mercoledì 23 novembre 2011

Olive e mani

Donna di Perinaldo
(foto di Renato Gianni Cane)

Le fotografie del passato sono sempre suggestive. E' un passato recente, visto che erano già in uso le reti di plastica, ma erano anche le prime che furono adottate: quelle rigide e di colore bianco. La donna ha il breculùn, cioè una sacca di stoffa legata ai fianchi nella quale riporre le olive raccolte qua e là durante l'abbacchiatura.

Uomo di Perinaldo che stende le olive mondate
(foto di Renato Gianni Cane)

Le mani stendono le olive mondate grazie alla chitarra, che è stato il secondo strumento utilizzato per togliere le foglie dal frutto. Un tempo l'operazione era molto più complessa e consisteva nel lanciare con un piatto le olive in lontananza contro un telo: le foglie, essendo più leggere, si fermavano prima, ma era un metodo faticoso e lungo. Per oltre cinquant'anni si è usato e si sta ancora usando la chitarra, scivolo in legno con corde di ferro su cui far scorrere le olive liberandole dalle foglie, che cadono tra una corda e l'altra. Ultimo ritrovato è la defogliatrice elettrica che, inutile dirlo, una volta provata non si torna più indietro.

Mani di Paolo Veziano
(foto di Alberto Cane)

Le mani sollevano una manciata di raccolto: c'è sempre un fascino nel gesto, ora come allora. Durante la raccolta ho provato a fare dei confronti con il tempo che fu e l'oggi, per capirne le differenze, pregi e difetti. Anche durante lo svolgimento di questo lavoro i ritmi sono stressanti, non c'è più di sicuro la calma di un tempo, la fatica è rimasta, anche se diversa, i risultati, in termini di qualità e pulizia, sono senz'altro migliori al giorno d'oggi.

Mani di mia mamma, Iole Mazzini

Lavoro collettivo, come sempre: dai bambini agli anziani tutti si partecipava alla raccolta delle olive. I giovani, oggigiorno, sono latitanti: studiano, non lavorano più in campagna, sono stati abituati al distacco dalla terra. Ma gli anziani restano: anche se quasi novantenni, non mancano di dare il loro sostanziale contributo, raccogliendo al loro arén (ritmo) le olive cadute a terra ma sane e liberando e lunsurae (mucchi nei teli) dai rametti più grossi.

Mani di mia mamma, Iole Mazzini...

...mani che non tralasciano la solita oliva che rimane attaccata al rametto da scartare, nonostante l'artrite deformante; mani che hanno lavorato una vita con volontà e spirito di dedizione a ciò che quell'attività contadina richiedeva; mani che ancora oggi ci indicano una strada che non siamo più capaci di percorrere nello stesso modo, perché inquinati da mille deviazioni; mani che non hanno mai preteso nulla, ma solamente dato.
Mani che devono vivere con 500 euro al mese di pensione dopo essere state le vere protagoniste della costruzione di questa Italia indegna.


10 commenti:

Fuin ha detto...

Pia sei troppo forte.
Io sono della generazione che portavano l'olio dal frantoio nelle pelli di capra.

sonia ha detto...

racconto bellissimo e toccante..come sempre sono i tuoi racconti

Alberto ha detto...

Noi il breculùn lo chiamiamo sacùn, ne ho due appesi da qualche parte, e non immagini mai più cosa c'è dentro.

MarLor_58 ha detto...

Pia, oltre le bellissime cronache di vita rurale (passata?) ci regali sempre delle Emozioni!

cinema&libri ha detto...

La pensione... tasto dolente ! I nonni ( i genitori della fantastica signora Iole ) non l' avevavo ( o quasi ), i nipoti ... non so ...

gian paolo ha detto...

Di questi tempi opero in regione "Parafauda" sulle alture del Borghetto. Penso che il toponimo sia una variante del "breculun" e del "sacùn".

pia ha detto...

cinema&libri: i genitori della Iole "tiravano" la pensione: mi piaceva tantissimo quel verbo che loro, bolognesi, erano soliti usare.

Marina AA ha detto...

... sono capitata qui sulle tracce di un albero, poi seguendo una vendemmia... che bello. a volte facebook ci fa regali inaspettati. complimenti, queste mani e queste olive sono bellissime, ti seguirò con piacere :-)

pia ha detto...

@Marina AA: Grazie Marina e benvenuta!

Cinzia ha detto...

In Praeinaudencu però di dice "berculun"