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venerdì 5 maggio 2017

Ho ricevuto questa lettera

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Pochi giorni fa ho ricevuto questa lettera, contenente uno scritto ed un biglietto da 5 euro appuntato con un pezzetto di scotch. Nella foto sottostante, ho alzato la banconota affinché si possa leggere il testo, che provvedo a tradurre per chi non conosce il francese. La firma, ovviamente, l'ho resa illeggibile.

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"Cara Signora, 
Lei sarà senza dubbio stupita di ricevere questa lettera. Ho avuto il piacere di incontrarla una settimana fa (il giorno di Paquetta) alla Festa dell'Arancio amaro. Ho acquistato da lei dei limoni e si è sbagliata nel rendermi il resto ed io non me sono accorta sufficientemente in tempo per restituirglielo subito. E' per questo che le scrivo oggi: le rendo anche un po' di più, ma non fa nulla, Ho così il cuore più in pace...
Le auguro tante belle cose sul suo cammino. Che Dio la benedica  e la protegga, lei e tutte le persone che la amano.
Con i miei migliori pensieri. T. A.".

Ritrovarsi tra le mani questo scritto, con i tempi che corrono, è davvero qualcosa di insolito.
Grazie ai social sono riuscita a risalire alla persona in questione: non è affatto anziana, è un'artista che lavora vetro e piombo (quelle vetrate fantastiche!) ed abita da tutt'altra parte della Francia.
Io non mi ero accorta di essermi sbagliata, ovviamente, ma lei sì e la sua onestà l'ha indotta a compiere questo gesto.

Onestà, benevolenza, pulizia, umanità: meno male che qualcuno sa ancora essere tale.

domenica 26 febbraio 2017

Romania a pochi passi

Malipiero editore

Nel 1990, durante una trasmissione televisiva sulla Romania, dove la vita stava lentamente tornando alla normalità dopo i rivolgimenti politici del dicembre 1989, fra l’altro si poteva vedere un cartello esposto nella vetrine di un negozio di alimentari con la scritta Miere de albine, miele di api. Ce n’era quanto basta per insospettire chi va a caccia di parole nostre, poiché arbinà è una vecchia conoscenza del dialetto ligure nel quale ha sempre significato alveare, dal latino medievale albinarius, arnia.
E così, rastrellando pazientemente il Dizionario romeno-italiano di Balac-Façon-Petronio (Malipiero editore, 1984) non si può fare a meno di scoprire altre insospettate quanto piacevoli parentele linguistiche. Che, in Romania, isola neolatina nel gran mare slavo, si parli una lingua affine all’italiano è risaputo, ma forse non tutti sanno che certe parole rumene ricordano assai da vicino il nostro dialetto, appartenente anch’esso alla grande famiglia delle lingue romanze.
E, fra gli esempi che saltano fuori ad piè sospinto, ecco ascunde nascondere, barricada steccato, bumbac cotone, che richiama il nostro bumbaixu, bambagia, stoppino per i lumi ad olio, cabana capanna e cadastru perfettamente identico al termine dialettale con cui noi indichiamo il catasto. Sempre sfogliando le pagine del vocabolario rumeno, ci imbattiamo ancora in descusut scucito, dezlegà slegare, fidea i nostri familiari fidei da mettere nella minestra, e così di seguito fino a orb cieco, piersic pesco, rumegà ruminare, stranut starnuto, timpuriu precoce, ed infine spiterie farmacia, parente stretta della nostra antica speçiaria.
Ma le sorprese non sono ancora terminate perché, nel rumeno, a partire dal secolo scorso, sono entrate un’infinità di parole francesi, molte delle quali, data la nostra vicinanza con i cugini d’oltralpe, si ritrovano pari pari nel dialetto ligure. Come, ad esempio, buchet mazzetto di fiori, criun matita, debit rivendita di generi di monopolio, escamotà frodare, grimasa smorfia, marchiza tettoria a vetri, plafon soffitto, rebut rifiuto. Insomma, se è vero che, per un italiano, farsi capire in Romania è relativamente facile, per chi conosce il francese e, per giunta, anche il dialetto, le possibilità di comunicare con gli abitanti di questo paese aumentano considerevolmente.


