come tutti coloro che ha ferito
un dolore così
smodatamente ho amato la carne
e cercato il piacere e idolatrato
la bellezza terrena.
Non ho da chiedere perdono a nessuno,
Dio lo sa se sei stato uomo di pena
Giuseppe, per diventare uomo
di gioia, per essere
come sei.
Giuseppe Conte (Imperia 1945)
venerdì 19 febbraio 2010
E' andata...
L'amico Gian Paolo Lanteri, nei limiti di tempo che aveva a disposizione, ha fatto una bella relazione, che mi ha "rapito", per cui addio fotografie...
Il libro è stato distribuito ai soci Cia presenti per il Congresso regionale, quindi ai rappresentanti le 4 province liguri che, tra la sorpresa e l'apprezzamento, hanno dato un bel segno di accoglienza all'iniziativa.
Mario Genari, lucido come sempre, ha speso un commento sull'operato, ma più che altro è stato grandioso quando ha espresso un suo dissenso su alcune questioni attuali, come a dire che non è venuta meno nè la sua grinta, nè il far valere la sua opinione.
Ero contenta, soddisfatta, anche se l'ultima parola spetta ai lettori.
Più che altro ero onorata di aver potuto raccogliere la memoria di un personaggio come Mario, perchè ogni volta che ci penso "sento qualcosa dentro il petto".
mercoledì 17 febbraio 2010
Le radici di un percorso
E' il mio secondo lavoro sull'argomento e non penso sia l'ultimo: ci sono ancora molte cose da dire.
Il primo è nato di getto e, nonostante l'intreccio contemporaneo di tre argomenti, non è venuto meno il protagonista, ovvero la ginestra.
Il secondo è stata una ricostruzione di quarant'anni di storia della Cia e della Cooperazione agricola nell'imperiese raccontata dal suo protagonista che, nonostante i suoi 88 anni compiuti, ha una lucidità incredibile; merita pubblicare due foto di quando eravamo in corso d'opera...
Mario Genari
Pia e Mario
lunedì 15 febbraio 2010
Terra poi mai
Che terra è poi mai
E' la terra del se.
Del ma senza conforto,
dell'ulivo contorto,
del muro che cade,
di mille sciarade di onde.
Del cielo che a sera confonde
le nuvole con i miraggi,
dei passaggi di vento lontano
sui profili azzurrati dei poggi.
Che terra è poi mai
E' la gemma staccata dal ramo
che arriva alle sponde,
la foglia in esilio
in un mare di onde.
Marco Scullino (Ventimiglia 1975)
sabato 13 febbraio 2010
L'incontro con...
La serata dei furgari era ormai finita.
Erano le due passate e Paula aveva appena lasciato l’abitazione del Buìn, dopo una cena e una baldoria degne del loro nome.
L’allegria aveva imperversato anche se il vino buono presto era finito e quello che girava sulla tavola non era affatto interessante: piuttosto che bere male, pensò, è meglio non bere.
Martial, il paraguayano, aveva suonato con vigore la sua chitarra per tutta la sera: i ritmi sudamericani sono quelli che meglio di ogni altro si adattano a creare calore e armonia. Ognuno cantava senza nessuna soggezione, trasportato da quel bohèmien che per tutta la vita non aveva fatto altro che suonare e cantare.
Paula salì sulla sua macchina, erano le due passate e sapeva benissimo che rientrare a casa, a quel punto, era logico e doveroso. Girò attorno alla chiesa dei domenicani, attraversò la piazzetta in cui ardeva ancora il falò e notò alcuni ragazzi intenti a cuocersi alcune rostelle sulla brace.
Appena finita la discesa avrebbe dovuto svoltare a U sulla destra, ma il suo sguardo fu attratto da un carugio che immetteva nel paese, dove lei sapeva avere un sospeso.
Oltrepassò un segnale di divieto di sosta posto a mezzo della stradina, urtandolo leggermente col retrovisore destro, trovò con facilità un parcheggio per la macchina, si imbacuccò quanto necessario e si avviò in Via Lercari alla ricerca di Vico Brea.
