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martedì 26 aprile 2022

25 APRILE 2022

 


Dopo due anni di pandemia e di limitazioni, quest’anno siamo di nuovo qui riuniti per celebrare il 77° anniversario dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, la Festa della Liberazione.

Liberazione dal nazifascismo, grazie all’intervento delle truppe alleate e dei Partigiani che aderirono alla «Resistenza», termine con cui si fa riferimento alle molteplici azioni di lotta, di guerriglia, di sabotaggio e di opposizione che furono condotte per lo più da ampie frange delle popolazioni civili, nei Paesi occupati dalla Germania nazista e dall’Italia fascista.

Diretta contro un unico avversario, il nemico nazifascista, la Resistenza fu un fenomeno di dimensioni europee. Nella gran parte dei casi, inoltre, data l’esistenza di governi collaborazionisti o comunque orientati in senso filofascista, essa assunse spesso un duplice carattere di lotta di liberazione nazionale e di vera e propria guerra civile. Protagoniste della Resistenza furono le formazioni partigiane, cui aderirono uomini di ogni estrazione sociale. Tali formazioni agirono con tecniche di guerriglia tanto nelle città quanto nelle campagne e in montagna. 

Molteplici forze politiche sostennero le attività resistenziali. Tra le più attive e organizzate ci furono quelle comuniste e socialiste, ma accanto a esse, agirono altre forze politiche più moderate che auspicavano un ritorno agli assetti prebellici o comunque facevano riferimento a Gran Bretagna e Stati Uniti. La Resistenza assunse dimensioni rilevanti soprattutto in Yugoslavia, in Grecia, in Polonia, nelle zone occupate dell’Unione Sovietica, in Francia e in Italia. 

Fu invece pressoché assente e comunque drasticamente stroncata nella stessa Germania. I resistenti interagirono con diversa efficacia e talora con significative tensioni con gli eserciti alleati.

Tra le forze di occupazione e quelle collaborazioniste da un lato, e coloro che parteciparono attivamente alla Resistenza dall’altro, si collocò nei diversi Paesi europei l’ampia «zona grigia» di coloro che praticarono il cosiddetto «attendismo», un atteggiamento di sostanziale passività in attesa del corso degli eventi. 

In generale le forze nazifasciste risposero alla Resistenza con spietata crudeltà, compiendo stragi e rappresaglie efferate, non soltanto contro gli stessi resistenti, ma anche contro persone per lo più inermi. 

Valore imprescindibile della Resistenza è quello di serrare i ranghi di un popolo diviso, facendo nascere uno spirito patrio di alta intensità, votato alla mobilitazione generale di un popolo in armi, disposto al sacrificio.

Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, ciò che realmente vollero i Partigiani è magistralmente indicato nell’articolo 11 della Costituzione italiana: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

E’ grazie alla Resistenza che sono nate la Libertà, la Democrazia, la Pace.

W il 25 aprile, W la Resistenza.

 


25 APRILE 2021

 


sabato 25 aprile 2020

25 aprile 2020


Oggi ricorre il 75° anniversario della Liberazione dalla barbarie nazi-fascista.

In un contesto surreale, nel silenzio delle piazze, nel confino di ogni cittadino nella propria abitazione, soltanto una persona che rappresenti l’autorità e un rappresentante dell'ANPI sono delegate a celebrare il rito: una condizione senza dubbio anomala dettata da circostanze eccezionali.

In questo giorno di Festa della Liberazione sorge spontanea la riflessione su ciò che rappresenta la libertà, essendone ognuno di noi temporaneamente privo. Possono essere diversi i motivi che la impediscono, ma non la sostanza: il bene che essa rappresenta mai come ora può essere riconosciuto e capito. Pur essendo la causa una forza maggiore non determinata dall’oppressione dell’uomo sul proprio fratello, ma una contingenza epidemica, nessuno dei viventi ha mai assistito ad una simile situazione, che semina morte, malattia, dolore e paura.

In particolare la morte di molti anziani, prime vittime di questo scempio, è anche morte della memoria, perdita della testimonianza della storia, quella di cui sono stati protagonisti. Sono uomini e donne che hanno contribuito sia a porre fine alla ferocia del nazi-fascismo che imperversava nel Paese, sia alla ricostruzione, con coraggio, speranza e fatica affinché noi, i loro figli, potessimo vivere in un mondo migliore.

E in quel mondo di benessere, di cui non siamo stati i giusti paladini, abusandone in tutti i modi, l’emergenza coronavirus ci mostra il rischio della deriva sociale ed economica: oggi in prima linea, a liberarci dal male, sono i camici bianchi, ovvero il personale sanitario in tutte le sue stratificazioni. Sono i partigiani del presente, così come 75 anni fa i partigiani della Resistenza non avevano alternativa alcuna per poter salvare il Paese e lottarono per traghettarlo verso la democrazia e la libertà, i valori più preziosi della comune convivenza di un popolo.

Ora e sempre Resistenza contro qualsiasi male che affligga l’umanità.

giovedì 25 aprile 2019

25 Aprile 2019


"Oggi è la Festa della Liberazione, una data dalla quale la storia moderna non può prescindere. Da allora, la nostra nazione non ha più vissuto guerre e ha costruito un paese libero e democratico, fondato sui principi scritti nella Costituzione.

Oggi si ricorda la lotta partigiana, grazie alla quale l'Italia fu liberata dal nazi-fascismo, mettendo fine all'asse Hitler-Mussolini, due nomi da ricordarsi nel pieno della loro negatività. Una lotta di popolo, costata vittime e sacrifici, combattuta da molti spesso contro la propria volontà di partecipazione, ma piuttosto per necessità, nella consapevolezza di combattere per una causa giusta e generosa. Una lotta che, affiancata dall'intervento delle potenze mondiali, ha permesso all'Europa di essere liberata e di intraprendere il suo percorso di evoluzione e progresso e di giungere alla sua unificazione affinché non si ripetessero più conflitti tra le nazioni al suo interno.

