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domenica 22 maggio 2016

2050. Breve storia del futuro.


"Conflitti globali, mutazioni genetiche, diseguaglianze sociali ed economiche, sfruttamento delle risorse naturali compongono il complesso panorama dei prossimi decenni; gli artisti di 2050 interpretano queste tematiche complesse e invitano a ri-pensare il tempo che verrà con visioni anche costruttive e talvolta ironiche".

Questa sintesi racchiude ciò che si può vedere alla mostra 2050. Breve storia del futuro in corso a Milano, a Palazzo Reale, fino al 29 maggio. Quarantasei artisti, con le loro opere, interpretano l'omonimo libro di Jacques Attali, uscito nel 2006. Ebbene sì, ci sono andata, con curiosità e aspettative diverse da quello che ho visto e percepito.

Ci sono alcuni termini chiave in questa mostra, che hanno quasi tutti il suffisso iper. 
Iperimpero
Sovrapopolazione
Sovraconsumi
Iperinquinamento
Iperconflitti
Iperdemocrazia


Le mie aspettative erano finalizzate alla prospettiva di un "mondo migliore", ma, ahimè, sono andate deluse. Quello che gli artisti hanno realizzato per interpretare il libro di Jacques Attali ci dà un'indicazione inquietante: il mondo andrà avanti nella direzione in cui sta andando adesso, amplificando i fenomeni per effetto della globalizzazione.

Alighiero Boetti - Mappa Geopolitica (Ricamo)

Iperimpero: Boetti ha chiesto a degli artigiani Afghani di produrre dei bellissimi ricami che rappresentino la mappa politica mondiale senza prendere parte al procedimento, per sottolineare come lui stesso, in quanto individuo, abbia poco o addirittura nessuna influenza sul modo in cui i confini si evolvono. Ci sarà un declino dell'impero americano e la geopolitica cambierà velocemente, con alcuni paesi che emergono e altri che spariscono.

Fat Man di John Isaacs

Iperimpero va di pari passo con sovrapopolazione, sovraconsumo e iperinquinamento, con particolare riferimento all'inquinamento degli oceani causato dai rifiuti plastici. C'erano diverse opere in questa sezione, non da ultime alcune sculture realizzate utilizzando rifiuti come materiale.

Tracey Snelling - Aeroplastisc

In quest'opera si mescolano le culture dell'America Latina e della Cina: anche se il progresso infrastrutturale non è giunto, la tecnologia è presente in ogni antro...

Iperconflitti: secondo J. Attali, le tensioni prodotte dalle ineguaglianze potrebbero degenerare in numerosi conflitti (come alcune situazioni attuali, peraltro). Al Farrow, con la sua sinagoga, mausoleo mussulmano e reliquario cristiano, fatto di armi e munizioni, sottolinea come le fedi religiose e la guerra siano sempre collegati E, sinceramente, queste tre opere sono state quelle che mi hanno colpito di più: 

Al Farrow - Sinagoga 

Al Farrow - Mausoleo mussulmano

Al Farrow - Reliquario cristiano

Iperdemocrazia: Jacques Attali evita di utilizzare termini come "ottimistico" o "pessimistico", dal momento che li vede entrambi come i poli dell'"inazione": attendere che venga un futuro migliore oppure aspettare che venga la fine del mondo. 

 Mark Titchner  - Let the future tell the true. Another world is possible

Un po' di speranza è nell'opera di Mark Titchner: con motivi vittoriani costruisce una città ideale che contrasti con la cementificazione incontrollata e dove esprime che non ci sarà futuro senza salvaguardia del passato. 
Et enfin, altra opera sorprendente:

John Isaacs - Architecture of Empathy

E una Pietà michelangiolesca velata. Un masso potente (4 tonnellate), scavato nel marmo bianco di Carrara rifà l'icona del Buonarroti in perfette proporzioni, ma nascosta da un drappo, come un sudario che avvolge madre e figlio. Fisionomie e profili svaniscono. Resta un abbraccio, un'anima, un'empatia del gesto sotto quel velo, come suggerisce il titolo della scultura, Architecture of Empathy. L'autore è John Isaacs, provocatorio scultore inglese, che qui riesce a cogliere nel segno lo spirito del tempo e dei suoi conflitti, spesso nutriti da una totale mancanza di empatia.

