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venerdì 11 marzo 2016

Il Paradiso degli Inglesi


"Immaginate sulla riva del mare una via dritta interminabile, fiancheggiata di case bianche, tutte lucenti di botteghe signorili, la quale dia a chi arriva in quel piccolo comune della Liguria l'illusione d'entrare in una grande città della Sicilia: raffiguratevi a un miglio dalla riva una catena di bei monti vestiti d'un manto verde cupo di pini, e fra i monti e il paese una selva d'aranci, di limoni, d'ulivi, d'eucalipti, di mimose, così fitta che vista, dall'alto, paia un vasto arruffio di fronde inestricabili tuffate in questa selva molti grandi alberghi dall'aspetto di palazzi reali e cento ville e palazzine turrite, d'architetture graziose e di mille colori delicati e ridenti di frutti e fiori; profondete da ogni parte rose e garofani, anemoni e narcisi, viole e gerani, come per il passaggio della processione del Corpus Domini; rappresentatevi sul lido, sulle terrazze ariose e pulitissime, tante facce britanniche, da far pensare al nuovo arrivato d'esser piovuto per un miracolo in qualche colonia inglese dell'Australia o dell'India; piantate in questo paradiso di Signori un Municipio socialista; eccovi Bordighera.
Ma dovete immaginare ancora la trasparenza maravigliosa dell'aria mitissima, che lascia veder da un lato, in una chiarezza cristallina, i villaggi e le ville di San Remo, e dall'altro Ventimiglia, e più oltre Mentone, e in fondo Monaco.
Quasi luminosi; e il misto delizioso d'odor di mare e di fragranze di giardino, che ogni alito di vento vi porta in viso; e la pace serena che spira da tutta quella bellezza di natura e d'arte, non turbata da alcun aspetto di miseria. Una così beata serenità di bellezza da farvi dimenticare che ci sono miserie e dolori nel mondo, se non incontraste qualche volta lo sguardo fisso e triste di un vecchio paralitico, raggomitolato in fondo a una carrozzella sospinta a mano, e se non vedeste di tratto in tratto i treni lussuosi di Montecarlo affollati di gaudenti e d'avventurieri, passare a volo sull'azzurro del mare come uragani di male passioni, d'ebbrezze febbrili e di pensieri di morte". 


Edmondo De Amicis, (Oneglia 21 ottobre 1846 – Bordighera 11 marzo 1908)

Tratto da "Edmondo De Amicis a Bordighera - prima parte"
Fedele trascrizione di un primo brano del capitolo tratto dal libro pubblicato nel 1906 dal titolo "Pagine allegre". Di questo libro, che narra la Bordighera di quel tempo, ho avuto la fortuna di trovarne una copia originale. Franco Zoccoli


sabato 30 giugno 2012

Il look di Philippe Daverio

Philippe Daverio

Gli habituès della trasmissione Passepartout ieri, o de Il Capitale oggigiorno, conoscono bene Philippe Daverio, eclettico personaggio che cattura l'attenzione non solo per la sua bravura, ma anche per il suo modo di vestire.


Nella flemmatica esposizione degli argomenti oggetto delle sue trasmissioni, Daverio ci accompagna sempre in viaggio nell'arte, nella storia, nella filosofia, nell'architettura e quant'altro con grande intelligenza, dandoci vere e proprie lezioni di cultura e facendoci apprezzare cose che spesso sarebbero indigeste se non supportate dal suo sapere.


La prima considerazione che sorge spontanea osservando il suo look è quanto la forza della sua personalità superi di gran lunga i variopinti abiti che indossa. Non è da tutti abbinare colori, righe, pois, quadretti, cappelli, papillon, giacche e gilet coloriti e portarli con tanta disinvoltura. Tuttavia la percezione dell'insieme non è mai sgradevole...

 

Personalità e cultura sono un binomio dirompente, quasi come dire che ingenerano una forza che travalica regole e cliché e Daverio ne è un esempio per eccellenza.


In effetti diventa quasi "strano" quando lo si vede abbigliato in modo "normale", quasi venisse meno la sua completezza...


Ovviamente è risaputo che in un'epoca  di televisione-spazzatura, la sua presenza, la qualità delle sue trasmissioni e la coreografia dei suoi abiti siano, per il pubblico che lo segue, un settimanale regalo sul finire del pranzo domenicale.


Da non dimenticare, poi, i primissimi piani o addirittura i dettagli che le telecamere effettuano sul suo viso durante la seria esposizione degli argomenti: anche questo contribuisce a rimarcare quanto sta esponendo, per avvalorarne ulteriormente il significato. 
Quel binomio personalità-cultura, insomma, è proprio vero che gli può permettere qualsiasi cosa!


lunedì 30 aprile 2012

Turandot

Locandina storica della Turandot  

Dopo La Traviata e La Bohème, è stata la volta della Turandot: l'Ass. Cult. A Cria di Vallebona organizza, gli appassionati della lirica o coloro che vogliono scoprire questo mondo aderiscono e si parte in pullman per il Carlo Felice di Genova, quasi certi di non rimanere delusi.