La storia è maestra di vita solo se studiata, se ascoltata dai racconti, se tramandata onde non perderne la conoscenza.

Il passare dei decenni ha dimostrato che è facile dimenticare o non sapere, insomma ignorare quel passato appena dietro l'angolo che portò tanta devastazione. Nulla è acquisito per sempre, conquiste costate grandi sacrifici possono svanire in modo molto rapido, laddove il diritto perde la sua ragion d'essere e si fanno sempre più spazio l'istinto e la grettezza, ovvero l'ignoranza.

I tempi attuali destano serie preoccupazioni. Non possono venir meno i concetti di uguaglianza tra gli esseri umani e dei diritti umani, i quali non possono essere per alcuni maggiori, per altri ridotti. Questa è la vera discriminazione: pensare che qualcuno abbia meno tutela di altri per nascita, per credo religioso o per estrazione sociale. Non si può arrivare ad addossare la colpa delle cose che vanno male al diverso, perché allora la storia può ripetersi.

Il clima politico che stiamo vivendo sembra che stia andando proprio in questa direzione: siamo consapevoli di vivere da sempre nella dualità, nella diversità di pensiero e, grazie alla libertà e alla democrazia, non è mai venuto meno il confronto. E' pericoloso e troppo facile semplificare i concetti, parlare agli istinti invece che alla ragione, aizzare le folle: compito della politica è comportarsi esattamente al contrario. Invece, oggi, inquieta che serpeggi un'ondata di odio nei confronti del diverso, sia per etnia, sia per differenza di pensiero ideologico, sia per razzismo e prevaricazione: un'onda lunga, che si sta espandendo in tutta Europa, alla vigilia delle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo.

Affinché la storia non debba sottostare ai suoi Corsi e ricorsi (come sosteneva Giambattista Vico), è necessario che l'uomo continui il suo cammino evolvendo e non regredendo. I principi fondativi della Costituzione sanciscono intensamente qual è la strada da percorrere ed ognuno di noi ha il dovere e l'opportunità di continuare a costruire un mondo migliore. Perché la Liberazione non è solo un evento riconducibile al 25 aprile del 1945, ma è un valore da difendere ogni giorno, onde evitare che la barbarie possa ripetersi".



Testo del mio intervento al Cippo alla Resistenza di Vallebona



mercoledì 25 aprile 2018

Vallebona, 25 aprile 2018

U Cipu

"1915 – 1945: sono le date che segnano l’inizio della I e la fine della II G. M.
In quella prima metà del secolo scorso, in trent'anni e in nemmeno dieci sommati di guerra, l’Europa ha pagato la follia umana con quasi 50 milioni di vittime. Cinquanta milioni, quasi l’intera popolazione italiana… Era inevitabile che, da quel 1945, iniziasse un percorso nella vita politica delle nazioni europee avente lo scopo di evitare il ripetersi di simili tragedie.
C’erano diversi punti da mettere a fuoco, importanti e chiari, alla luce delle ferite riportate e di quell’impensabile numero di vittime. C’era da isolare in tutti i modi il nazifascismo, in primis, affinché si potesse guardare ad un futuro democratico, senza soprusi, senza oppressioni, senza orrori. C’era poi da creare una sorta di comunità in cui riconoscersi ed appartenere, al fine di ridurre il più possibile i nazionalismi, le competizioni, le supremazie, la rivalità.
Ed entrambi questi progetti hanno trovato realizzazione.
        *   In Italia, il 2 giugno 1946, con il referendum in cui votarono per la prima volta le donne, fu scelta la Repubblica e, due anni dopo, venne promulgata la nostra preziosa Costituzione.
      *   Il 25 marzo 1957 nacque la CEE, ovvero il Comitato Economico Europeo, con la firma dei Trattati di Roma, in vigore dal 1 gennaio 1958. Essi fissavano un periodo transitorio di dodici anni (conclusosi il 31 dicembre 1969) entro cui si sarebbe dovuto realizzare il Mercato Unico, fondato sulla libera circolazione di merci, servizi, persone e capitali su tutto il territorio dei sei Paesi aderenti (Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo). Uno spazio economico unificato, con condizioni di libera concorrenza tra le imprese e che permettesse di ravvicinare le condizioni di scambio dei prodotti e dei servizi.
Questi sono i cardini su cui si basò il percorso dell’Europa in seguito a ciò che le due grandi guerre avevano provocato. Democrazia e Unione, due principi tanto alti quanto difficili da sostenere e perseguire. Due principi costati tante lotte, sia per liberarsi definitivamente dalla barbarie, sia per ottenere in tempo di pace, lo stato sociale, nonché riconoscimenti e diritti alle classi più deboli.
E nonostante l’imperfezione dei sistemi economico-politico-giuridici, alta deve rimanere sempre la guardia e viva la memoria. Non si gridi alla non democrazia o alla non libertà quando si applicano leggi che impediscano propagande, comizi, riunioni di stampo fascista: il fascismo, in Italia, è bandito dalla legge, è bandito dalla memoria, è bandito da un passato che non passa.
In questo giorno, il 25 aprile, Festa della Liberazione, non si vuole inneggiare a nessun eroismo: la lotta partigiana o lotta di popolo fu tanto necessaria quanto non auspicata, fu l’inevitabile conseguenza di uno scellerato regime che già di suo era deprecabile e coronò il peggio alleandosi alla Germania nazista. Il 25 aprile, nel presente, sia invece, un monito; sia consapevolezza di ciò che può provocare una falsa propaganda; sia conoscenza dei fatti e non manipolazione della storia; sia un riportare la coscienza ai principi di Democrazia e Unione, unici cardini del vivere senza conflitti. W la Resistenza, W il 25 aprile."