Una bella mostra, serviva più tempo per coglierne ogni significato. In ogni caso un tentativo di dare delle risposte alle troppe domande che ci affollano la mente, il che non è poco.

sabato 30 aprile 2016

Mario Genari, partigiano Fernandel

Medaglia d'oro a Mario Genari, partigiano Fernandel

Il 25 aprile, in Prefettura ad Imperia, sono state assegnate 63 medaglie d'oro a coloro che si sono distinti durante la Resistenza. Anche Mario Genari, partigiano Fernandel, è stato insignito di questo importante riconoscimento, ma dall'agosto scorso egli non è più tra noi e i figli Antonietta e Giorgio hanno ritirato l'onorificenza.

Antonietta Genari ritira la medaglia d'oro della Liberazione 

Per ricordarlo, riporto alcuni passi tratti dal libro Le radici di un percorso. Associazionismo e cooperativismo in provincia di Imperia in cui raccolsi la sua memoria: 

"Il 1942 fu un anno decisivo e di forte svolta: in Africa e nella campagna di Russia erano solo bastonate; la mancanza di prodotti alimentari e di beni di prima necessità, come vestiti, scarpe, gomme per le biciclette, prodotti indispensabili per l’agricoltura si accentuavano, al punto che i contadini mettevano le monete di rame nell’acido muriatico, aggiungevano calce e ottenevano la poltiglia bordolese utilizzata come verderame da poter dare alle viti. La crisi alimentare colpiva particolarmente le zone urbane, per cui l’esasperazione della gente cresceva in modo esponenziale: si sentiva gridare, protestare anche se c’era la dittatura. Lo spettro della fame e l’assenza degli uomini nelle famiglie (i nativi dal 1910 al 1920 erano tutti reclutati) diventarono elementi sufficienti affinché le coscienze diventassero consapevoli dello stato delle cose".


 Mario Genari ed un amico partigiano a Montegrande

"La popolazione nutriva una forte avversione per la guerra. Quando qualcuno era reclutato, gli amici gli consigliavano di non esporsi, di fare il possibile per salvarsi dall’andare in guerra. Questi consigli erano la regola che comunemente seguiva la gente dell’entroterra, anche coloro che simpatizzavano per il fascismo. Era un sentimento che già aleggiava nel 1940, benché l’ipotesi di perdere non ci fosse, dato che l’esercito tedesco aveva fatto capitolare la Francia, invaso i Paesi dell’Europa dell’Est e stava puntando su Mosca e Stalingrado: mezza Europa era sotto il dominio nazista. La ricerca di raccomandazioni per evitare di andare a combattere era largamente diffusa: chi conosceva graduati non esitava a chiedere di essere riformato, così come la richiesta di certificati medici che evidenziavano difetti fisici era uti
lizzata allo stesso scopo. Anche tra i caporioni fascisti era diffuso il tentativo di evitare la guerra, imboscandosi negli uffici o nei ruoli più svariati".


 "Alcune popolazioni contadine dimostrarono una grande collaborazione con i partigiani, altri paesi meno. Tra i componenti delle formazioni partigiane e i vari comandi vi erano persone motivate da ideali politico-sociali; altri che fecero le prime esperienze di un movimento collettivo, finalizzato a porre fine alla guerra, ed altri ancora che ne approfittarono per sfuggire al reclutamento. C’era l’organizzazione militare e c’era pure un volontariato locale che dava un contributo di informazioni e di difesa. Tuttavia la collaborazione del mondo rurale fu fondamentale: ad esempio, quando un partigiano doveva spostarsi da un luogo all’altro e non sapeva se avrebbe potuto incontrare i tedeschi, qualsiasi cittadino incontrato sulla propria strada rilasciava sempre informazioni a favore del partigiano. Quel mutuo rispetto fu qualcosa che portò frutti anche dopo la guerra, quando la necessità di organizzarsi vide accrescere la credibilità delle associazioni di sinistra". 