La ricca scenografia della Turandot

Recensita oramai come un kolossal che dal 1993 gira per i teatri del mondo, questa rappresentazione è un classico che ha sempre riscontrato successo: la regia è di Giuliano Montaldo, un nome che è una garanzia. Il cast dei cantanti, poi, non fa una piega: tutti all'altezza del loro ruolo, anche se un nota di merito in più va assegnata a Mariella Devìa, non perché imperiese, ma per l'interpretazione magistrale del personaggio di Liù.

Turandot, che appare in scena solo a metà dell'opera

La dolcezza e soavità di Puccini fatica a venir fuori, visti i contenuti del testo: la gelida Turandot, interpretata da Giovanna Casolla, rifiuta l'amore di molti pretendenti facendoli uccidere per vendicare una parente che morì violentata e uccisa da un uomo.
E' una favola, ma avvince e coinvolge, anche se l'emotività è frenata dalla freddezza della protagonista: è per questo che Liù è amata dal pubblico, che vede in lei tutta l'umanità che Turandot nega. Liù preferisce morire pur di veder felice Calaf, l'uomo che ama silenziosamente, il quale però vuole conquistare Turandot.

Turandot ammette il suo amore per Calaf

E' chiaro che l'apice dell'opera è il Nessun dorma, interpretato dal bravissimo Rudy Park, tenore coreano, nel ruolo di Calaf. E' proprio il momento in cui si gode l'emozione più alta che Puccini offre in questo suo lavoro: peccato che l'ovazione del pubblico sia partita alcuni secondi prima della conclusione del canto...

Calaf conquista Turandot

Turandot aveva i suoi buoni motivi per opporsi a qualsiasi pretendente, ma ciò frena parecchio il coinvolgimento emotivo dello spettatore, che si reca all'opera proprio per quello. Lei è gelida, controllata, dura e questo è ciò che si percepisce: anche per Puccini non fu facile adattarsi a questo testo, tanto che in alcune recensioni dell'epoca si legge che, fosse stato per lui, avrebbe preferito fosse Liù la prescelta e non Turandot.
Tuttavia, tirando le somme, alla terza esperienza al Carlo Felice, il teatro  più grande d'Italia che può contenere 2.000 persone e vanta acustica, visibilità e disponibilità organizzativa di tutto rispetto, A Cria è più che soddisfatta di aver accompagnato i suoi partecipanti a tali eventi. L'associazione rivolge un particolare Grazie alla Sig.ra Sandra Traverso, per la sua disponibilità e collaborazione nell'assegnazione dei biglietti, avendo, chi organizza, sempre un gran numero di difficoltà con le indecisioni della gente...


sabato 17 marzo 2012

I brutt brothers 2012


In questo post parlai de I brutt brothers quando li vidi per la prima volta lo scorso anno al Teatro dell'albero di San Lorenzo al mare. Era il secondo anno che proponevano uno spettacolo tutto loro e quest'anno, puntualissimi, ci hanno proposto il terzo, nel medesimo grazioso teatro. La locandina è la stessa, se non fosse quel per sempre... a siglarne la differenza. Diversi, tuttavia, sono anche i contenuti, pur avendo in buona parte mantenuto la loro ormai tipica impronta.
Decidere di andare ad ascoltarli significa rimettere un pò in gioco le proprie emozioni, il più delle volte sopite e al cui posto, oggigiorno, spaziano preoccupazioni a 360 gradi. Il viaggio che Gianni, Sergio e Giulio ci propongono è un raccontare i trascorsi emotivi giovanili degli attuali ultracinquantenni, alternando brani musicali di un'epoca che fu tutt'altro che parca di produzioni.
Tant'è: ogni brano accompagna un periodo o dei momenti della vita di ciascuno di noi e così si va percorrendo a ritroso un percorso che non definirei nostalgico, bensì un qualcosa che ci riporta alla mente che "siamo esistiti".
Lo spettacolo è una testimonianza generazionale. Le canzoni sono tracce di un tempo che ha coinvolto tutti ed i cui testi, al giorno d'oggi, giungono con significati ancora più definiti di allora. 
Cantano l'amore, l'amicizia, i sogni e il pubblico canta insieme a loro: che bello.
Una ricca serie di fotografie scorrono su di uno schermo per rappresentare quanto loro stanno esprimendo con le canzoni, così come ogni tanto appaiono famose citazioni. A proposito vorrei riprendere quella di Anatole France che recita: Ho sempre preferito la follia delle passioni all'indifferenza della saggezza e suggerire che forse è giunto il tempo in cui è meglio farle valere entrambi... 
La scorsa estate, in piazza a Vallebona, mancammo l'impegno della loro esibizione per cause di forza maggiore, ma quest'anno l'appuntamento in una sera di agosto sarà immancabile.

lunedì 6 febbraio 2012

Cézanne a Milano

Autoritratto 

L'Autoritratto è uno dei primi quadri che si incontrano alla mostra di  opere di Paul Cézanne (1839-1906) in corso a Palazzo Reale a Milano, intitolata Les ateliers du Midi. Caparbio, duro e determinato, il quadro è coerente al carattere stesso del pittore, che immobile davanti al cambiare dei tempi e delle stagioni, fu capace di cogliere le sottili variazioni della luce, ragioni e geometrie, misurando con calma ogni spazio.