Pia Viale


martedì 25 aprile 2017

"Bella ciao. La canzone della libertà" di Carlo Pestelli


Pubblico il testo del mio intervento alla celebrazione del 25 aprile a Vallebona.
Ho attinto da un'intervista fatta all'autore da Andrea Giambartolomei e pubblicata a suo tempo su Il Fatto Quotidiano e dal bel pomeriggio che ho trascorso alla Pineta di Bordighera, l'estate scorsa, in occasione della presentazione del libro alla presenza dello scrittore, Carlo Pestelli.
Il pensiero finale è di Moni Ovadia, autore della prefazione al libro.

"A ricostruire le tappe dell’origine ed evoluzione di una canzone che seppur conosciuta da pochi ai tempi della Liberazione, si è poi trasformata in un simbolo, è stato Carlo Pestelli, nel libro per Add Editore “Bella ciao. La canzone della libertà”.

Da brano della Resistenza, poco diffuso tra i partigiani, a canzone simbolo della liberazione dal nazifascismo fino un inno internazionale di libertà, la storia di “Bella ciao” ha origini misteriose e controverse, ma anche un straordinario successo mondiale. A riassumerla oggi è Carlo Pestelli, musicista, cantautore, dottore di ricerca in Storia della lingua ed insegnante di linguistica generale alla Scuola Universitaria di Torino.

Da storico Pestelli recupera le ricerche sui canti popolari dalle quali riemergono le somiglianze di “Bella ciao” con alcuni brani dell’Italia settentrionale ormai quasi dimenticati. “Bella ciao è una ‘canzone gomitolo’ in cui si riuniscono molti fili. Il testo rimanda di sicuro a ‘Fior di tomba’, mentre è più complicato indicare l’origine della musica: c’è ‘Bevanda sonnifera’, ci sono alcune villotte nel Nord (la villotta è una forma polifonica a tre o quattro voci su testi di vario metro, nata nel XV secolo e di origine friulana) ed elementi kletzmer (è un genere musicale tradizionale degli ebrei)”.
Il primo brano, ad esempio, ha due elementi comuni, l’incipit “Una mattina mi son svegliato” e il finale con il fiore sulla tomba con “quelli che passeranno”, elementi che risalgono addirittura a un brano francese diffuso tra il XV e il XVI secolo.
Dal secondo brano, invece, prende il ritmo e le ripetizioni. Le note iniziali, inoltre, sono stranamente uguali a un brano kletzmer, “Koilen”, inciso da un ebreo di Odessa a New York nel 1919.

Come è arrivata alla seconda guerra mondiale? Innanzitutto va sfatato un mito: a lungo si è ritenuto che “Bella ciao” derivasse dai canti di lavoro delle mondine, le donne che coglievano il riso. “In realtà la versione delle mondine è nata dopo, negli anni Cinquanta”, spiega Pestelli. Citando gli studi di Cesare Bermani, autore de “La ‘vera’ storia di Bella ciao”, il musicista ribadisce che “Bella ciao” non era il brano partigiano più diffuso ed era noto ad alcuni combattenti di Reggio Emilia e del Modenese, ad alcuni componenti della Brigata Maiella che dall’Abruzzo erano arrivati a Bologna e ad altri partigiani delle Langhe.

Soltanto tempo dopo è diventato il brano partigiano per eccellenza. “Accade alla fine degli anni Cinquanta quando si ha la necessità di unificare le varie anime della Resistenza, quella comunista, socialista, cattolica, liberale, monarchica-badogliana – riassume -. Non si poteva usare ‘Fischia il vento’ o altri canti politicizzati. ‘Bella ciao’ slega la Resistenza dalle appartenenze di partito e racconta qualcosa che può essere atemporale”. Ed è per questo che il congresso Dc che elesse come segretario il partigiano Benigno Zaccagnini si concluse sulle note di “Bella ciao”.

Dopo l’incisione dei Modena City Ramblers e i governi Berlusconi si identifica la sinistra, quindi negli ultimi decenni.

La sua popolarità arriva nel 1963: lo chansonnier francese di origine toscane, Yves Montand (al secolo Ivo Livi) incide il brano che avrà un successo internazionale e, di riflesso, lo riporterà in auge anche in Italia, dove verrà eseguito da Milva e Giorgio Gaber. Poco dopo sono il festival di Spoleto e anche il Nuovo Canzoniere Italiano dell’entomusicologo Roberto Leydi (autore de “La possibile storia di una canzone”), che nel 1964 porta sui palchi italiani l’ex mondina Giovanna Daffini in uno spettacolo chiamato “Bella ciao”. Da lì in poi si è diffusa ovunque: secondo Pestelli il tema della libertà contro un oppressore non precisato lo hanno reso un brano adattabile, adottato dai braccianti messicani in California, dai curdi e dai turchi, dagli ucraini anti-Putin e da quelli filorussi e altri ancora. Ultimo in ordine di tempo, le manifestazioni dopo la strage nella redazione di Charlie Hebdo, pretesto da cui è nata l’idea del libro.

I francesi la amano molto: si potrebbe pensare che risvegli in loro la joie de vivre che ben si sposa con la loro mentalità. Benché sia risaputo il loro nazionalismo, sono gli unici che la cantano in italiano, consapevoli di cosa stanno cantando. E’ vero, Bella ciao sprigiona allegria, ma in realtà racconta la storia di un martirio: sarà il marcato richiamo ad uno dei cardini fondamentali della loro identità ad entusiasmarli, ovvero la libertà.