E riporto anche la mia riflessione che scrissi alla fine del suo racconto riguardante il capitolo dedicato alla Resistenza: 

"Da questa pagina di storia, voluta dalla gente e non dal potere, sono state educate intere generazioni all’antifasciamo. Era naturale ricevere quel messaggio, era scontato difendersi da quei principi, anzi si cresceva pensando che era un capitolo chiuso, che «nessuno poteva più pensare o agire in quel modo». Il fascismo era stato annientato, la lotta partigiana aveva liberato l’Italia dal male e le divergenze politiche riguardavano solo le sinistre e la Democrazia Cristiana… Quanto abbiamo fatto male i conti! Nell’arco di cinquant’anni si sono avvicendate le ideologie tra nascite, rinascite e dissoluzioni in una complessità che soltanto il senno di poi ci permetterà di capirne i perché con maggior chiarezza. Una cosa tuttavia mi appare chiara nell’immediato: terreno fertile al rinascere del fascismo è la caduta dei valori, dell’etica, che si crea per un insieme di meccanismi socio-politico-economici e che espropria l’uomo sia di credo che di forze, perchè rinascono le destre quando l’uomo è annichilito.
Ed io, nata alla fine degli anni Cinquanta, ho un pensiero di tutto rispetto per coloro che hanno combattuto in prima persona per quella causa e mi sento anche responsabile di non aver saputo difendere il loro operato. Mi perdonino e sappiano che ne ho consapevolezza".

Mario Genari, compagno, partigiano, cooperatore, sindacalista, padre, amico, sempre dalla parte dei deboli, sempre umile e lucidissimo. 
Una medaglia d'oro meritatissima.


lunedì 26 gennaio 2015

Da "Ombre al confine" - Per non dimenticare


[...] Dopo mesi di emergenza umanitaria, nell'autunno del 1939, la Riviera di Ponente era finalmente tornata alla normalità. Di lì a poco avrebbero fatto ritorno a casa i pescatori che avevano trascorso sei mesi nelle carceri francesi: furono i soli a pagare per gli errori commessi.
I segni esteriori ed interiori lasciati dal trattamento poco amichevole loro riservato dai carcerieri francesi, a cui si univa il rinnovato disprezzo della autorità di polizia italiane, convinsero i più ad archiviare quanto più rapidamente possibile questa pagina. Per decenni i pescatori si chiusero in un comprensibile mutismo e quando, dopo molti anni, fu chiesto loro di riaprire quella pagina, liquidarono l'argomento rispondendo che si era trattato di un "incontro tra due disperazioni". 
[...] Dopo l'emanazione delle leggi razziali, manifestare solidarietà o aiutare anche nascostamente gli ebrei - principali componenti di un fenomeno meglio noto come pietismo - fu considerato alla stregua di un reato e venne duramente combattuto dal regime.
Non pochi furono i fascisti sorpresi nell'atto di aiutare gli ebrei: con una decisione esemplare furono immediatamente espulsi dal partito ed esposti al pubblico disprezzo.
Il pietismo presentò in Riviera le caratteristiche di un virus che, con il passare dei mesi, divenne così contagioso da generare un fenomeno di diemnsioni talmente ampie da apparire quasi incontrollabile. [...]


Paolo Veziano, Ombre al confine. L'espatrio clandestino degli ebrei stranieri dalla Riviera dei Fiori alla Costa Azzurra 1938-1940, Fusta editore, Saluzzo (Cn), 2014, pag 211 e segg.


lunedì 1 dicembre 2014

Cerea Remo e cerea au furnu

Remo Guglielmi
"Pausa" di Maria Grazia Rebaudo

Quando nel 2006 Remo, il panettiere, ci ha lasciati, gli dedicai lo scritto che segue. L'ho "ripescato" perché oggi ho saputo che anche il luogo in cui faceva il pane, u furnu, proprietà del Comune, è stato venduto. Per me è un'altra morte, non per chissà quale nostalgica o poetica fisima, ma perché quel locale rappresentava un'opportunità per vitalizzare il paese. Si poteva riadattarlo a luogo per cucinare, ma soprattutto per insegnare a cucinare ai turisti, si poteva, attraverso quel piccolo spazio, seminare qualcosa destinato a crescere nel tempo, con una Expo 2015 che punta sul cibo, con un momento storico in cui "non ci resta che mangiare". Non mi dilungo sulle potenzialità, mi dispiace e basta.
E chi ha deciso di venderlo, sono certa non è stato minimamente sfiorato dall'uso che se ne poteva fare. 
Chi l'ha venduto non sa di essere in Europa.

