Ieri, tornando dalla campagna, mi sono fermata a fotografare questi lavoratori.
Ho pensato "sono Turchi", perchè la loro prerogativa è proprio quella di lavorare la pietra, sia per costruire muri a secco, sia per rivestire muri in cemento.
Soltanto uno di loro parlava l'italiano e lì per lì non capivano il motivo per il quale io mi fossi fermata e mi fossi messa a parlare con loro.
Ho pensato "sono Turchi", perchè la loro prerogativa è proprio quella di lavorare la pietra, sia per costruire muri a secco, sia per rivestire muri in cemento.
Soltanto uno di loro parlava l'italiano e lì per lì non capivano il motivo per il quale io mi fossi fermata e mi fossi messa a parlare con loro.
E' vero, volevo fotografarli, ma c'era un'emozione nel mio cuore che andava oltre: pensavo che potevano essere nostri figli, ma non lo sono, vengono da un'altra nazione e i nostri veri figli, oltre che a non svolgere più quel lavoro, magari quando passano da lì non li vedono neanche.
Pensavo anche a mio padre, che di muri a secco e di aggiustamenti di pietre ne ha fatto veramente tanti, trascorrendo momenti di grande fatica e momenti molto belli, in profonda armonia con se stesso, con chi gli era attorno e con la natura stessa.
Insomma, quelle pietre, quelle mani, quei testù (nome dell'attrezzo usato) mi hanno commosso e ho ringraziato dentro di me quei ragazzi per essere tra noi, portandoci opere ed immagini che noi altri, così evoluti, beneodoranti e ben vestiti, non siamo più capaci di riprodurre.