La table de cuisine - Nature morte au panier 
1888-1890

Le opere esposte ricostruiscono la sua attività nell'amata Provenza, restituendoci un percorso che dalle opere giovanili giunge fino alle sconvolgenti tele della maturità, che tanta influenza hanno avuto su tutta la pittura moderna.

Paysan assis  
1900-1904

Dice il pieghevole della mostra: "Ha capito tutto: la luce e il colore, la forma e il disegno, la prospettiva e la libertà. Ha colto al volo il limite dell'Impressionismo, la parabola discendente di un movimento che si stava specchiando in se stesso, rischiando di non trovare sbocchi o sviluppi; ha restituito un senso profondo alla storia dell'arte; ha anticipato in modo clamoroso i movimenti d'avanguardia del primo Novecento con dichiarazioni secche e folgoranti, ma soprattutto con quadri di una modernità sconcertante".

Le Jardinier Vallier  
1906

Per cogliere la grande differenza tra l'Impressionismo e Cézanne, il visitatore è molto aiutato da quanto il curatore della mostra scrive sulle pareti: non è l'impressione fuggente che egli vuole rappresentare, ma la "sensazione" precisa che si prova quando nella realtà si guarda un certo paesaggio o altro. E allora egli lavora tantissimo ad un quadro, al fine di ottenere questo risultato, per cogliere l'essenza stessa dell'oggetto. 
E ci riesce.


Grand pin et terre rouge
1895 circa

La serie dei paesaggi del Midi mi permettono di verificare questa intenzione di Cézanne di trasmettere appunto la sensazione: osservandoli si "sente" esattamente ciò che si percepisce quando li si guarda nella realtà. Quando ci si trova davanti a questi paesaggi (assai familiari a noi liguri, tra l'altro) si avverte una sensazione netta e precisa, che è la stessa che Cézanne è riuscito volutamente a rappresentare. E quella sensazione altro non è che l'essenza della cosa stessa, quindi la sua parte più profonda, più statica, più universale, facilmente contrapponibile all'"impressione".
Splendido.

Dans le parc du Chateau Noir 
1898-1900

I paesaggi delle cave di Bibèmus e dello Chateau Noir, la Montagne Sainte-Victoire, gli umili compagni della vita di campagna, come il Jardinier Vallier, o ancora le celeberrime nature morte accompagnano alla scoperta di Cézanne immergendosi nei luoghi e ambienti a lui cari; quello stesso Cézanne che aveva litigato con tutti: amici, letterati, pittori. Si è affacciato su Parigi, ma non l'ha amata; ai sigari ostentati dagli impressionisti preferisce la pazienza della pipa; ai balli popolari una partita a carte nel bar del paese; ai locali di Montmartre e ai parchi lungo la Senna una semplice casa di campagna immersa nella natura.
Ciò nonostante è riuscito a far esclamare a Picasso: "Cézanne è stato il padre di tutti noi".


lunedì 16 gennaio 2012

Pablo Picasso a Pisa


Anche per andare a vedere la mostra di Picasso a Pisa, l'associazione culturale A Cria di Vallebona è riuscita ad organizzare un pullman e concedersi questa opportunità. Ovviamente con tutti gli annessi e connessi, visto che Picasso, il grande e geniale Picasso, implica sempre tanti dubbi e tante difficoltà ad essere capito.
Umilmente mi esonero dal giudizio. La mostra era ricca ed ho molto apprezzato, in particolare, l'esposizione degli splendidi disegni della serie Il pittore e la modella. Ci sono state opere che mi sono "giunte" altre che proprio non sapevo cogliere: ora come ora, devo ammettere che sento un certo subbuglio dentro di me. 
Seguono nel post alcune immagini di quadri che non commento. Dirò soltanto che il primo era quello che avevo assunto a simbolo della mostra, quello che avrei voluto "cogliere" eppure non ci sono riuscita, perdendo in qualche modo una sfida: con Picasso mi rimangono ancora molti punti interrogativi.