"I ricordi che ognuno di noi porta con sé del proprio esistere sono un patrimonio spesso arricchito e valorizzato dal trascorrere del tempo, soprattutto quando le trasformazioni del modo di vivere ci fanno un po’ rimpiangere il tempo che fu. Personalmente penso che ciò che si è vissuto durante l’infanzia racchiuda una magia, un incantesimo che nessun altro periodo della vita è in grado di offrirci.
E così, attingendo proprio dalla mia infanzia, ritrovo un quartiere di Vallebona, inu Careira, dove sono nata e ho vissuto fino all’età di 12 anni e dove le esperienze non sono state certo tutte positive, ma molti di quei ricordi sono ancora oggi un prezioso bagaglio che porto volentieri con me.
Dedico questo scritto a Remo, u panaté, che da poco ci ha lasciati, perché è stata una presenza importante.
Con il suo pane sono diventata “grande” (…e non solo!), ma la sua figura è stata così ricca di particolari che vale la pena farne un ritratto.
Fischiettava sempre, aveva le ciabatte perennemente infarinate, la canottiera bianca o blu estate e inverno e in quel forno, dall’atmosfera calda e quasi irreale, vedeva avvicendarsi buona parte del paese per cuocere torte verdi, pisciarae, torte dolci e quant’altro.
Il pane, il pane di Remo, come tutto il pane del mondo, aveva le sue particolarità…
I filoni bagnai cun a pumata erano mitici e resteranno nella memoria di molti come uno di quei gusti mai più ritrovati; poi c’erano le rosette con lo spacco in metà, belle gonfie e bianche, i cornetti diventati poi banane, le muneghe e le biove. Ma al martedì e al venerdì pomeriggio, con la riapertura del negozio, c’erano le briosce e i canestrelli che, pur avendo una denominazione abbastanza generica, nella mente di ognuno di noi sono qualcosa di ben preciso. Quante volte andavo a vedere, uscendo di corsa dal magazzino, se Remo aveva già sceso quel ben di dio per la merenda! …e magari dopo una o due volte in cui non trovavo nulla, Palmira mi diceva: “Va’ in po’ a vé in tu furnu si sun prunte…” Ecco, quella familiarità, quella libertà, quella complicità che era innata nella vita del paese rimane per me una delle cose più belle che il vivere in un piccola comunità possa offrire.
A tutte le ore Remo lo si sentiva, anche d’in casa, trafficare nel carugiu. Arrivava con l’ape blu, rigorosamente senza porte e senza telone dietro la schiena, con le bombole che savagiavano da un lato all’altro del cassone, oppure portava i rifornimenti per il negozio.
Scherzava sempre bonariamente, in modo sommesso, e mi ha sempre colpito questo suo essere estroverso ma non chiassoso, direi quasi discreto… Naturalmente dal quadro non può essere dimenticato quanto all’avanguardia fosse il negozio, il primo simbolo di progresso nei confronti degli altri esercizi commerciali esistenti. Il soffitto a giorno con mattoni di vetro, la scala a chiocciola, la disposizione della merce bene in vista sugli scaffali, la vetrina sempre invitante, le luci… insomma, allora esisteva solo la Standa e a me sembrava una miniatura della stessa a Vallebona!
Ringrazio sia lui che Palmira per avermi fatto partecipe di questa bella esperienza, così come molti altri un po’ più vecchi di me aggiungerebbero alla lista anche il servizio da loro gestito delle docce pubbliche. Ah, dimenticavo… Il salame dolce! Cume u l’eira bon…, ma era anche una concessione delle grandi occasioni, perché in quegli anni non era domenica tutti i giorni come adesso e fare un po’ di economia era la regola. Nasceva, sì, la società dei consumi, ma alle spalle c’era ancora vivo il ricordo della penuria e la parola “spreco” era bandita dal vocabolario.
“Remo, ma cousa vö dì cerea?” “Ciau in piemuntese…”  …anche questo l’ho imparato da lui.
E nello stesso modo lo saluto per l’ultima volta. Cerea, Remo…"

P.S.: Remo era il papà dell'attuale vice-sindaco.

giovedì 20 novembre 2014

Il Vito day


Quando un evento si ripete costantemente nel tempo e lo si avvalora sempre più sorge spontaneo dargli un nome e così è nato il "Vito day".