Renzo Villa, Dialetto ieri e oggi, Alzani editore, Pinerolo, 1996, pag 30


giovedì 5 febbraio 2015

U filtru


Per capire esattamente che cosa fosse questa particolare costruzione, che i miei occhi hanno visto sin da quando ero bambina, ho aspettato più di cinquant'anni. La vedevo sempre, quando andavo a Sasso di Bordighera, con i miei genitori, a trovare i miei zii, anzi, l'oggetto misterioso si trovava nelle vicinanze della loro abitazione, in mezzo ad una fascia di rose. Ricordo che mio padre mi disse che era un pozzo, ma quella forma mi incuriosiva ed io abbinavo all'idea del pozzo anche un riferimento religioso, come se si trattasse di una edicola o di una cappelletta.


Dalla strada provinciale non si nota più come una volta: un ulivo davanti ne copre la presenza e la fascia di rose di un tempo si è trasformata nel lindo giardino di una villa. La curiosità di sapere che cosa esattamente sia questa costruzione è stata però esaudita da Giacomino: trattasi de u filtru. All'interno di questa cupola passa una serpentina abbastanza grossa, piena di pietre, che avevano la funzione di "filtrare" l'acqua dalle impurità più grossolane, al fine di arrivare più pulita possibile al paese sottostante, Borghetto San Nicolò. Sulla destra c'è un accesso che nella fotografia non si nota molto bene: era un passaggio per accedere all'interno e provvedere alla manutenzione e al funzionamento della serpentina.
Non ne ho mai visto altri. Adesso so esattamente che cos'è, ma in me rimane sempre vivo il ricordo di averla osservata ogni volta che passavo di lì e di aver liberamente fantasticato  su quell'oggetto misterioso.


lunedì 8 settembre 2014

La facciate delle chiese dell'entroterra imperiese

 Civezza

Qualche anno fa mi fu detto (da non ricordo chi) che la maggior parte delle facciate delle chiese dei paesi dell'entroterra imperiese sono rivolte a nord: mi limito alla nostra provincia, perché non conosco la realtà delle altre tre.

 Dolceacqua

Con un rapido excursus della memoria sui paesi che meglio conoscevo, verificai che la cosa aveva un fondamento, anche se "la maggior parte" non significa ovviamente "tutte".

Vallebona

Il motivo, mi venne detto, era da attribuirsi alla venerazione della montagna, fonte di risorse per la sopravvivenza: un segno di rispetto, dunque, ai benefici che essa rendeva alle popolazioni.

Montalto

Questa "informazione" mi rimase impressa e, inevitabilmente, ogni volta che vado in un paese mi viene spontaneo guardare la direzione in cui "guarda" la facciata della chiesa. Devo ammettere che è proprio così, ma vorrei approfittare di voi, lettori del blog, per chiedervi se sapete qualcosa in merito.


domenica 16 giugno 2013

Mercurio

Mercurio nell'astronomia

Mercurio è il pianeta più vicino al Sole e l'ottavo, per dimensioni, del Sistema solare, con un diametro inferiore alla metà di quello della Terra. Insieme a Venere e Marte fa parte di quei pianeti rocciosi denominati terrestri. Mercurio ha una densità appena inferiore a quella terrestre, e presenta una superficie ricca di crateri, molto simile a quella della Luna. Il pianeta è secco, molto caldo e pressoché privo di atmosfera. Non ha satelliti, né un sistema di anelli.
A causa della minore massa, la sua forza di gravità risulta inferiore a quella terrestre, e pari a circa un terzo di quella del nostro pianeta. Per fare un esempio, un oggetto che sulla Terra pesasse 100 chili, su Mercurio ne peserebbe 38: che meraviglia!