Taggia sembrava imponente, appena “usata” da centinaia di persone per consumare quel centenario rito dei furgari, che restituivano alla gente il senso della festa all’esterno, tipico dell’estate, in pieno inverno: sembrava una signora un po’ sbrodolata, col trucco sfatto, ma maestosa, come sempre.
Quei punti in cui ardevano i fuochi con alcuni irriducibili attorno avevano un che di letteralmente medioevale: il tempo poteva essere abolito e quel salto di secoli accadeva in un attimo.
Attraversando Via Lercari, notò che Taggia non aveva subìto negli ultimi anni quel lifting che invece a Vallebona aveva trasformato completamente il paese: lì per lì provò una sensazione di abbandono, di disagio, di fatiscente, ma subito ritovò la vera dimensione in cui era giusto porsi. Erano borghi antichi e tali dovevano rimanere: appena sbucò nella via principale, il ventre di Taggia la inghiottì e si sentiva felice.
Ma quel vicoletto cieco, dove si trovava?
Mentre si stava guardando attorno, sbucò uno dei pochissimi ragazzi di Taggia che conoscesse, il mancino, che con il suo cappello da brigante rafforzò la sua sensazione medioevale. Gli chiese istruzioni e le indicò prontamente la strada per raggiungere la sua meta: è proprio vero che quando le cose devono andare a buon fine non ci sono ostacoli che tengano.
Quei selciati a ciape grandi di pietra le davano un senso di solennità, di forza, di un operato mai più eguagliabile al giorno d’oggi; ripensava anche al fatto che solo a Taggia e a Vallebona ci sono i carugi lastricati con la pietra di Verezzo, con quella particolarità di presentare tre tagli sulla sua facciata e posata a file intercalate da un mattoncino rosso messo di costa: in nessun altro paese le capitò mai di vederle.
C’erano fuochi, persone perfettamente sconosciute che camminavano nella sua direzione e in quella contraria, probabilmente alterate, ma Paula era serena, sapeva che la sua meta era vicina e conosceva le “vie dei persi”, perché erano state anche le sue.
E finalmente una musica assordante le indicò che la cantina dove un tempo si faceva il vino e si confezionava il plumosus era quella di Jaime.
L’aveva intravisto, alla presentazione di un libro, mentre parlava con un comune amico, aveva carpito il nome del suo blog ed aveva iniziato a seguirlo.
Poi venne fuori la storia della discarica e i giornali pubblicarono un suo ritratto, dato che era uno dei principali promotori del comitato di difesa della valle destinata ad accogliere la rumenta.
Insomma, aveva un’idea della sua fisionomia, in un attimo lo individuò seduto su di un banchetu e si presentò dicendogli una frase che egli stesso aveva usato nelle mail di invito agli amici: “Sono sobrio fino alle
Incontrare realmente un amico virtuale si rivelò una cosa del tutto particolare: sembrava di conoscerlo non da “sempre”, ma da “dentro”. Una bella sensazione.
Lo scopo era quello di vederlo, di donargli una copia dell’unico libro che aveva scritto, di appurare che quella conoscenza da “dentro” fosse veramente tale.
La gente attorno a lui era la più svariata: capelli rasta, sciarpe kefiar, orecchini e pince, cappelloni, sballati di ogni genere, a cui lui aveva aperto la porta. Non era difficile per Paula capire che la natura con Jaime era stata generosa: bello, intelligente, sensibile, ma soprattutto umano.
“E’stata la più bella sorpresa della serata”, le disse e quello fu il suo regalo.
Si ritrovarono l’uno di fronte all’altra a parlare come se si fossero conosciuti da sempre. Fluivano gli argomenti, la voglia di dirsi tanto, tutto, quasi per consolidare in quell’unica mezz’ora la consapevolezza che le loro menti si erano incontrate e capite.