 Vito Taggiasco

Nei paesi si nasce e si cresce promiscui: ci si sente come una grande famiglia. 
La mia generazione, quella degli anni Cinquanta, vide un considerevole uso del forcipe per aiutare le donne nel parto, strumento nato nel 1572 e che è sempre stato oggetto di forti dibattiti. Vito, più di altri che subirono soltanto ferite superficiali, rimase leso in maniera assai grave, riportando problemi di deambulazione, rallentamento e trattenimento della parola, senza che tuttavia gli fossero negate una lucida intelligenza e una buona dose di saggezza.

 Graziella, Pino, Aldo e Vito: la classe del 1956

La pluriclasse era un sistema scolare che rafforzava l'unione tra i bambini: Vito era inserito insieme a noi e lo aiutavamo in tutti i modi possibili, un ruolo che oggi si chiama "sostegno" e che allora non era previsto. Chi finiva per primo di fare le operazioni o i pensierini, sapeva che poteva andarsi a sedere vicino a Vito e aiutarlo.

Marcello, Giorgio, Aldo, Oscar, Jose (il bimbo), Vito, Pino e Nino

Da molti anni, il 19 novembre festeggiamo insieme il suo compleanno: cascasse il mondo, non ce ne importa nulla, per noi è il Vito day. Una cena che ci riunisce in qualità dei più stretti amici d'infanzia, cresciuti nella consapevolezza dei suoi problemi e volendogli naturalmente tanto bene.

Pia e Vito 

Gli piace cantare: durante le cene del Vito day si canta sempre, anche tra una portata e l'altra. La serata è sempre all'insegna dell'allegria e dello stare bene e puntualmente si centra il bersaglio.
Le foto sono del 2012 e riflettono l'atmosfera che si respira ogni anno:

 Aldo, Oscar e Vito

 Vito, Oscar e Nino

 Aldo, Graziella e Vito

La tavolata conta sempre un minimo di 15 persone. Si alternano anche personaggi più giovani o meno giovani, tanto è sicuro che è sempre uno stare insieme speciale. 

 Il regalo dell'anno scorso: il libro su Antonio Rubino

Con buona pace della sottoscritta, che solitamente è incaricata dagli altri di provvedere al regalo, lo scorso anno gli abbiamo regalato il libro che Marco Cassini ha scritto su Antonio Rubino. La maggior parte dei convenuti non sapeva o non ricordava l'autore del Signor Bonaventura, ma Vito invece ne era ben consapevole: suo padre è di Baiardo, paese di origine di Rubino e ne conosce tutta la storia!
La sua condizione, che spesso dimentichiamo durante gli altri giorni dell'anno, ci riporta in questa occasione ad una dimensione dell'umano su cui riflettere. Puntualmente constatiamo che Vito è pulito, non è contaminato come noi. Non si fa trovare impreparato su nessun argomento e le sue risposte hanno quel fondo di verità che diventa una rivelazione anche per noi. 
Il Vito day, oltre che la sua, è anche la nostra festa, perché quello che riceviamo dalla qualità di questo nostro stare assieme è tantissimo. 
Vito c'è.

domenica 9 novembre 2014

Frida Kahlo e Diego Rivera a Genova

La parte di Pedro - Diego Rivera

A Palazzo Ducale, a Genova, è in corso la mostra dedicata a Frida Kahlo e a Diego Rivera. E' strutturata in maniera netta: la prima parte comprende prevalentemente opere di Rivera, la seconda è uno stacco fotografico, la terza riguarda le opere di Frida Kahlo. Già dai primi quadri, si avverte un'energia possente, qualcosa che fa pensare ad un uomo imponente. E' un emozione che si attiva e rimane viva per tutto il percorso espositivo.