Pestelli riesce, senza rinunciare al rigore dell’analisi testuale, musicale, etnomusicologica e storica, a offrirci una lettura agile e coinvolgente e ci riesce perché oltre allo studio lo anima la passione: Bella ciao è un piccolo bene immateriale che agisce sulla coscienza come qualcosa che arriva da lontano, quasi a segnare il confine tra il buio della guerra e una nuova primavera dei popoli: un’elegia del presente che è anche, e sempre, una conquista esistenziale e una continua rinascita della storia delle libertà".


sabato 30 aprile 2016

Mario Genari, partigiano Fernandel

Medaglia d'oro a Mario Genari, partigiano Fernandel

Il 25 aprile, in Prefettura ad Imperia, sono state assegnate 63 medaglie d'oro a coloro che si sono distinti durante la Resistenza. Anche Mario Genari, partigiano Fernandel, è stato insignito di questo importante riconoscimento, ma dall'agosto scorso egli non è più tra noi e i figli Antonietta e Giorgio hanno ritirato l'onorificenza.

Antonietta Genari ritira la medaglia d'oro della Liberazione 

Per ricordarlo, riporto alcuni passi tratti dal libro Le radici di un percorso. Associazionismo e cooperativismo in provincia di Imperia in cui raccolsi la sua memoria: 

"Il 1942 fu un anno decisivo e di forte svolta: in Africa e nella campagna di Russia erano solo bastonate; la mancanza di prodotti alimentari e di beni di prima necessità, come vestiti, scarpe, gomme per le biciclette, prodotti indispensabili per l’agricoltura si accentuavano, al punto che i contadini mettevano le monete di rame nell’acido muriatico, aggiungevano calce e ottenevano la poltiglia bordolese utilizzata come verderame da poter dare alle viti. La crisi alimentare colpiva particolarmente le zone urbane, per cui l’esasperazione della gente cresceva in modo esponenziale: si sentiva gridare, protestare anche se c’era la dittatura. Lo spettro della fame e l’assenza degli uomini nelle famiglie (i nativi dal 1910 al 1920 erano tutti reclutati) diventarono elementi sufficienti affinché le coscienze diventassero consapevoli dello stato delle cose".


 Mario Genari ed un amico partigiano a Montegrande

"La popolazione nutriva una forte avversione per la guerra. Quando qualcuno era reclutato, gli amici gli consigliavano di non esporsi, di fare il possibile per salvarsi dall’andare in guerra. Questi consigli erano la regola che comunemente seguiva la gente dell’entroterra, anche coloro che simpatizzavano per il fascismo. Era un sentimento che già aleggiava nel 1940, benché l’ipotesi di perdere non ci fosse, dato che l’esercito tedesco aveva fatto capitolare la Francia, invaso i Paesi dell’Europa dell’Est e stava puntando su Mosca e Stalingrado: mezza Europa era sotto il dominio nazista. La ricerca di raccomandazioni per evitare di andare a combattere era largamente diffusa: chi conosceva graduati non esitava a chiedere di essere riformato, così come la richiesta di certificati medici che evidenziavano difetti fisici era uti
lizzata allo stesso scopo. Anche tra i caporioni fascisti era diffuso il tentativo di evitare la guerra, imboscandosi negli uffici o nei ruoli più svariati".


 "Alcune popolazioni contadine dimostrarono una grande collaborazione con i partigiani, altri paesi meno. Tra i componenti delle formazioni partigiane e i vari comandi vi erano persone motivate da ideali politico-sociali; altri che fecero le prime esperienze di un movimento collettivo, finalizzato a porre fine alla guerra, ed altri ancora che ne approfittarono per sfuggire al reclutamento. C’era l’organizzazione militare e c’era pure un volontariato locale che dava un contributo di informazioni e di difesa. Tuttavia la collaborazione del mondo rurale fu fondamentale: ad esempio, quando un partigiano doveva spostarsi da un luogo all’altro e non sapeva se avrebbe potuto incontrare i tedeschi, qualsiasi cittadino incontrato sulla propria strada rilasciava sempre informazioni a favore del partigiano. Quel mutuo rispetto fu qualcosa che portò frutti anche dopo la guerra, quando la necessità di organizzarsi vide accrescere la credibilità delle associazioni di sinistra". 


E riporto anche la mia riflessione che scrissi alla fine del suo racconto riguardante il capitolo dedicato alla Resistenza: 

"Da questa pagina di storia, voluta dalla gente e non dal potere, sono state educate intere generazioni all’antifasciamo. Era naturale ricevere quel messaggio, era scontato difendersi da quei principi, anzi si cresceva pensando che era un capitolo chiuso, che «nessuno poteva più pensare o agire in quel modo». Il fascismo era stato annientato, la lotta partigiana aveva liberato l’Italia dal male e le divergenze politiche riguardavano solo le sinistre e la Democrazia Cristiana… Quanto abbiamo fatto male i conti! Nell’arco di cinquant’anni si sono avvicendate le ideologie tra nascite, rinascite e dissoluzioni in una complessità che soltanto il senno di poi ci permetterà di capirne i perché con maggior chiarezza. Una cosa tuttavia mi appare chiara nell’immediato: terreno fertile al rinascere del fascismo è la caduta dei valori, dell’etica, che si crea per un insieme di meccanismi socio-politico-economici e che espropria l’uomo sia di credo che di forze, perchè rinascono le destre quando l’uomo è annichilito.
Ed io, nata alla fine degli anni Cinquanta, ho un pensiero di tutto rispetto per coloro che hanno combattuto in prima persona per quella causa e mi sento anche responsabile di non aver saputo difendere il loro operato. Mi perdonino e sappiano che ne ho consapevolezza".

