La serata dei furgari era ormai finita.
Erano le due passate e Paula aveva appena lasciato l’abitazione del Buìn, dopo una cena e una baldoria degne del loro nome.
L’allegria aveva imperversato anche se il vino buono presto era finito e quello che girava sulla tavola non era affatto interessante: piuttosto che bere male, pensò, è meglio non bere.
Martial, il paraguayano, aveva suonato con vigore la sua chitarra per tutta la sera: i ritmi sudamericani sono quelli che meglio di ogni altro si adattano a creare calore e armonia. Ognuno cantava senza nessuna soggezione, trasportato da quel bohèmien che per tutta la vita non aveva fatto altro che suonare e cantare.
Paula salì sulla sua macchina, erano le due passate e sapeva benissimo che rientrare a casa, a quel punto, era logico e doveroso. Girò attorno alla chiesa dei domenicani, attraversò la piazzetta in cui ardeva ancora il falò e notò alcuni ragazzi intenti a cuocersi alcune rostelle sulla brace.
Appena finita la discesa avrebbe dovuto svoltare a U sulla destra, ma il suo sguardo fu attratto da un carugio che immetteva nel paese, dove lei sapeva avere un sospeso.
Oltrepassò un segnale di divieto di sosta posto a mezzo della stradina, urtandolo leggermente col retrovisore destro, trovò con facilità un parcheggio per la macchina, si imbacuccò quanto necessario e si avviò in Via Lercari alla ricerca di Vico Brea.
Taggia sembrava imponente, appena “usata” da centinaia di persone per consumare quel centenario rito dei furgari, che restituivano alla gente il senso della festa all’esterno, tipico dell’estate, in pieno inverno: sembrava una signora un po’ sbrodolata, col trucco sfatto, ma maestosa, come sempre.
Quei punti in cui ardevano i fuochi con alcuni irriducibili attorno avevano un che di letteralmente medioevale: il tempo poteva essere abolito e quel salto di secoli accadeva in un attimo.
Attraversando Via Lercari, notò che Taggia non aveva subìto negli ultimi anni quel lifting che invece a Vallebona aveva trasformato completamente il paese: lì per lì provò una sensazione di abbandono, di disagio, di fatiscente, ma subito ritovò la vera dimensione in cui era giusto porsi. Erano borghi antichi e tali dovevano rimanere: appena sbucò nella via principale, il ventre di Taggia la inghiottì e si sentiva felice.
Ma quel vicoletto cieco, dove si trovava?
Mentre si stava guardando attorno, sbucò uno dei pochissimi ragazzi di Taggia che conoscesse, il mancino, che con il suo cappello da brigante rafforzò la sua sensazione medioevale. Gli chiese istruzioni e le indicò prontamente la strada per raggiungere la sua meta: è proprio vero che quando le cose devono andare a buon fine non ci sono ostacoli che tengano.
Quei selciati a ciape grandi di pietra le davano un senso di solennità, di forza, di un operato mai più eguagliabile al giorno d’oggi; ripensava anche al fatto che solo a Taggia e a Vallebona ci sono i carugi lastricati con la pietra di Verezzo, con quella particolarità di presentare tre tagli sulla sua facciata e posata a file intercalate da un mattoncino rosso messo di costa: in nessun altro paese le capitò mai di vederle.
C’erano fuochi, persone perfettamente sconosciute che camminavano nella sua direzione e in quella contraria, probabilmente alterate, ma Paula era serena, sapeva che la sua meta era vicina e conosceva le “vie dei persi”, perché erano state anche le sue.
E finalmente una musica assordante le indicò che la cantina dove un tempo si faceva il vino e si confezionava il plumosus era quella di Jaime.
L’aveva intravisto, alla presentazione di un libro, mentre parlava con un comune amico, aveva carpito il nome del suo blog ed aveva iniziato a seguirlo.
Poi venne fuori la storia della discarica e i giornali pubblicarono un suo ritratto, dato che era uno dei principali promotori del comitato di difesa della valle destinata ad accogliere la rumenta.
