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venerdì 22 giugno 2012

Il pensatore

Il pensatore - Auguste Rodin (1840 - 1917)

Un giorno, un pensatore indiano fece la seguente domanda ai suoi discepoli: "Perché le persone gridano quando sono arrabbiate?"
"Gridano perché perdono la calma" rispose uno di loro.
"Ma perché gridare se la persona sta al suo lato?" disse nuovamente il pensatore
"Bene, gridiamo perché desideriamo che l'altra persona ci ascolti" 
replicò un altro discepolo
E il maestro tornò a domandare: 
"Allora non è possibile parlargli a voce bassa?"
Varie altre risposte furono date ma nessuna convinse il pensatore.
Allora egli esclamò:
"Voi sapete perché si grida contro un'altra persona quando si è arrabbiati?
Il fatto è che quando due persone sono arrabbiate i loro cuori si allontanano molto. Per coprire questa distanza bisogna gridare per potersi ascoltare. Quanto più arrabbiati sono tanto più forte dovranno gridare per sentirsi l'uno con l'altro.
D'altra parte, che succede quando due persone sono innamorate?
Loro non gridano, parlano soavemente. E perché? Perché i loro cuori sono molto vicini. La distanza tra loro è piccola. 
A volte sono talmente vicini i loro cuori che neanche parlano solamente sussurrano. E quando l'amore è più intenso non è necessario nemmeno sussurrare, basta guardarsi. I loro cuori si intendono. È questo che accade quando due persone che si amano si avvicinano."
In fine il pensatore concluse dicendo:
"Quando voi discuterete non lasciate che i vostri cuori si allontanino, non dite parole che li possano distanziare di più, perché arriverà un giorno in cui la distanza sarà tanta che non incontreranno mai più la strada per tornare."

Mahatma Gandhi (1869 - 1948)

mercoledì 2 maggio 2012

La scelta del pittore


Leonardo Da Vinci - Cenacolo (restaurato)
Chiesa di Santa Maria delle Grazie - Milano

Il grande Leonardo da Vinci aveva accettato di affrescare il refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie a Milano con un grande disegno che rappresentava l'Ultima Cena di Gesù con gli apostoli.
Voleva fare di quell'affresco un capolavoro e perciò lavorava con calma e attenzione. Nonostante l'impazienza dei frati del convento il disegno progrediva molto lentamente.
Per il volto di Gesù, Leonardo aveva cercato per mesi un modello che avesse tutti i requisiti necessari: un volto che esprimesse forza e dolcezza, spiritualità e intensità luminosa.
Finalmente lo trovò e diede a Gesù il volto di Agnello, un giovane franco e pulito che aveva incontrato per la strada.
Un anno dopo, Leonardo cominciò a girare nei quartieri malfamati di Milano e nelle bettole più equivoche e losche. Aveva bisogno di trovare il volto di Giuda, l'apostolo traditore. Cercava un volto che esprimesse inquietudine e delusione, il volto di un uomo disposto a tradire il migliore amico. Dopo notti e notti in mezzo a farabutti di ogni specie, Leonardo trovò l'uomo che voleva per il suo Giuda, Lo portò nel convento e si accinse a ritrarlo. In quel momento vide negli occhi dell'uomo brillare una lacrima.
"Perché?", gli disse Leonardo, fissando quel volto noto.
"Io sono Agnello", mormorò l'uomo. Lo stesso che le è servito da modello per il volto di Cristo". 

Una bella anima fa bellissimo il volto.