Mario Genari, compagno, partigiano, cooperatore, sindacalista, padre, amico, sempre dalla parte dei deboli, sempre umile e lucidissimo. 
Una medaglia d'oro meritatissima.


lunedì 25 aprile 2016

25 aprile 2016 - Il fiore del partigiano


Come ogni anno ho partecipato alla Festa della Liberazione al mio paese. Quest'anno ho letto quanto sotto riportato: trattasi di un comunicato ANPI, su cui merita riflettere per l'importanza e il valore dei contenuti. Da alcuni anni il 25 aprile è stato, a mio avviso, un po' troppo "istituzionalizzato": per me era e rimane "festa di popolo e del popolo". 

Il 25 aprile cade quest'anno in un complesso di vicende europee che riporta l'orologio della storia in un tempo dove la civiltà e le pratiche democratiche erano pesantemente oscurate. Una profonda crisi economica da cui si riesce con difficoltà a vedere una via d'uscita, il proliferare di movimenti di chiara marca neonazista e neofascista che arrivano fin dentro i governi, e il panorama drammatico di decine di migliaia di immigrati in fuga da guerre e disperazione che ricevono come risposta dalla politica e dalle istituzioni quasi esclusivamente muri e abbandono, devono far riflettere tutti sull'inquietante e gravissima china che sta prendendo il vivere civile. Non è questa la società che sognavano i combattenti per la libertà. Non è questo il futuro cui aspiravano, deprivato di coscienza, senso di responsabilità, solidarietà.

Mai come oggi la pace, bene prezioso conquistato dalla Resistenza italiana ed europea è in serio pericolo. La guerra è – di per sé – il contrario dei diritti umani, perché ogni guerra, necessariamente, li calpesta e non di rado li annulla. Ma i diritti umani sono il fondamento della nostra convivenza, messa seriamente in discussione dallo stragismo jihadista che ha provocato centinaia di vittime innocenti a Parigi e a Bruxelles. Dalle guerre e dalla fame stanno fuggendo centinaia di migliaia di esseri umani che cercano accoglienza e rifugio nel nostro continente. Ma l'Europa, nella quale si sta pericolosamente ripresentando il virus del nazionalismo e della xenofobia, sembra soltanto capace di erigere muri, reticolati e barriere di filo spinato.

È urgente ripristinare quella sensibilità civile, quell'attenzione ai più deboli, cardini di un mondo giusto e vivibile per tutti. Siamo di fronte nel nostro Paese, travagliato da una gravissima crisi economica, ad una pesantissima caduta dell'etica pubblica, al manifestarsi quasi quotidiano di fenomeni di corruzione. La conseguenza inevitabile di questa deriva è costituita dalla perdita di fiducia e dal diffondersi di un acuto disinteresse da parte dei cittadini nei confronti delle istituzioni e della politica.

Il distacco dei cittadini dalla cosa pubblica va superato con una forte e profonda rigenerazione della politica che, richiamandosi ai valori della Resistenza, riconduca gli amministratori pubblici al dovere costituzionale di servire la collettività e il bene comune. Al lavoro, valore fondante della Repubblica, deve essere restituito il suo ruolo e la sua dignità, eliminando il contrasto stridente tra i principi costituzionali e la durissima realtà del nostro Paese. I giovani, in particolare, avvertono drammaticamente il disagio di non poter accedere al mondo delle professioni, di dare dunque degno e fattivo sviluppo alle proprie capacità e seguito ai sacrifici messi in campo per studiare e ottenere competenze. È indispensabile ribadire ancora una volta che i valori a cui ispirarsi sono solo e sempre quelli costituzionali, di una democrazia fondata sulla rappresentanza, la partecipazione, sulla divisione e l'equilibrio dei poteri, sul rispetto della persona umana, delle istituzioni, delle regole da parte di tutti.

Auspichiamo un 25 aprile di piena e robusta memoria.

Una Festa che rimetta al centro dei ragionamenti e dei comportamenti politici e sociali preziosi e decisivi “comandamenti”: antifascismo, Resistenza e Costituzione. Una Festa che ricordi con forza i 70 anni della Repubblica e del voto alle donne, i primi importantissimi passi della rinascita democratica del Paese.

Auspichiamo iniziative larghe, che coinvolgano tante italiane e italiani, Comuni, partiti, sindacati, associazioni. Una giornata come una stagione di impegno e profonda, viva Liberazione.
Una giornata che dal giorno successivo inneschi un cammino collettivo, sguardi e azioni solidali e responsabili. Un mondo migliore si costruisce insieme.

W la Resistenza, w i partigiani, w la libertà


venerdì 25 aprile 2014

I Partigiani del mare di Vallecrosia


Grazie all'impegno dello storico locale Gian Paolo Lanteri, che ha completato la ricerca a suo tempo intrapresa da Mac Fiorucci prima di lasciarci, dedico questo post ai Partigiani del mare di Vallecrosia, riportandone la storia così come l'ha ricostruita Gian Paolo. Un parco giochi per i bambini è sorto sul lungomare antistante la spiaggia da cui salpavano le barche dei Partigiani: esposta su di un leggio, i bambini potranno leggere sinteticamente la storia di quel luogo, per conoscere e soprattutto per non dimenticare.

E' possibile altresì ascoltarla a partire dal 7' minuto del video di questo link


"Sappiamo bene come l’amnesia totale o parziale, costituisca la base del revisionismo, ovvero l’alterazione dei fatti così come sono accaduti, per interessi di parte. Per questo diciamo un grazie di cuore a Mac e a quanti come lui si sono fatti carico di ricordare, ma soprattutto di farci conoscere i fatti, così come sono avvenuti.