Ritratto di Natasha Gelman - Diego Rivera

Diego Rivera, pittore a 360 gradi, spazia in tutti i campi, ritrae personaggi dell'aristocrazia, situazioni di vita di ogni genere e di ogni classe sociale, è proiettato nel sociale, è estro.

Murales - Diego Rivera

I suoi Murales raccontano la storia della rivoluzione messicana, sono ricchi di particolari, densi, potenti, nulla viene trascurato... Rivera è uomo del suo tempo e uomo senza tempo, che segue il corso della storia, coi suoi grandi ideali, i suoi voltagabbana, i suoi compromessi, i suoi ritorni.

Frida Kahlo e Diego Rivera

Frida e Diego sono due grandi artisti. Lei ha 21 anni in meno, si conoscono tramite Tina Medotti, italiana, fotografa, comunista, emigrata in Messico e si sposano nel 1929. La loro storia è travagliata: si separano nel '39 per risposarsi nel 1940. Vivono agli alti vertici politici della vita del loro paese, la loro casa ospiterà Lev Trotsky durante l'esilio; hanno contatti con Henry Ford, i murales di Rivera decoreranno l'industria automobilistica americana.

Frida Kahlo

Una serie di 80 fotografie separa le opere di Diego Rivera da quelle di Frida Kahlo. Il padre di lei, di origine tedesca, era fotografo e l'archivio è molto ricco. Durante questo "intermezzo" pensavo di aver già ricevuto così tanto dalla vista dei quadri di Rivera che quelli della Kahlo non mi avrebbero potuto impressionare più di tanto.

Frida Kahlo - Autoritratto

E invece no. Man mano che i suoi ritratti mi passano sotto gli occhi, sento di essere "trasferita" in una dimensione decisamente "altra" rispetto a quello che avevo visto fino ad allora. Tutto un altro mondo di emozioni: quei ritratti, quell'espressione quasi sempre uguale e se stessa, tanto nelle foto come nei suoi dipinti, mi cattura come una calamita: Frida è intro.

Frida Kahlo - Autoritratto (part.)

E' bellezza, è amore, è perfezionismo dell'immagine, è femminile, è insondabile, è silenzio, è sofferenza trasformata in qualcosa di assoluto. I suoi occhi sono vivi, guardano, vedono attraverso i nostri occhi: è un gioco di specchi, un regalo che trasmette ad ogni donna che incontra il suo sguardo e che grazie a lei può vedere se stessa. 
E' tanto, tantissimo. 
E lo dice anche con le parole:

"Vorrei darti tutto ciò che non hai mai avuto,
neppure così sapresti 
quanto è meraviglioso amarti"

Immensa.


venerdì 25 luglio 2014

Sognu sanremascu


Anche se il tempo ci ha messo i bastoni tra le ruote, non ci siamo arresi e, chiedendo asilo al Ristorante Giardino di Vallebona, abbiamo dato vita a questa prima esperienza di poesia dialettale a tema. Così era nel programma dell'Associazione culturale A Cria e così è stato: il protagonista, Gianni Modena, ha sciolto per noi i nodi di una lensurà di sogni e ci ha accompagnati nella Sanremo di una volta, con un ampio repertorio di componimenti recitati rigorosamente a memoria, frutto dei più noti autori sanremaschi.


Sogni int'u ghirindun di Dino Ardoino è l'ouverture, cui seguirà un bouquet di versi dedicati all'amore, ai diversi tipi di amore, il tutto inframezzato dagli splendidi Nuta Dance.


Il piccolo e raccolto pubblico di partenza è andato via via aumentando: l'attenzione era massima e il fatto di aver recitato al "chiuso" ha, per certi versi, favorito la performance.


Qualche vocìo proveniente dal bar ed il rumore dei piatti di chi cenava beatamente in veranda hanno, in un primo tempo, lievemente disturbato l'ascolto, ma col passare del tempo si è raggiunto un giusto equilibrio, che ha permesso ad ognuno di svolgere il proprio ruolo.