Nature morte à la corbeille de fruits, 1942

Buste de faune, 6 settembre 1946

Busto de mujer con sombrero, 1962

Autoritratto, 1907


Pisa, Campo dei Miracoli

Pisa ci ha ben accolti e ci ha salutati con una luce splendida di delicato arancione su tutto Campo dei Miracoli. Un pezzo della nostra Bella Italia, in cui si avverte tuttavia la depressione e il cambiamento in atto nei visi, negli usi, nei costumi. Città di gite scolastiche, di ricordi lontani, ma precisi. Città, come il resto del paese, che non merita decadenza.


domenica 18 dicembre 2011

La Bohème


Scenografia del I e IV atto de La Bohème 
in corso a Genova al Carlo Felice

Se Genova "offre", l'Associazione culturale A Cria di Vallebona risponde.
Mostre di pittura di alta qualità oppure opere liriche di grande fama non si possono di certo disdegnare e così, a distanza di un anno da La Traviata, oggi ci siamo concessi La Bohème di Giacomo Puccini.
La cosa più sorprendente è stata senz'altro la scenografia del genovese Francesco Musante, così come di un altro  genovese, Maestro Marco Guidarini, ne è la direzione. 
Inaspettatamente colorata, quasi favolistica, l'opera scorre nella dolce armonia pucciniana, accompagnata dalla presenza di bambini che simboleggiano, per ogni personaggio, il pascoliano fanciullino che vive in ogni essere umano: guizzano, saltano, scappano, giocano fino a quando la tragedia prende il sopravvento e la realtà nuda e cruda nega loro la possibilità di esistere e quindi spariscono proprio dalla scena.
Una rappresentazione originale, che "alleggerisce" le atmosfere cupe e sofferte dei bohèmiens dell'epoca e solleva anche noi, che di pesantezze al presente ne dobbiamo reggere non poche.
Profani ed esperti si mescolano sul pullman che organizza A Cria e si rendono partecipi di questo "rapimento" che ogni volta l'opera regala, concedendosi quelle emozioni che ricollegano con le parti più recondite di se stessi, all'archetipo, all'immagine primordiale contenuta nell'inconscio collettivo.
Più semplicemente all'esserci.



lunedì 5 dicembre 2011

Vincent


Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?
Paul Gauguin, 1897-98

Lo scorso anno Mediterraneo. Da Courbet a Monet a Matisse, quest'anno Van Gogh e il viaggio di Gauguin. La piccola associazione culturale A Cria di Vallebona, per la seconda volta, è riuscita ad organizzare un pullman e ad andare a Genova per cogliere questa grande opportunità. Simbolo della mostra il grande quadro di Gauguin sul senso della vita, situato a metà percorso dopo una serie di opere di artisti europei e americani che tracciavano il viaggio di un epoca ricca di espressione pittorica.
Se ne può leggere in ogni dove di questa mostra, per cui qui mi limiterò alle mie impressioni.


Campo di grano con allodola - V. Van Gogh, 1887

Senza nulla togliere a ciò che avevo già molto apprezzato prima, soprattutto vedendo Turner, Hopper, Rotchko, la connessione vera e propria con la mostra è iniziata con questo primo quadro di Van Gogh. Non c'è fotografia al mondo che possa rendere ciò che un quadro trasmette in realtà, così come c'è una bella differenza tra una persona in carne ed ossa e la sua immagine.
E' arrivato diretto a quel nucleo più centrale di me stessa, vivo, forte, fresco e luminoso. Grande.


Il seminatore - V. Van Gogh, 1888

C'erano molti scritti da leggere, a mio avviso davvero troppi e troppo lunghi: ne ho letto alcuni, soprattutto le lettere col fratello Theo, e poi sono andata a ruota libera, come faccio d'altronde sempre quando vado alle mostre. Mi bastavano quei colori, quelle pennellate per sentirmi viva e immersa nella bellezza, nell'esserci...


Il giardino dell'ospedale di Saint-Rémy
V. Van Gogh, 1889

Questo è il quadro che ho apprezzato di più. Amo il verde (al contrario di Mondrian) e qui c'era tutto quello che potevo desiderare: la bellezza quale pegno di una grandissima sofferenza; un'umanità tale, dentro l'essere di Van Gogh, da sentire l'impellenza di lasciare ai posteri qualcosa di sublime, a qualsiasi prezzo. Tant'è che anche una clinica psichiatrica ed il suo giardino diventano opera d'arte.


Conor parco con un prato in fiore
V. Van Gogh

Al contrario di altre persone che si aspettavano di vedere quadri famosi di Van Gogh, io ho apprezzato molto il fatto che, tranne alcune, fossero opere che non avevo mai visto. Mi hanno travolto e coinvolto ancora di più, regalandomi una sorta di esplosione emotiva che mi ci voleva proprio, dopo le tante tribolazioni di questi ultimi mesi.


Ulivi - V. Van Gogh

In fin dei conti erano poi parecchie le opere di Van Gogh: a lui è titolata la mostra, è lui che fa la parte del leone. Non oso dire con parole mie ciò che critici e competenti d'arte hanno già infinite volte detto di questo grande artista; per questo ho solo voluto riferire del beneficio che il mio essere ne ha ricevuto e, semmai, sollecitarvi ad andare a visitare la mostra.