 Bruno Ferrero, Il canto del grillo, Elledici, Torino 1990


domenica 1 aprile 2012

Chiodi

Foto:steccato

C'era una volta un ragazzo dal carattere molto difficile. 
Si accendeva facilmente, era rissoso e attaccabrighe. Un giorno, suo padre gli consegnò un sacchetto di chiodi, invitandolo a piantare un chiodo nella palizzata che recintava il loro cortile tutte le volte che si arrabbiava con qualcuno. 
Il primo giorno, il ragazzo piantò trentotto chiodi. Con il passare del tempo, comprese che era più facile controllare la sua ira che piantare chiodi e, parecchie settimane dopo, una sera disse a suo padre che quel giorno non si era arrabbiato con nessuno. Il padre gli disse: "È molto bello. Adesso togli dalla palizzata un chiodo per ogni giorno in cui non ti arrabbi con nessuno". Dopo un po' di tempo, il ragazzo potè dire a suo padre che aveva tolto tutti i chiodi. Il padre allora lo prese per mano, lo condusse alla palizzata e gli disse: "Figlio mio, questo è molto bello, però guarda: la palizzata è piena di buchi. Il legno non sarà mai più come prima. Quando dici qualcosa mentre sei in preda all'ira, provochi nelle persone a cui vuoi bene ferite simili a questi buchi. E per quante volte tu chieda scusa, le ferite rimangono". 
Gli esseri umani sono fragili e vulnerabili. Tutti portano un'etichetta che dice: "Trattare con cura, maneggiare con cautela, merce delicata". 

Bruno Ferrero, Ma noi abbiamo le ali - Piccole storie per l'anima, Edizioni Elle Di Ci, Torino, 2005


sabato 10 marzo 2012

La mela

W 630-1880 Claude Monet Cesto di mele(collezione privata)
Cesto di mele - Claude Monet, 1880

Ogni mattina, il potente e ricchissimo re di Bengodi riceveva l'omaggio dei suoi sudditi. Aveva conquistato tutto il conquistabile e si annoiava un po'. In mezzo agli altri, puntuale ogni mattina, arrivava anche un silenzioso mendicante, che porgeva al re una mela. Poi, sempre in silenzio, si ritirava. 

Il re, abituato a ricevere ben altri regali, con un gesto un po' infastidito, accettava il dono, ma appena il mendicante voltava le spalle cominciava a deriderlo, imitato da tutta la corte. 
Il mendicante non si scoraggiava. 
Tornava ogni mattina a consegnare nelle mani del re il suo dono. 
Il re lo prendeva e lo deponeva macchinalmente in una cesta posta accanto al trono. 
La cesta conteneva tutte le mele portate dal mendicante con gentilezza e pazienza. E ormai straripava. 
Un giorno, la scimmia prediletta del re prese uno di quei frutti e gli diede un morso, poi lo gettò sputacchiando ai piedi del re. Il sovrano, sorpreso, vide apparire nel cuore della mela una perla iridescente. 
Fece subito aprire tutti i frutti accumulati nella cesta e trovò all'interno di ogni mela una perla. 
Meravigliato, il re fece chiamare lo strano mendicante e lo interrogò. 
"Ti ho portato questi doni, sire - rispose l'uomo -, per farti comprendere che la vita ti offre ogni mattina un regalo straordinario, che tu dimentichi e butti via, perché sei circondato da troppe ricchezze. Questo regalo è il nuovo giorno che comincia". 

Bruno Ferrero, Cerchi nell'acqua - Piccole storie per l'anima, Edizioni Elle Di Ci, Torino, 2004