Con la partecipazione straordinaria del nostro musicista locale, il trombettista Martino Biancheri, abbiamo ascoltato brani musicali di alta qualità, suonati divinamente dai Nuta Dance: attore e musicisti, protagonisti della serata, si sono rivelati rispettivamente all'altezza del loro ruolo ed il risultato non poteva essere che eccellente.


Gianni Modena ha sfoderato il suo repertorio senza errori e senza dimenticanza alcuna: pieces anche particolarmente lunghe, come A bula d'aria, traduzione in sanremasco di Aldo Bottini de A livella di Totò, o A möiru da l'inveza e il mitico Baixaricò di Franco D'imporzano sono stati i momenti più alti della sua recitazione.

 

Curiosa la presenza tra il pubblico di una ragazza russa (nella foto con i pantaloni fucsia) e di un distinto signore veneto che, a fine serata, sono venuti a dirmi che amano il nostro dialetto. Lei, con una difficoltà maggiore, ha ascoltato e cercato di carpire il più possibile, mentre il signore veneto mi ha confessato di essere assai assiduo alle rappresentazioni dialettali, che gli permettono di conoscere sempre più la nostra parlata e di poterla confrontare con la loro: per chi organizza sono piacevoli confessioni!


Gin De Mori, Dino Ardoino, Vincenzo Balbis, Gin De Stefani, Vincenzo Jacono, Antonio Rubino: da fine Ottocento, ai primi decenni del Novecento e fino ai giorni nostri con D'Imporzano, Modena non ha tralasciato nessuno degli autori e delle opere dei massimi esponenti du giargun sanremascu...


...ed ha dedicato anche uno spazio "in lingua" al celebre Carlo Dapporto, sanremasco nel cuore e nella mente, leggendo (sì, questa l'ha letta!) una sua poesia giovanile intitolata In quella latteria in cui, senza vergogna, racconta dei primi durissimi tempi quando, poco più che ventenne, si trasferì a Milano per tentare la fortuna.


Espressivo, coinvolto, equilibrato, Modena ha dato veramente tanto al pubblico presente. Una bella serata, che ha avvalorato gli sforzi e gli intenti di chi guarda al dialetto come valore culturale di tutto rispetto: ringrazio pubblicamente Gianni e i musicisti per avermi reso felice.


venerdì 11 luglio 2014

Lavanda in Provenza a Valensole

 Plateau de Valensole (Provenza)

E' qui vicino a noi, la Provenza, ma non proprio vicinissima: per raggiungere le prime distese di lavanda ci vogliono almeno tre ore e mezzo di pullman. Ne abbiamo sempre idealizzato l'esistenza, considerando quei luoghi particolarmente belli e la voglia di scoprirli era davvero tanta.
Siamo andati.


Due pullman, più di cento persone  e pochissime di loro che conoscessero i luoghi di destinazione: insomma, siamo andati un po' alla cieca, raccogliendo informazioni dal web, dagli uffici del turismo, dai siti che indicavano potenziali itinerari.
E abbiamo colpito nel segno.


Risalito il paesino di Valensole, dopo aver consumato il nostro pranzo, ecco aprirsi davanti a noi uno spettacolo superiore alle aspettative: una distesa viola che a tratti sembrava proprio un mare. Che emozione! 


Era perfetta, al punto giusto di fioritura, invasa dalle operose api che ne succhiavano il nettare, non uno stelo era stato ancora tagliato. Un apertura di cuore alla bellezza, al profumo, alla grandezza ed un profondo grazie alla Natura e al lavoro dell'uomo.

Veronica

Nessuna foto può esprimere meglio la gioia come questa scattata a Veronica...


...mentre gli occhi, da qualsiasi parte si voltavano, continuavano a inebriasi di questo straordinario spettacolo.


Milioni di steli, tutti uguali, la perfezione...


...e qualche ulivo a ricordarci che il loro territorio ha affinità con il nostro.


Erano anni che pensavamo di voler fare questo viaggio, ma in un piccolo paese che organizza tante cose, spesso è necessario rinunciare per assolvere altri volontariati festaioli. Quest'anno la prima domenica di luglio era libera, era nostra e non ce la siamo lasciata scappare. 
E, naturalmente, neanche quelle future!