Mercurio nel mito
Mercurio nella mitologia

Il nome del pianeta deriva da quello dell'omonima divinità romana, in latino Mercurius corrispondente del dio greco Hermes messaggero degli dèi e raffigurato solitamente con le ali ai piedi. Il pianeta deve probabilmente la sua identificazione con il dio greco alla sua caratteristica di muoversi nel cielo più velocemente rispetto agli altri pianeti. I Romani fecero poi derivare il nome dai termini merx (merce), mercator (mercante) mercari (acquistare, comperare).
Secondo la mitologia era considerato figlio di Giove e di Maia, e in latino divenne "Mercurius", Mercurio. Era considerato il messaggero degli dei ed era considerato il dio dell'eloquenza, dei poeti e dei commercianti.


Mercurio nell'astrologia

In astrologia, Mercurio rappresenta l'intelligenza, l'astuzia, l'eloquenza, la rapidità nell'agire.
Nel linguaggio astrologico il mito si collega al lavorio che avviene nella nostra mente: sempre attiva, mobile, pronta ad escogitare mille strategie. 
Per esser più precisi lui riguarda le funzioni della mente e incarna il potere d’interpretare la realtà circostante e di formarsi un’idea, un concetto, di ciò che si osserva.

Deriva da Mercurio la capacità di apprendere, ma il suo modo di imparare è conseguente ad un’osservazione distaccata dei fatti. Lui non si forma un’opinione perché questa funzione appartiene ad altri pianeti, è dunque un pianeta “amorale” ossia non ha una morale preconcetta in sé e questo facilita la sua funzione di messaggero e gli consente di trasportare e diffondere le idee senza metterci nulla di suo. 
Non ha una sua polarità: è definito androgino perché non è né maschile né femminile. Una funzione mercuriale è quella di saper entrare in relazione con gli altri, ossia di rapportarsi ad altre persone in modo libero e aperto. Se Mercurio riceve delle dissonanze è molto probabile che ne derivi un atteggiamento diffidente o timido. Come metallo rappresenta proprio il mercurio e dal quale prende il suo esser mobile, sfuggente, imprendibile.  
La funzione di messaggero degli dei entra in funzione anche come intuizione quando la mente discorsiva e pratica riesce ad attingere informazioni da quella intuitiva. 
E' il pianeta del segno dei Gemelli. Mi è sempre stato simpatico, così gli ho dedicato un post. Inutile dire che mi riconosco nelle sue caratteristiche anche se quelle negative mi son guardata bene dallo scriverle!

sabato 16 giugno 2012

A Levaldigi


"Lunga e diritta correva la strada" attraversando i vari paesi che da Cuneo si incontrano in direzione Torino. Alla periferia di Levaldigi spicca l'aeroporto internazionale, che dà un tocco di super-modernità a questa zona assai provinciale della "Granda". Il paese, tuttavia, ha un aspetto statico, come se il tempo, lì, si fosse fermato. Ad avvalorare la sensazione contribuisce questa rivendita di tabacchi, sia per l'insegna esterna, sia per come si presenta al suo interno.


Accanto all'entrata, è posta la lapide ai caduti e ai reduci della Prima Guerra Mondiale di Levaldigi. I fili penzolanti, che alimentano i due fanali laterali all'entrata della rivendita, svolazzano con abbondante lunghezza, incuranti delle vigenti regole degli impianti a norma. Naturalmente entro. Anche all'interno si ripropone un insieme similare all'aspetto esterno. L'olfatto è subito colpito da un forte odore di bollito, anche se sono appena le undici del mattino. C'è il negozio con articoli di prima necessità e il retrobottega, da cui giunge la voce della moglie interrogata sul prezzo dell'articolo che acquisto. Un vero e proprio flashback!
Inutile negare che queste situazioni mi piacciono e mi stuzzicano. Una delle riflessioni che mi sorgono spontanee è: questa libertà, questa italianità è quel qualcosa che i tedeschi ci sollecitano a rimuovere per "adeguarci" ed "allinearci" al passo coi tempi?