Autoritratto al cavalletto - V. Van Gogh, 1888

Un'anima tormentata, dilaniata dalla sofferenza e al contempo depositaria di tanta bellezza, energia, calore, luce, levità, forza, respiro, solarità. Genio e follia. Yin e Yang. Bene e male. La vita.


Genova - Palazzo Ducale

Non resta che ringraziare. L'arte, innanzitutto; poi Marco Goldin e Linea d'ombra che hanno realizzato questa splendida mostra e quella dello scorso anno; Palazzo Ducale e la città di Genova e tutti gli sponsor. E mentre all'andata si diceva che era proprio una bella opportunità poter vedere mostre di pittura così importanti nella vicina Genova, già al ritorno girava la nota dolente della notizia che il prossimo anno... "non si farà nulla e noi perderemo il posto di lavoro".
Con queste parole ci hanno salutato gli operatori della mostra.
E noi speriamo che non sia così.


Oggi goodvalley compie 3 anni!


martedì 29 novembre 2011

Novembre di Flaubert


"Sentivo freddo e avevo quasi paura. Questa stagione è triste; si direbbe che la vita se ne vada col sole, un brivido serpeggia nel cuore come sulla pelle, i rumori si spengono, gli orizzonti impallidiscono, tutto s’addormenta o muore. Il sole gettava un ultimo addio dietro le colline che già svanivano. Ho assaporato a lungo la mia perduta vita; ho pensato con gioia che la giovinezza era trascorsa; è una gioia, infatti sentire il freddo che ci attanaglia il cuore e poter dire, toccandolo con la mano come un focolare che ancora fumi: non arde più. Ho rievocato lentamente tutte le cose della mia vita, idee, passioni, giorni di slancio, giorni di lutto, palpiti di speranza, spasimi di angoscia. Ho rivisto tutto, come un uomo che visiti le catacombe e guardi, lentamente, dalle due parti, i morti allineati dietro i morti. Se conto gli anni, però, non sono nato da molto tempo, ma i miei ricordi sono così numerosi che mi opprimono, come i vecchi sono oppressi dal peso di tutti i giorni della loro vita; mi sembra, talvolta, di aver vissuto per secoli e che il mio essere racchiuda i relitti di mille esistenze trascorse. Perché? ho amato? ho odiato? ho cercato qualche cosa? Ne dubito ancora; ho vissuto fuori di ogni movimento, di ogni azione, senza affannarmi per la gloria, né per il piacere, né per la scienza o per il denaro. E, del resto, il cuore umano non è forse un’immensa solitudine dove nessuno penetra? le passioni che lo abitano sono come i viaggiatori del Sahara, vi muoiono soffocati e i loro gridi non sono mai uditi oltre i confini".

Da Novembre di Gustave Flaubert (1821 - 1880)


domenica 27 novembre 2011

Racconti d'autore


La serie di libri "Racconti d'autore" in vendita ogni domenica con Il sole 24ore mi colpisce nel segno: mi piacciono tantissimo i racconti e la possibilità di spaziare sui più svariati autori si sta rivelando cosa assai gradita.
Cogliere i significati tramite la poca scrittura contenuta in un racconto alimenta quell'amore per la sintesi e per la rapidità di comprensione di ciò che lo scrittore sottende nella brevità. In un epoca, poi, in cui "non si ha più tempo", esso diventa lo strumento per mantenere una relazione letteraria in giusta misura. E' mia abitudine, ogni tanto, leggere qualche racconto di Anton Cechov, che considero l'autore russo che preferisco. Non saprei descrivere come egli "mi prenda", ma avverto una commistione molto forte.
Magicamente mi sono imbattuta in John Cheever e ho sorbito con trasporto i suoi tre racconti: non lo conoscevo e la scoperta mi ha entusiasmato. Egli ha l’arte di conferire un’alta magnificenza emotiva e spirituale ai lati sinistri della vita, ai particolari, a quelle sfaccettature su cui difficilmente si sofferma la narrativa tradizionale. La narrativa di Cheever è l’epopea dei sobborghi, l’esaltazione della piccola vita di provincia, delle esistenze che non sembrano incidere nella storia di un paese.
Non conoscendolo affatto, ho poi naturalmente cercato informazioni su wikipedia e, tra le prime cose, leggo: "John Cheever è stato chiamato il Cechov della periferia".
Una quadratura del cerchio.