Ed ecco che oggi abbiamo ben presente la situazione vissuta dall’autunno del 1944 alla primavera del 1945:

Dopo lo sbarco in Normandia, gli Alleati, il 15 agosto 1944, sbarcarono anche sulla costa meridionale francese, tra Tolone e Cannes e, il 7 settembre, erano già a Mentone.
Il vecchio confine delle Alpi Marittime tra Italia e Francia assunse così la caratteristica di una linea di guerra, avendo i tedeschi e i repubblichini occupato tale confine con un’armata militare molto agguerrita nel timore che le truppe alleate invadessero l’Italia del Nord.
Fu così che sorse, sia da parte del Comando Alleato che del Comando Partigiano, l’esigenza di creare un collegamento strategico: gli alleati per avere informazioni sulla situazione delle forze in campo tedesche, i partigiani per procurarsi armi, e mettere in salvo prigionieri e feriti.
Data la situazione, apparve subito chiaro che l’unica via di comunicazione possibile era il mare.
Per completare il quadro va detto che il primo ottobre, il maresciallo Kesserling, comandante in capo delle truppe tedesche in Italia, preoccupato per l’aumentata attività dei partigiani, dirama a tutti i comandi  l’ordine del giorno denominato: «Lotta contro le bande» che, in parole povere significa: lotta senza tregua fino all’annientamento di ogni forma di resistenza. Le operazioni, nella nostra provincia, iniziano il 4 e, nella notte tra il 17 e il 18 ottobre, quello che rimane dei reparti partigiani attraversa le alpi e ripara nella borgata di Fontane, comune di Frabosa Soprana.

In quello stesso periodo fu proprio il problema del trasferimento clandestino in Francia di quattro ufficiali alleati, provenienti dal Piemonte, a rappresentare l’occasione per compiere la prima impresa via mare, costituendo la premessa di tutte le successive operazioni del Gruppo sbarchi. I quattro militari vennero presi in consegna dal garibaldino ventimigliese Giulio Pedretti (Corsaro) che, pratico di trasbordi clandestini, con una barca a remi e con la collaborazione del compagno Pasquale Corradi (Pascalin), in una notte illune, salparono alla volta del porto di Monaco.

Pedretti, venne poi incaricato dagli Alleati dei collegamenti via mare. Ebbe come sede la villa “Le Petit Rocher”, nella baia di Villefranche sur Mer, e gli venne dato in dotazione un motoscafo. Occorreva però avere in Italia, un supporto da terra per le indispensabili segnalazioni di via libera, per procedere allo scarico dei rifornimenti, passando attraverso le mine di cui era stata disseminata la spiaggia, e all’occultamento di uomini e di rifornimenti.

Nasce così, sotto la regia del Comando Operativo della I Zona Liguria, l’impegno organizzativo del Gruppo Sbarchi, formato da uomini delle locali Squadre d’Azione Patriottica (S.A.P.), prevalentemente di Vallecrosia, ma anche di Bordighera e, come abbiamo visto, di Ventimiglia.
Oltre ai compiti già citati, essi, quando si rese necessario, dovettero intraprendere viaggio in mare,  azione resa ancor più pericolosa, perché occorreva trasportare a braccia, o con l’ausilio di un piccolo carretto, le barche dal deposito (lungo la Via Aurelia) al mare. Si può ben dire che ogni notte questi giovani, svezzati dalla guerra, rischiavano la vita.
E il pericolo andava accrescendosi, essendo il nemico venuto a conoscenza delle operazioni clandestine senza, fortunatamente, riuscire a sorprendere i nostri uomini.

Il luogo di sbarco e imbarco era stato stabilito sul litorale di Vallecrosia, nel tratto di costa compreso tra il bunker a Est del Rio Rattaconigli e quello in prossimità della foce del torrente Nervia, perché la zona era vigilata da una postazione di bersaglieri comandata dal sergente Bertelli Carlo che, insieme ai suoi sottoposti, si era messo a disposizione dei Garibaldini, grazie all’azione persuasiva dei fratelli Ettore e Bartolomeo Biancheri di Bordighera. Senza la loro adesione le operazioni clandestine non avrebbero potuto realizzarsi.
Nella notte del 10 dicembre 1944, con una barca comprata per novecento Lire, Tullio Anfosso (Boia), Luciano Mannini (Rosina) e altri, salpano da Vallecrosia, raggiungendo all’alba la base di Villafranca.
La notte del 14, partiva con un’altra barca anche il partigiano Francesco Kanheman (Nuccia) con la pianta di tutte le postazioni  tedesche del primo schieramento costiero e le coordinate delle principali fortificazioni. Insieme con lui s’imbarcarono altri componenti del Gruppo sbarchi,  con l’incarico di collaborare allo sbarco  del capo della Missione Alleata, cap. Robert Bentley, cosa che avvenne il 6 gennaio 1945, quando il capitano attraversava il mare, insieme al radiotelegrafista sergente Move Doungal (Mac) e del tenente francese Richard, a bordo di un velocissimo motoscafo pilotato da Pedretti
« Il mare era mosso … alle 23 – racconta il capitano – giungemmo al largo di Vallecrosia, a seicento metri dalla riva. Ecco il segnale di via libera: tre lampi, due lunghi e uno corto. Fu preparato il battello pneumatico col materiale e la radio e, a remate, condotto verso riva ove era Nino (Alberto Guglielmi) e gli altri compagni ad attendere.