domenica 10 giugno 2012

Le espadrillas



Per chi ha superato almeno le 40 primavere, il ricordo vola a quelle estati quando un acquisto era veramente d’obbligo. Ai piedi non potevano assolutamente mancare quelle scarpette di tela, con la suola in corda, arrivate direttamente dalla Spagna: si trattava delle espadrillas.
Le espadrillas o espartena sono una sorta di scarpa di tela con suole di farro o canapa. Viene utilizzata in particolare in Spagna, in Francia e in diverse aree dell'America latina.
L’origine della parola espadrillas è la parola araba albargat, plurale di albarga, ossia che coprono. La loro storia è vecchissima; la loro fabbricazione rudimentale, e la semplicità dei materiali con cui sono fatte, fa risalire le espadrillas ai tempi antichi quando forse erano già usate dai Romani e dai Greci.
I primi riferimenti più specifici si trovano nel Medio Evo. 
La loro origine sembrano essere i Pirenei, ed è testimoniata almeno dal 1322, quando un documento scritto in catalano descrive espardenyes "espadrillas"
Il creatore delle espadrillas appare a Mouléon nel 1850: egli acquista le materie prime, organizza e distribuisce il lavoro a domicilio e raccoglie il prodotto finito che poi vende ed esporta. Secondo un altro documento, già nel 1868 gli emigranti stabiliti in Argentina chiedevano che venissero loro inviate le calzature dal loro paese.
Il suo grande centro di produzione è Mauléon, comune che si trova nella parte nord-est del Paese Basco francese, nello storico territorio di Zuberoa.

foto espadrillas

Le espadrillas sono costruite utilizzando una tela forte, con suole in corda di iuta o di canapa. Sono molto leggere e di buona aderenza al suolo.
I colori, un tempo, non erano molti: nero, rosso, il blu stinto, fino ad arrivare ai più audaci che non disdegnavano le strisce. In realtà già si trattava di un «remake» fashion visto che Picasso aveva indossato quelle calzature. Certo la qualità e i prezzi variavano anche se erano sempre contenuti. Unico inconveniente la pioggia: la suola in corda una volta bagnata poteva portare qualche problema. 
Quest'estate la moda, sempre pronta a riciclare e a riportare in auge le suggestioni del passato, complice anche la crisi economica, rilancia le espadrillas. Le varianti pare siano molte: si va dalle classiche passando per il modello a zeppa, fino alla versione sandalo aperto o chiuso. Non mancano le fantasie caraibiche, le paillette e le immancabili righe. 
Trattasi, dunque, di una scarpa che non passa mai di moda ed ha il vantaggio di essere 100% biologica, poiché tutti i componenti sono naturali.
Unico disappunto: io non sono mai riuscita a portarle! E voi?



sabato 11 febbraio 2012

Come la mettiamo?

Foto scattata a Berlino da Gian Paolo Lanteri

Con una pronuncia esattamente uguale alla nostra, Gian Paolo si è chiesto se i tedeschi conoscano il significato scientifico e figurato ligure del termine besucher. Reso popolare dal personaggio-pupazzo del Gabibbo, a Striscia la notizia su Canale 5, besùgu significa tonto, imbranato, ma indubbiamente in tedesco vuol dire tutt'altra cosa: non conoscendo quella lingua, aspetto che qualcuno di voi me lo traduca, così almeno capiremo che cosa si svolge in quel centro di Berlino!