lunedì 21 novembre 2011

Le folate di Vento largo


"(...) Da noi sta morendo l'antica civiltà greca e fenicia dell'ulivo, e siamo in un interregno; non si sa quale civiltà verrà fuori dalla fine di quella dell'ulivo, cui poi è anche legata tutta la civiltà mediterranea: perché l'ulivo, visto in una certa luce, non sembra nemmeno un albero, ma un sogno d'albero, un'incarnazione di Minerva.
(...) Da noi l'ora che viaggia sola coi suoi diamanti estremi è l'ora in cui la luce si forma, in cui la luce discende. E' l'ora del sommovimento della vita, del ricorso alla nostalgia, non attraverso una memoria estetica, ma attraverso una memoria etica: quella che può servire per nutrire la vita, per orientarsi nel presente nel cercare delle radici antiche, per affrontare la nuova avventure della vita. Insomma, mettere in scena un uomo che sappia di antico e di nuovo, ciò che un uomo solo può delle due cose sapere.
In Liguria la letteratura è sempre stata metafisica: cioè il paesaggio è sempre servito come nucleo di una forte meditazione etico-morale, che a volte diventa metafisica, a volte resta puramente etica, procedimento analogo a quello della letteratura provenzale.
(...) Che cosa si può fare, adesso, se non un romanzo che gioca tutto se stesso in quegli spazi che si aprono, in quei crepacci dell'animo umano in cui si intravvede un mondo perduto e nello stesso tempo un mondo che nasce; se non mettere in scena questa lacerazione, questo passaggio, in quest'ora che sta tra la luce e la tenebra, la calma e il vento, insomma; se non affidarsi ad una percezione quanto mai difficile e sospesa, come difficile e sospesa la condizione umana.
(...) Date le premesse, le assunzioni di visione del mondo, il destino umano non poteva compiersi in una vicenda concreta, perché la vicenda vera dell'uomo è quella che si trasogna, quella che si smarrisce, che entra nei cammini che non portano da nessuna parte se non nelle pulsioni stesse del cuore."

Trascrizione dell'intervento di Biamonti alla Presentazione autori e opere finalisti, Premio Nazionale dei Giovani "Costantino Pavan" di San Donà di Piave (Ve) 14 novembre 1992

Francesco Biamonti, Scritti e parlati, Einaudi editore spa, Torino 2008, pag 78 e segg.


domenica 30 ottobre 2011

Gipo a Isolabona

Copertina del libro di Gipo Anfosso

Scrivere racconti è molto bello. Mi piace leggerli, mi piace scriverli. Sono fugaci, veloci, ma pur nella loro brevità ti prendono per mano e ti portano, come vedere una mostra di quadri.
Oggi a Isolabona, alle 16.30, alla Loggia di Piazza martiri della Libertà, o meglio in ta ciassa du balùn, Paolo Veziano e Alberto Cane hanno organizzato una presentazione del libro di racconti di Gipo Anfosso intitolato Muri a secco.
La metafora dei muri a secco ha sempre una forte valenza: le pietre stanno assieme unendo l'utile al dilettevole, non sono tenute a forza da alcun legante, regalano bellezza alla vista e riassumono il concetto dell'armonia che si può ottenere tra elementi diversi l'uno dall'altro, come avevo già descritto qui.
E così sono i racconti di Gipo. Inutile dire poi che quando chi scrive è un proprio coetaneo è ancora più facile sentirsi coinvolti.
Leggerò un passo, naturalmente da quello che più mi ha colpito: Millenovecentosettantasette.


domenica 17 aprile 2011

Il film di Moretti

La locandina di Habemus papam

Andare al cinema è bello, ma purtroppo ci vado raramente perché le stagioni favorevoli sono l'inverno e l'autunno ed io sono spesso stanca, dato che l'attività floricola si svolge prevalentemente in quei mesi lì.
Moretti, poi, non me lo sono mai perso e non mi ha quasi mai delusa.

Michel Piccoli

Tuttavia questo ultimo lavoro, Habemus papam, mi ha lasciato un pò perplessa. Alla fine del film la mia esclamazione è stata: "mah". Non è certo la mancanza di contenuti ciò che gli fa difetto, ma l'ho trovato poco incisivo.

La scena dello scopone

Le recensioni sono molto positive: i temi della solitudine, dell'umiltà, della difficoltà a destreggiarsi con le problematiche dell'oggi, dell'autorealizzazione e quant'altro sono i contenuti di questo film tutto sommato ironico e divertente.
Otto milioni di euro, comunque, mi sembrano una cifra stratosferica: ne basterebbero un terzo per realizzare una residenza protetta per anziani da 60 posti letto in territori difficili come quelli liguri...
Ma questo è un altro film.


domenica 27 marzo 2011

I brutt brothers


Meritano come minimo un post, anche se prima di dedicarmi a loro vorrei spezzare una lancia a favore del Teatro dell'Albero di San Lorenzo al mare. Costruito dopo l'alluvione nell'ambito del palazzo comunale, quel piccolo teatro (che ricorda in miniatura il Carlo Felice) è una boccata di ossigeno per la cultura: già la nostra zona è abbastanza chiusa e refrattaria all'argomento, per cui scoprire certe realtà in piccoli centri è edificante e fa comprendere come riattivando dal piccolo si possa far ripartire la martoriata situazione della cultura nella nostra nazione.