Per renderci meglio conto del rischio che questi uomini correvano, cito un rapporto partigiano:

Il primo aprile 1945 il segretario del C.L.N. di Sanremo (Albatros, alias Mario Mascia. N.d.R.) comunicava al Comando Operativo della I Zona Liguria, quanto segue:
« …Vi comunichiamo urgentemente che i nazifascisti hanno scoperto il luogo di sbarco di Renzo a Bordighera. Le S.S. germaniche sono state appostate sul luogo stesso ed i bersaglieri sono sotto strettissima sorveglianza. Uno sbarco, quindi, al momento attuale sarebbe pericolosissimo, anzi fatale. È essenziale che radiotelegrafiate immediatamente in Francia perché la partenza di Renzo sia rimandata in attesa di nostre disposizioni in merito a meno che non si possa lanciarlo per paracadute. Vogliate provvedere senza indugio perché ne va della vita dei nostri uomini e della nostra organizzazione… » F. Biga, Storia della Resistenza Imperiese, vol III, pag 521

Ma, ancor più, rende forse l’idea, quanto descritto da Renzo Rossi, comandante del Gruppo Sbarchi,  nella sua testimonianza riguardante l’ultima missione. Missione eroica, i cui due protagonisti ben avrebbero meritato e meriterebbero, almeno alla memoria, un alto riconoscimento!"

       COMPONENTI  DEL GRUPPO SBARCHI 
e COLLABORATORI

ROSSI Renzo – Stienca - comandante
MARCENARO Gerolamo - Girö
LAMBERTI Achille - Andrea
LOTTI Aldo Vittorio*- Levis
PEDRETTI Giulio - Corsaro
MANNINI Luciano - Rosina
GUGLIELMI Alberto – Nino
BIANCHERI Renzo - U Longu
DORGIA Renato – Plancia
FULLONE Eraldo – Müra
BREGLIANO Ampelio – Elio
MARIANI Angelo – Athos
MORO Nello - Floren
ALAMPI Nino – Toro
DEMONTE Antonio – Tom
BIANCHERI Ettore – Lilò Lupo
BIANCHERI Bartolomeo – Lilò Volpe
CAPACCHIONI Antonio – Tonino
DONESI Domenico - Mimmo
MARCHESI Salvatore – Turi Salibra
BUSSI Vincenzo - Remo
CAUVIN Enrico - Cireno
GARINI Francesco
ANSELMI Irene
MAIOLINO Biagio
AMALBERTI Ezio
BIAMONTI Vincenzo
GIRIBALDI Enzo
VEDOVATI Annibale
Il sergente BERTELLI Carlo e i suoi bersaglieri

A LORO DOBBIAMO LA NOSTRA LIBERTÀ:
RICORDIAMO PER RIMANERE LIBERI!

mercoledì 24 aprile 2013

Le donne partigiane


"La Resistenza, per quanto grande potesse essere il coraggio degli uomini, non sarebbe stata possibile senza le donne; la loro funzione è stata meno appariscente, ma non meno essenziale.
Né vi è alcun confronto possibile con la partecipazione delle donne alle lotte del risorgimento e alle guerre per l'indipendenza nazionale. Si trattò allora, fatta eccezione per le giornate insurrezionali cittadine e delle rivolte popolari, di poche elette, di fulgidi esempi ma non di fenomeno di massa.
Caratteristica fondamentale della resistenza femminile che fu uno degli elementi più vitali della guerra di liberazione è proprio questo suo carattere collettivo, quasi anonimo, questo suo avere per protagoniste non alcune creature eccezionali, ma vaste masse appartenenti ai più diversi strati della popolazione, questo suo nascere non dalla volontà di poche, ma dalla iniziativa spontanea di molte. 

I primi corrieri e informatori partigiani furono le donne. Inizialmente portavano assieme agli aiuti in viveri e indumenti le notizie da casa e le informazioni sui movimenti del nemico. Ben presto questo lavoro spontaneo venne organizzato, ed ogni distaccamento si creò le proprie staffette, che si specializzarono nel fare la spola tra i centri abitati e i comandi delle unità partigiane.

Le staffette costituirono un ingranaggio importante della complessa macchina dell'esercito partigiano. Senza i collegamenti assicurati dalle staffette le direttive sarebbero rimaste lettera morta, gli aiuti, gli ordini, le informazioni non sarebbero arrivati nelle diverse zone. Delicato e duro, quasi sempre pericoloso era il loro lavoro; anche quando non attraversavano le linee durante il combattimento, sotto il fuoco del nemico, dovevano con materiale pericoloso, talvolta ingombrante, salire per le scoscese pendici dei monti, attraversare torrenti, percorrere centinaia di chilometri in bicicletta o in camion, spesso a piedi, non di rado sotto la pioggia e l'infuriare del vento. Pigiata in un treno, serrata tra le assi sconnesse di un carro bestiame, la staffetta trascorreva lunghe ore, costretta sovente a passare a notte nelle stazioni o in aperta campagna sfidando i pericoli dei bombardamenti e del tedesco in agguato.