venerdì 30 dicembre 2011

L'anno bisestile

L'anno bisestile (366 giorni) serve a recuperare le 6 ore circa di cui l'anno civile differisce da quello solare. Fu introdotto per la prima volta dalla riforma giuliana, venne chiamato così perchè i Romani, non volendo per superstizione modificare il mese, pensarono di fare l'aggiunta, anzichè alla fine dell'anno, dopo il sesto giorno antecedente le calende di marzo (23 febbraio) che in tal modo veniva ripetuto due volte, quindi " bis sextus ".  
Pare proprio che non sia possibile rintracciare un autore preciso del motto anno bisesto, anno funesto, e che questa sia una credenza popolare esclusiva delle culture di base romana. 
Secondo alcuni, la malafama del bisesto deriverebbe dal fatto che febbraio era dagli antichi romani vissuto come un mese molto poco allegro: era il mensis feralis, il mese dei morti, quasi completamente dedicato a riti per i defunti e a cerimonie di costrizione e purificazione poiché, secondo il calendario arcaico attribuito a Romolo, si trattava dell’ultimo mese prima del nuovo anno, che nasceva a marzo. A fine febbraio si tenevano le Feralia, celebrazioni solenni in onore dei dipartiti; poi c’erano le Terminalia, dedicate a Termine dio dei Confini, e infine le Equirie, gare di corsa nel Campo di Marte attraverso 12 porte (come il numero dei segni zodiacali) per 7 giri (come il numero degli antichi pianeti). 
Queste gare erano il simbolo della conclusione di un ciclo cosmico, quindi simbolo di morte e di fine; e per tutte le culture il passaggio dal Vecchio (conosciuto) al Nuovo (sconosciuto) è sempre cosa inquietante. 
Uno dei pochi uomini di cultura che mise nero su bianco la sua opinione sugli anni bisestili, fomentando l’inquietudine e la paura, fu nel XV sec. il medico Michele Savonarola, tipetto lugubre e geremiante, degno nonno di Gerolamo. Egli affermò che i bisesti erano nefasti per greggi e vegetazioni; che portavano impennate di epidemie malariche e che erano controindicati per tutto ciò che riguardava l’acqua: quindi niente bagni e cure termali, ma soprattutto attenzione a funestanti diluvi e alluvioni. E altri allegroni, nel tempo fecero notare come i bisesti fossero anche forieri di fenomeni sismici, tirando in ballo la coincidenza dei terremoti di Messina, Belice, Friuli, Armenia, avvenuti tutti in anni bisestili. 
In realtà, l’anno bisestile è considerato funesto solo perché sin dai primordi della civiltà, tutte le cose anomale rispetto alla norma (come le eclissi, le comete, le piogge colorate ecc), venivano considerate di cattivo auspicio; un anno diverso dagli altri era strano, “mostruoso“, e perciò - scatenando le paure irrazionali ed ataviche dette superstizioni - giudicato sicuramente foriero di avvenimenti imprevisti e particolari. Ma oggi sono cose superate. Vero?

lunedì 31 ottobre 2011

Il caso di Maria Toscana "strega di Vallebona" che praticava l'"omfelomanzia" ed i "Sei Indici delle Streghe"

Chi di loro sarà Maria Toscana,
la strega di Vallebona, in arte goodvalley?

L'amico Goran mi segnala l'altro giorno questo articolo preso qui, pubblicato dal mio ex professore di italiano di quinta ragioneria, Bartolomeo Durante. Dire che ha del curioso è poco, ed essendo proprio oggi la festa di Halloween mi pare pertinente postarlo:

Lo strano caso di Maria Toscana "strega di Vallebona" che praticava l'"omfelomanzia*": la punta di un iceberg che va dalle "Streghe di Triora" a Peirinetta Raibaudo di Castelar al mago nero Louis Gaufridy prete di Grasse!
Il grande areale tra Liguria occidentale e Provenza, forse perchè pervaso di relitti di tradizioni pagane di cui non mancano prove, fu caratterizzato da notevoli interventi contro la pratica della stregoneria, che proprio in questo areale si sarebbe manifestata nella varietà delle sue espressioni, quelle ascritte ai "Sei Indici delle Streghe" o propriamente "Maleficarum Indices Sex".
Il caso delle Streghe di Triora è solo il più noto anche se a livello vero e proprio rimangono più emblematici i casi di:
Peirinetta Raibaudo di Castelar, borgo alle spalle di Mentone, e del presunto mago nero Louis Gaufridy prete di Grasse entrambi giustiziati sul rogo dopo un terribile processo.
Tra i tanti altri casi, uno di cui si occupò direttamente il ventimigliese Angelico Aprosio - in stretta collaborazione con il grande e controverso Inquisitore di Genova Passi dal Bosco, fu quello di Maria Toscana presunta strega di Vallebona... accusata di praticare la rara e paganeggiante "scienza" dell'omfelomanzia: un argomento che merita di esser rammentato per ricordare epoche oscure in cui la superstizione primeggiava ed in cui occorre dire che il ventimigliese Angelico Aprosio si destreggiò come vicario dell'Inquisizione con accuratezza e intelligenza assai più di molti altri in Liguria e nel resto d'Italia!