giovedì 2 febbraio 2012

Il grillo e la moneta


Un saggio indiano aveva un caro amico che abitava a Milano. Si erano conosciuti in India, dove l'italiano era andato con la famiglia per fare un viaggio turistico. L'indiano aveva fatto da guida agli italiani, portandoli a esplorare gli angoli più caratteristici della sua patria.
Riconoscente, l'amico milanese aveva invitato l'indiano a casa sua. Voleva ricambiare il favore e fargli conoscere la sua città. L'indiano era molto restio a partire, ma poi cedette all'insistenza dell'amico italiano e un bel giorno sbarcò da un aereo alla Malpensa.
Il giorno dopo il milanese e l'indiano passeggiavano per il centro della città. L'indiano, con il suo viso color cioccolato, la barba nera e il turbante giallo attirava gli sguardi dei passanti e il milanese camminava tutto fiero di avere un amico così esotico.
Ad un tratto, in piazza San Babila, l'indiano si fermò e disse: "Senti anche tu quel che sento io?".
Il milanese, un pò sconcertato, tese le orecchie più che poteva, ma ammise di non sentire nient'altro che il gran rumore del traffico cittadino.
"Qui vicino c'è un grillo che canta" continuò, sicuro di sé, l'indiano.
"Ti sbagli" replicò il milanese. "Io sento solo il chiasso della città. E poi, figurati se ci sono grilli da queste parti.
"Non mi sbaglio. Sento il canto di un grillo", ribattè l'indiano e decisamente si mise a cercare tra le foglie di alcuni alberelli striminziti. Dopo un pò indicò all'amico che lo osservava scettico un piccolo insetto, uno splendido grillo canterino che si rintanava brontolando contro i disturbatori dei suoi concerti.
"Hai visto che c'era un grillo?" disse l'indiano.
"E' vero" ammise il milanese. "Voi indiani avete l'udito molto più acuto di noi bianchi...".
"Questa volta ti sbagli tu" sorrise il saggio indiano. "Stai attento...". L'indiano tirò fuori dalla tasca una monetina e facendo finta di niente la lasciò cadere sul marciapiede. 
Immediatamente quattro o cinque persone si voltarono a guardare.
"Hai visto?" spiegò l'indiano. "Questa monetina ha fatto un tintinnio più esile e più fievole del trillare del grillo. Eppure hai notato quanti bianchi lo hanno udito?".

Bruno Ferrero, Il canto del grillo - Piccole storie per l'anima, Editrice Elle Di Ci, Leumann (Torino), 2005


lunedì 23 gennaio 2012

Solo una bacca


"Il piccolo stagno sonnecchiava perfettamente immobile nella calura estiva. Pigramente seduto su una foglia di ninfea, un ranocchio teneva d'occhio un insetto dalle lunghe zampe che stava spensieratamente pattinando sull'acqua: presto sarebbe stato a tiro e il ranocchio ne avrebbe fatto un solo boccone, senza tanta fatica. Poco più in là, un altro minuscolo insetto acquatico, un ditisco, guardava in modo struggente una graziosa ditisca: non aveva il coraggio di dichiararle il suo amore e si accontentava di ammirarla da lontano.
Sulla riva, a pochi millimetri dall'acqua un fiore piccolissimo, quasi invisibile, stava morendo di sete. Proprio non riusciva a raggiungere l'acqua, che pure era così vicina. Le sue radici si erano esaurite nello sforzo.
Un moscerino stava annegando. Era finito in acqua per distrazione. Ora le sue piccole ali erano appesantite e non riusciva a risollevarsi. E l'acqua lo stava inghiottendo. 
Un pruno selvatico allungava i suoi rami sullo stagno. Sulla estremità del ramo più lungo, che si spingeva quasi al centro dello stagno, una bacca scura e grinzosa, giunta a piena maturazione, si staccò e piombò nello stagno.
Si udì un "pluf!" sordo, quasi indistinto, nel gran ronzio degli insetti.
Ma dal punto in cui la bacca era caduta in acqua, solenne e imperioso, come un fiore che sboccia si allargò il primo cerchio nell'acqua. Lo seguì il secondo, il terzo, il quarto...
L'insetto dalle lunghe zampe fu carpito dalla piccola onda e messo fuori portata dalla lingua del ranocchio.
Il ditisco fu spinto verso la ditisca e la urtò: si chiesero scusa e si innamorarono.
Il primo cerchio sciabordò sulla riva e un fiotto d'acqua scura raggiunse il piccolo fiore che riprese a vivere.
Il secondo cerchio sollevò il moscerino e lo depositò su un filo d'erba della riva, dove le sue ali poterono asciugare.
Quante vite cambiate per qualche insignificante cerchio nell'acqua".


Bruno Ferrero, Cerchi nell'acqua - Piccole storie per l'anima, Editrice Elle Di Ci, Leumann (Torino), 2004