Giulio, Gianni e Sergio

L'anno scorso avevano già fatto l'esperienza ed aveva funzionato. Ci hanno riprovato ed è di nuovo andata bene. I brutt brothers propongono "Ragazzi di strada", un mix di teatro e canzoni rivolgendosi alle generazioni degli anni Cinquanta, supportato dalla proiezione di alcune fotografie che scorrono alle loro spalle. Una proposta rischiosa, perché l'argomento è vasto e composito, ma procedendo per sintesi e tenendo un filo conduttore ben preciso la buona riuscita è garantita.

Gianni Bestagno

Alla voce Gianni Bestagno, di cui molti di voi conoscono il blog. Amicizia, amore e libertà sono i temi della performance, ma sono anche i suoi temi nella vita e la rappresentazione gli è quindi venuta più che spontanea, anche se ogni tanto si aiutava con qualche sorso di vino...


Di grande aiuto scenografico la proiezione delle immagini alle loro spalle, che completavano quanto le parole e le canzoni volevano esprimere. Meritevole anche la scelta dei brani musicali inseriti: pezzi significativi dell'epoca, ma non quelli più ascoltati da sempre e tritati nella memoria come in un frullatore. Sicuramente questa accortezza ha contribuito molto alla qualità.

Augusto dei Nomadi

Naturalmente sono state evocate molte icone della beat generation e, visto il titolo della performance, la sigla di chiusura non poteva non essere "Io vagadondo".
Non svelo nel dettaglio le emozioni che ho provato, perchè quest'estate verranno a Vallebona, in piazza, a portare il loro spettacolo e lascio che ognuno scopra le carte da solo.
Bello anche il fatto che tutto questo sia stato messo assieme per passione, al di là del proprio lavoro: un sollievo per le associazioni culturali di paese che sono sempre in bolletta e che quindi possono ospitarli offrendo loro da mangià e da beve, cume ina vouta...


lunedì 14 marzo 2011

Mediterraneo, la mostra

Gustave Courbet - Riva del mare a Palavas, 1854

Il pullman, gente amica, Genova, tanta pioggia, le varianti (mostra Luzzati-Calvino, mostra sull'arte africana, visita alla Feltrinelli), brunch a prezzo accessibile al Mentelocale, voglia di stare bene... ecco, questi erano gli ingredienti per coloro che ieri hanno partecipato alla gita organizzata dall'Associazione culturale A Cria di Vallebona.
Ovviamente lo scopo principale era visitare la mostra Mediterraneo. Da Courbet, a Monet, a Matisse, ovvero circa due secoli di pittura avente per tema il Mediterraneo, inteso non solo come mare, ma anche come paesaggio.
Bellissima.
Ci ha restituiti alla nostra appartenenza, mostrandoci gli aspetti più belli e più poetici. Viviamo male, siamo oppressi da troppe cose negative che distolgono la sensibilità dalla percezione della bellezza, in particolare noi Liguri così testimoni sia della presenza del mare, sia del paesaggio che quell'insieme di pittori hanno rappresentato. E naturalmente gli impressionisti hanno fatto la parte del leone, tanto più nell'ultima sala, dove le tre tele erano descritte come appartenenti a tre giganti: Cézanne, Van Gogh e Monet.
L'arte, che ci smuove quel qualcosa dentro, che ci assimila, ci accomuna, ci unisce, ci propone la bellezza il più delle volte correlata alla Natura, perché non viene interpellata prima di vomitare tutto quel cemento in ogni dove?


giovedì 13 gennaio 2011

La vera Liguria

Ulivo e muro a secco (foto Marlor)