*omfelomanzia o onfalomanzia: Scienza che studia l'ombelico per individuare la personalità di un soggetto, capirne i punti deboli, le mancanze e le carenze, facendo venire alla luce ogni punto oscuro della propria personalità.

Càspita! Oltre a non aver mai sentito parlare di onfalomanzia, mi ritrovo a doverla supporre praticata proprio al mio paese! Questa poi...


sabato 27 agosto 2011

Pubblicità involontaria

Cliccare ed ingrandire per leggere meglio

Alla definizione "formidabile testimonial pubblicitario" va aggiunto l'aggettivo "disinteressato". Lo scrittore Giovanni Ruffini, nativo di Taggia, descrisse amorevolmente e con sincerità la sua terra e ciò divenne strumento di persuasione per gli Inglesi al fine di scegliere come luogo di vacanza la Riviera ligure. Ambientato nel periodo del Risorgimento italiano , il romanzo narra la storia di un medico che soccorre una giovane inglese e se ne innamora, ma Antonio è anche un appartenente ai moti carbonari e deve abbandonare la ragazza per partecipare ai moti anti-austriaci. L'amore e gli ideali ebbero la peggio, ma la "pubblicità" rese ai luoghi fama e frequentazioni. Nel 1937 il romanzo divenne film grazie alla regia di Enrico Guazzoni.
Se si pensa alla contaminazione e sofisticazione della pubblicità odierna, sarebbe davvero nobile utilizzare lo strumento della Letteratura.


venerdì 29 luglio 2011

Fresche idee

Rosa di melone

Cucinare è necessario, indispensabile, vitale. Alla televisione è un continuo bombardamento di ricette, concorsi, imbambolamenti per distrarre da altri problemi e far sì che ci si riempia la pancia e si faccia tacere tutto il resto.
Tuttavia la "manipolazione" degli alimenti stimola la fantasia e la creatività, permettendo alla nostra tavola di assumere piacevoli aspetti, dato che anche l'occhio vuole la sua parte.
La rosa di melone della foto non è opera mia, l'ho scovata sul web, e mi è piaciuta molto. Richiama alla grazia, alla delicatezza ed il mio pensiero ha sintetizzato in quell'immagine l'importanza delle piccole gioie che ci possiamo concedere con molta semplicità. A tavola è tutto un alternarsi di colori e materia a cui rivolgere quel tanto di attenzione che ci renda partecipi anche di ciò che stiamo facendo.
Dedicarsi alla decorazione dei cibi fa bene all'anima e ci aiuta a vivere nel "qui e ora".


domenica 1 maggio 2011

La sostenibile leggerezza dell'essere


Et voila: reduce da un seminario di due giorni, "di quelli che ti rigenerano per un pò", con un calendario che ha visto una pasquetta coincidente con il 25 aprile, la beatificazione di Woytila con il Primo maggio, il concerto di piazza San Giovanni con la musica lirica (finalmente!), ebbene questa suorina rende bene l'idea di come ogni tanto sia sostenibile un pò di leggerezza dell'essere...

Grazie Marlor per la foto.


venerdì 22 aprile 2011

Ragazzi in croce

Simbolo della Croce Azzurra di Vallecrosia (Im)

Oggi è il venerdì Santo, il giorno in cui si rievoca la Passione di Cristo, il suo Calvario, la sua crocifissione.
Ho notato che, oggigiorno, i ragazzi che prestano volontariato presso le sedi della Pubblica Assistenza, alla domanda "Dove sei?" rispondono "Sono in croce". Presa alla lettera è una risposta inquietante, ma sapendo che sono soliti abbreviare, ecco svelato l'arcano.
Sì, tutte le generazioni hanno avuto molti ragazzi/e che hanno fatto l'esperienza del volontariato presso le varie croci rossa, bianca, verde o azzurra e molti di loro ambiscono a far sì che questo diventi un lavoro vero e proprio, riuscendovi.
Buon per loro, con i tempi che corrono. Inoltre, in questo modo, "essere in croce" diventa finalmente un fatto positivo!