Nel suo nomadismo senza tempo, Paula abbatteva facilmente la sua reale età e trovare una persona così la riportava di colpo nella vita. Si affezionava subito, di quell’amore in senso lato, che nulla chiede se non la sola scoperta che tali esseri esistono. Era come aver conquistato una montagna; d’ora in poi Jaime avrebbe fatto parte delle sue conoscenze come qualcosa di prezioso a cui dedicare pensieri e consapevolezze condivise, ma soprattutto sarebbe stato “acquisito” a tutti gli effetti in quel mondo di anime belle che da una vita collezionava.
E lì, per sempre, sarebbe rimasto.
Pia - 16/02/2009
venerdì 12 febbraio 2010
Grazie Sole!
Le previsioni non sono allettanti, ma a sentire Mercalli bisogna sempre distinguere tra "nevicate" e "freddo": le une non includono necessariamente l'altro. Nel nostro caso, infatti, il freddo è il più temibile, con rischi di due tipi: la perdita del raccolto e la perdita delle piante, a seconda dell'intensità.
Per il momento non disperiamo. Ci vorrà un pò di tempo per capire come stanno realmente le cose.
In ogni caso continuiamo a scongiurare il peggio.
giovedì 11 febbraio 2010
Floricoltura sotto la neve
La preoccupazione più grave, però rimane rivolta alle coltivazioni. La neve scende ogni tanto, non è detto che ogni volta ci metta completamente in ginocchio, ma l'ansia di "questa volta" è che ... sono passati 25 anni esatti dall'ultimo gelo storico e la cadenza è esattamente quella: 1929, 1956, 1985. Ecco la grande paura sta tutta lì, perchè i geli storici hanno comportato la morte stessa delle piante e la necessità di ricominciare completamente da capo. Con la crisi in atto nella floricoltura, questa volta ci sarebbe davvero da temere la sua scomparsa. Speriamo di no, intanto non resta che aspettare e vedere cosa succede.
Sono le 14.30 e sta nevicando di brutto.
sabato 6 febbraio 2010
Mentre si scrive
Ma a volte penso a lettori che conoscano "l'age du fondamental", che abbiano conosciuto le delusioni e il crollo delle ideologie (la loro età non importa), che si regolino sul battito del sole, del cielo, del mare, sull'amore, sulla morte, su ciò che la vita ha di più primordiale, che abbiano conosciuto quel tanto che il vento porta via con la cenere degli astri.
Si scrive dal fondo di una prigione ideale, a cui si affacciano rari volti amici. Scrivere non è un colloquio, ma un soliloquio. Le ultime pagine di un testo di fantasia si scrivono quasi in ginocchio."
martedì 2 febbraio 2010
Come tutto scompare
quando viene sera, e il sole se ne va
oltre le colonne d'Ercole
a fare capriole sull'Atlantico.
Il Mar Ligure si appiattisce in una lastra
che non lo diresti nemmeno più un mare
e una muraglia nebbiosa di rosa
sporco si disfa come la scia luminosa
dell'aereo, unica traccia rettilinea in cielo
che sembra averlo bucato per andarsene
più in là.
Come tutto scompare, come breve
è il giorno per chi ne ama l'essenza
come breve la notte che si preannunzia
nitida di luna a gobba crescente
come tutto ritorna e ritorna
al niente.
Come è corto Febbraio
come è corta la vita
per chi ne ama l'essenza
incessabile, infinita.
Giuseppe Conte (Imperia 1945)
lunedì 1 febbraio 2010
Andarsene
Si sentiva solo il silenzio e un dolore di pietra nel petto.
Quando se ne vanno pezzi della propria vita, amici cari, coetanei, persone presenti alla famiglia, alla vita sociale, allo sport, agli amici, ecco, allora "andarsene" diventa inspiegabile, inaccettabile, una violenza, una bruttura della vita.
I suoi gemelli, appena dodicenni, più di ogni altro, rivangheranno dei "perché" senza risposte: quelle che anche noi non siamo in grado di darci.
E pensare che sono due giorni che c'è una luce nell'aria che sa quasi di perfezione del creato...