L'ultimo articolo, in "Il Secolo XIX", 18 ottobre 2001
di Francesco Biamonti

"La Liguria, la vera Liguria, quella che va dai cento ai mille metri sul mare, resiste ancora, o almeno si può ancora immaginare come era. Basta superare con la mente alcune orrende costruzioni, ci si può ancora imbattere in lampi improvvisi d'ulivi aggrappati alle rocce come farfalle dalle ali polverose. Sorgono, questi lampi, da terrazze strette con muri a secco, e si perdono contro il cielo di un azzurro che corrode i crinali.
I fondovalle e le rive marine sono da dimenticare.
Non ci sono più gli orti, i fichi, gli agrumeti, gli oleandri, le tamerici; dappertutto stabilimenti di cartone, serre avvelenate, baracche, lamiere, costruzioni senza stile ma, in compenso, enormi e alla rinfusa. E poi perché? Per niente. Ormai ci si accorge che, chi lavora contro l'ambiente, alla fine perde. Ci sono stati sindaci che miravano solo ad ingrandire il numero delle case e degli abitanti. Non avevano nessun metro, nessun senso del mondo. (...) Di un paese di mille anime e di poche casette hanno fatto un coacervo di palazzi da prigione senza verde.
Ora è tempo di dire basta, di salvare il salvabile. Certo i cementieri sono forti, e in più alleati in tutti i modi con i costruttori e collegati con i politici. E' tempo di dire basta: sembra che stia sorgendo una speranza di rinascita nell'olivicoltura, una scoperta o una riscoperta dell'olio di oliva nel mondo.
Speriamo che la civiltà dell'ulivo torni. Tutto il mediterraneo ne ha bisogno. In Provenza si sono mossi. Anche da noi in questi ultimissimi tempi qualcosa serpeggia. La gente delle terrazze comincia a crederci. Si vede di nuovo qualche ulivo potato a regola d'arte, a quel modo che sembra che preghi, con le fronde che scendono e implorano nella brezza.
'Apprendi l'arte e mettila da parte'. Di gente anche giovane che sa potare gli ulivi, abbacchiare e dissodare senza rompere le radici ce n'è ancora. Se i tempi che dico tornano, non avranno bisogno, questi giovani, di viaggiare per le Cine, le Cube e le Afriche immaginarie. (...) Perché i Liguri hanno sempre avuto la religione delle opere. Erano cosmopoliti, andavano a lavorare in Francia, ma poi si costruivano il loro rifugio, il loro piccolo regno, il solo regno che non fosse opera di brigantaggio. E così hanno scavato e terrazzato e ulivato da zero fino a ottocento metri sul livello del mare. L'ulivo l'avevano portato i Fenici e avevano insegnato a innestarlo sull'olivastro e sul leccio.
Si sa, la sera è bella dappertutto, ma qui diventa indicibile, una lenta, lentissima replica all'aurora, forse perché il cielo sull'aspra cadenza e morfologia delle colline si mantiene a lungo chiaro, mentre scendono le ombre delle montagne e un'altra massa d'ombre sale dal mare e si compone in blu genziana già solcato dai dirupi e dall'ombra dei valloni. Una luce arcaica erra tra gli ulivi, entra nei paesi, nei resti dei paesi che sembrano ancora intatti".


Francesco Biamonti, Scritti e parlati, Einaudi, Torino 2008, p. 153-154

E domani ci ritroviamo in tanti al Laboratorio Internazionale sul Paesaggio a San Biagio della Cima.


mercoledì 3 novembre 2010

Finestra sul mare

Mar Ligure
Colline a ridosso di Bordighera

"A guardarlo dalle nostre colline, della Liguria occidentale, sale all'orizzonte come un immenso edificio di luce. A volte è bianco e fa l'effetto di una nuvola; più pesso è di un azzurro che sconfina; se il vento lo ghermisce, appare solcato di cammini, specie di sera. Ma in fondo che mare è? A un'apertura, a una libertà metafisica non corrisponde una realtà geografica: è quasi un lago e le sue rive sono state spesso insanguinate e lo sono anche adesso.
Su coste di sabbia o di roccia si svolgono faide politiche e religiose, lotte di intolleranza monoteista. Possibile che, come dice Freud, non si possa vivere senza un dio a contatto del deserto?
(...) E' un mare che il più delle volte risplende e il suo bordo lontano sembra versarsi altrove per rifrazione di orizzonte.
(...) E' così, questo mare non si può guardare senza patirne le conseguenze, mare antico, mare devastato, insanguinato, ma che sprigiona luce anche dai suoi scogli. Mare che reagisce al calare della notte listandosi di un viola arioso..
Fra il mio paese e il mare si frappone una rupe, un agglomerato di ciottoli e conchiglie dall'aspetto arcigno. La vegetazione è di ginestre spinose, quelle che ha stilizzato Sutherland in "Capo di Spine" per dare un'idea della crudeltà del mondo, di cisti vellutati e fragili, di qualche ulivo superstite che vive a stento. Di lassù si gode, saltate le orrende costruzioni della nostra costa, di un vasto arco luminoso. La giornata era tersa, il mare mosso; l'acqua viaggiava e l'Esterel lontano prendeva il largo con le sue cime evanescenti; le due isole di Sainte Marguerite e Saint Honorat sembravano anch'essi velieri d'argento. Ma non riuscivo a trasognarmi. Forse perchè sapevo di dover scrivere, s'affacciavano nel turbinio luminoso le civiltà morte, con cui queste terre erano state a contatto (gli ulivi li avevano portati i Fenici), e le civiltà vive s'affrontavano sulle rive invisibili in lotte furibonde: mani tagliate, lapidazioni, donne e bambini massacrati. Mi domandavo perché non erano già avvolti dalla polvere del tempo.
(...) Ma, sogni a parte, non so veramente che dire, questo azzurro che scolpisce le cose che tocca e le corrode, che ha sovrastato un mondo di pastori, di pescatori, di ulivicoltori, è pieno di ombre segrete sempre più fonde per eccesso di storia e di luce."


Mare di luce e di sangue. La realtà politica contro la libertà metafisica, in Finestra sul Mediterraneo, a cura di S. Buonadonna, Il Melangolo, Genova 2001 pp. 67-68
Francesco Biamonti, Scritti e parlati, Finestra sul mare, Giulio Einaudi editore, Torino 2008, pp. 148-149