Spesso dovevano precedere i fascisti che salivano, per avvertire in tempo i nostri, e talvolta restavano coinvolte nel rastrellamento. Dopo i combattimenti non sempre i partigiani in ritirata potevano trascinarsi dietro i colpiti gravemente. Se c'era un ferito da nascondere rimaneva la staffetta a vegliarlo, a prestargli le cure necessarie, a cercargli il medico, a organizzare il suo ricovero in clinica. Non di rado, dopo la battaglia, la staffetta restava sul posto nel paese occupato, per conoscere le mosse del nemico e far pervenire le informazioni ai comandi partigiani. Durante le marce di trasferimento erano all'avanguardia: quando l'unità partigiana arrivava in prossimità di un centro abitato, la staffetta per prima entrava in paese per sincerarsi se vi fossero forze nemiche e quante, se fosse possibile o meno alla colonna partigiana proseguire. Durante le soste di pernottamento e di riposo le staffette andavano nell'abitato in cerca di viveri, di medicinali e di quant'altro occorreva. Infaticabili, sempre in moto notte e giorno per stabilire un collegamento, ricercare informazioni, portare un ordine, trasmettere una direttiva; spesso nella piccola busta che la staffetta nascondeva in seno vi era la salvezza, la vita o la morte di centinaia di uomini".

da Secchia, Moscatelli, Il Monterosa è sceso a Milano, G. Einaudi Editore, Torino, 1958, pp.. 603-607

giovedì 26 aprile 2012

Ieri, 25 aprile a Ponente

Pia a Vallebona

Immancabile, per me, l'appuntamento del 25 aprile: a Vallebona la cerimonia si risolve in una mezz'oretta, con una scarsissima partecipazione. Desolata, decido di andare a Ventimiglia, il luogo più vicino dove sono certa ci sia lo spirito giusto per questa importante ricorrenza.

Ventimiglia, il corteo

Lo scarto orario di inizio della manifestazione mi permette di arrivare in tempo e di rivedere molti volti amici con cui condividere la Festa della Liberazione. 

Jacopo Colomba con la bandiera e 
Daniela Moro con lo striscione dell'ANPI

Finalmente un insieme numeroso di persone di ogni età, finalmente respiro l'aria giusta e condivido con i presenti l'importanza di esserci...

Valentina Gallinella

L'ANPI di Ventimiglia da voce a pieno campo ai giovani. Evitando ogni retorica, lascia che siano loro i testimoni della Resistenza: è un messaggio importante, che dà buone speranze nel senso della continuità.
Inizia Valentina Gallinella leggendo due lettere di due donne condannate a morte dai nazifascisti. 

Jacopo Colomba

Segue l'intervento di Jacopo Colomba, che declama i versi di Piero Calamandrei scritti su una lapide per "ignominia" all'entrata del Comune di Cuneo. Non legge il testo de Lo avrai camerata Kesserling/il monumento che pretendi da noi italiani..., ma lo recita a memoria e lo interpreta, rendendo il pubblico partecipe di un momento di alta commozione.

Simona Taliani

Infine interviene Simona Taliani, nipote del partigiano Nello Moro di Isolabona. Partendo dai suoi ricordi di bambina, dai racconti sentiti e da quelli che "non avrebbe dovuto sentire", ha ricostruito la sua esperienza diretta di ciò che la Resistenza è stata nella sua famiglia, evidenziando i coinvolgimenti emotivi e le riflessioni storiche che col passare degli anni ha portato con sé quali imprescindibili insegnamenti per le sue scelte di vita. Ha rimarcato l'importanza della divulgazione della conoscenza della storia per le nuove generazioni, che stanno crescendo senza nessun retroterra consapevole e senza riferimento ai valori della Resistenza. Il suo intervento è stato ampio ed articolato, ed io l'ho sintetizzato all'inverosimile: non me ne voglia la brava Simona!

Sandrino Suraci e il partigiano "Garibaldi" 
a Ospedaletti

Ospedaletti celebra il 25 aprile alla presenza del partigiano Garibaldi di Bajardo: come potrebbe mancare il mio (e non solo mio!) amico Sandrino, il tipografo, alla festa della Liberazione! E non perde neppure l'occasione di farsi immortalare con Garibaldi...

 Bajardo (Im)

E' l'ora di pranzo e non resta che l'imbarazzo della scelta per aggregarsi ad una delle tavolate in programma: la mia amica Germana ed io decidiamo di andare a Bajardo, proprio da Garibaldi, dove sappiamo essere riuniti quelli dell'Alta Val Nervia. Ottima accoglienza, ottimo cibo e ottimo prezzo hanno coronato una giornata che per molti non significa nulla, ma per altri ha invece una grande importanza.

Garibaldi e Germana

Garibaldi racconta, insieme a Germana ricordano Elio e condividono significati e momenti di vita vissuta del cui spessore non v'è alcun dubbio. A 86 anni, la sua memoria è perfetta, la sua giornata scandita da lavori in campagna che gli permettono di sentirsi "senza tempo" e continuare il suo viaggio di uomo...

Bunda

Infine il ritorno. A Bajardo si arriva da una strada, ma generalmente si torna da un'altra, per circumnavigare un luogo che riveste una notevole importanza paesaggistica. Bajardo è la cosiddetta cerniera tra il mare e la montagna. Si sale e si domina un paesaggio diverso dal solito. Si abbandona la Liguria dei fiori, degli olivi, della vigna e ci si imbatte nei boschi, nei castagni, negli abeti e le cime dei monti. Il silenzio, il panorama, il verde rinfrancano l'anima e lo spirito e al contempo inducono alla riflessione che proprio su quei monti, prima del 25 aprile del 1945, uomini di ogni dove lottarono per liberare l'Italia dal nemico. 
Tra un respiro a pieni polmoni e attimi di commozione salutiamo i nostri luoghi e la nostra storia e torniamo verso casa.


venerdì 24 aprile 2009

25 aprile


Le parole di un partigiano, che l'anno scorso ci ha lasciati, rimarranno sempre, per me, la sintesi della Resistenza:
"Abbiamo lottato affinchè tu fossi libera di parlare e di dire ciò che pensi."
E per tutti valgano le parole di Piero Calamandrei:
"Se volete andare nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei luoghi dove furono sterminati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì o giovani, col pensiero, perchè lì è nata la nostra Costituzione."