Insomma, aveva un’idea della sua fisionomia, in un attimo lo individuò seduto su di un banchetu e si presentò dicendogli una frase che egli stesso aveva usato nelle mail di invito agli amici: “Sono sobrio fino alle
Incontrare realmente un amico virtuale si rivelò una cosa del tutto particolare: sembrava di conoscerlo non da “sempre”, ma da “dentro”. Una bella sensazione.
Lo scopo era quello di vederlo, di donargli una copia dell’unico libro che aveva scritto, di appurare che quella conoscenza da “dentro” fosse veramente tale.
La gente attorno a lui era la più svariata: capelli rasta, sciarpe kefiar, orecchini e pince, cappelloni, sballati di ogni genere, a cui lui aveva aperto la porta. Non era difficile per Paula capire che la natura con Jaime era stata generosa: bello, intelligente, sensibile, ma soprattutto umano.
“E’stata la più bella sorpresa della serata”, le disse e quello fu il suo regalo.
Si ritrovarono l’uno di fronte all’altra a parlare come se si fossero conosciuti da sempre. Fluivano gli argomenti, la voglia di dirsi tanto, tutto, quasi per consolidare in quell’unica mezz’ora la consapevolezza che le loro menti si erano incontrate e capite.
Nel suo nomadismo senza tempo, Paula abbatteva facilmente la sua reale età e trovare una persona così la riportava di colpo nella vita. Si affezionava subito, di quell’amore in senso lato, che nulla chiede se non la sola scoperta che tali esseri esistono. Era come aver conquistato una montagna; d’ora in poi Jaime avrebbe fatto parte delle sue conoscenze come qualcosa di prezioso a cui dedicare pensieri e consapevolezze condivise, ma soprattutto sarebbe stato “acquisito” a tutti gli effetti in quel mondo di anime belle che da una vita collezionava.
E lì, per sempre, sarebbe rimasto.
Pia - 16/02/2009
10 commenti:
Il racconto “prende” e molto, in tutta sincerità; ovviamente la mia impreparazione ragionieristica e culturale non mi permette di fare commenti sulla prosa, sui tempi, ecc.: colgo solo il sentimento che C’E’, TUTTO!
Mi soffermo invece su particolari cronologici, mi hanno incuriosito: come fai il 16/02/2009 a rispondere al post di Giaravel del 12/02/2010?? Chi disturbiamo (molto sottovoce, naturalmente) H.G. Wells, Borges?
Salutoni, Marlor 58
Per carità, Marco, non disturbare nessuno di quella portata lì! Preciso soltanto che quel racconto si riferisce all'anno scorso, occasione in cui ho conosciuto Giarevel. Ovviamente, indicandone il blog e trovando un post che parla dei furgari, si nota la discordanza temporale...
Colgo sempre l'occasione per segnalare i post degli altri affinchè se ne diffonda l'esistenza e la frequentazione: Baroni Rampanti è un blog molto bello e Giarevel scrive benissimo!
Significative coincidenze che ti portano là dove ti porta il cuore.
Rara e profonda la tua idea di collezionare anime belle.
Bellissimo il racconto di questo incontro Pia, nella misura, nell'evocare l'atmosfera dei luoghi, nei sentimenti che sai far affiorare.
Ciao.
Un bel racconto, brava.
Brava Pia, e bravo Giarevel. Un giorno ci dovremo incontrare tutti.
Brava Pia, racconto in cui ogni descrizione è filtrata "dagli occhi interni"
Grazie Pia,
le festa dei furgari è sempre una vera e propria deflagrazione emotiva, l'hai descritta benissimo.
Certo oltre che virtualmente bisognerebbe incontrarci tutti realmente, magari per una pizza o una cena, forse quando questo luuuunnnngggo inverno sarà finito riusciremo ad organizzare qualcosa e trovarci tutti a Ponente nello stesso momento...
bel raccont, l'ho letto tutto d'un fiato. Complimenti
Brava Paula.
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