mercoledì 13 aprile 2011

Il fiore nero

Pittosphorum Magic Golden

Ho cercato "fiore nero" su di un motore di ricerca e i link riportavano, nella stragrande maggioranza, la famosa canzone dei Nomadi.
Volevo sfatare ciò che si diceva a scuola molti anni fa, ovvero che il fiore nero non esiste. Su di un blog leggo che i fiori neri di per sè non esistono in natura: oggi li fanno con combinazioni chimiche mettendo la melanina di altri fiori.


Questi fiorellini neri ricoprono fittamente i miei pittosforini e... sono propri neri! Non sono un buon segno, perché mi è stato detto che, quando dà luogo a questa fioritura o infiorescenza, la pianta non vivrà più molto. Paradossalmente dovrei dire "poco male", visto che si vende con molta difficoltà, ma per la vita della pianta in sé dispiace sempre tanto.
Gira e rigira, però, qualche fiore nero l'ho trovato...
Guardate un pò:

Veratrum nigra

Tacca o fiore pippistrello

Papavero nero
Orchidea nera a grappolo

Anthurium nero

...e poi questo post Il Giardino Nero dove mi sono scoraggiata nello scaricare tutte le foto di fiori neri che vi sono pubblicate!
E voi, lo sapevate che ne esistono così tanti?


lunedì 10 gennaio 2011

Dipendenza dal web?

Monaci buddisti

Comunque sia, questa foto mi ha rincuorato!


mercoledì 29 dicembre 2010

Le arance di Siviglia

Sitrùi de Valebona - Arance amare di Vallebona

Tra le produzioni agricole di Vallebona spiccava un tempo la coltivazione de A sciùra de sitrùn, ovvero il Fior d'arancio amaro, di cui ne parlai a suo tempo qui.
Non molti anni fa ho scoperto la marmellata di arance amare, che mi è piaciuta oltre misura e che non sapevo esistesse. In questi giorni, "casualmente", mi sono approvvigionata di tali frutti nel circondario in cui vivo, residui di una coltivazione ormai abbandonata e dimenticata e mi sono attivata tramite il web per fare la mia prima marmellata in assoluto, avendo sentito dire, tra l'altro, che sia abbastanza difficile.

Preparazione della marmellata
di arance amare

Con l'entusiasmo (e la fortuna) del principiante mi sono messa al lavoro, riflettendo su questa particolarità: le arance amare sono dette pure "arance di Siviglia" vista la grande presenza di questa pianta in quella località e la marmellata relativa non è mai stata né prodotta, né consumata, come tradizione vorrebbe, dalla gente del posto. La stessa cosa è accaduta al mio paese: i sitrùi venivano raccolti e sbucciati per spedire le scorze alle ditte produttrici di canditi o di liquori, ma di marmellata neanche l'ombra.

Bella, buona e ricca di pezzettoni!

Ma c'è di più. E' risaputo che la popolarità di questo alimento è dovuto agli Inglesi, che la chiamano "marmelade", il che non desta nessuno stupore se non quello che ancora una volta la popolarità di un agrume dipenda da quel popolo, come per i limoni. Tuttavia quel nome, così simile all'italiano "marmellata", nasce in seguito a questo episodio: un carico di arance spagnole non ritirato nel porto di Aberdeen, in Scozia, diede lo spunto a qualcuno, per non perdere il prodotto, di lavorarle con lo zucchero, ottenendo un composto senza nome che piacque molto ad una nobildonna. Il suo cameriere continuava a chiederle: "More my lady?" (ne vuole ancora?) con quel particolare accento scozzese che portò ad attribuire il nome di marmelade a quella prelibatezza.
La storiella è curiosa, ma ciò che mi ha colpito maggiormente è il fatto che un tempo non sprecavano nulla ed ogni cosa era "sfruttata" in ogni suo possibile utilizzo. Come mai né a Siviglia, né a Vallebona hanno mai pensato di produrre una tale bontà?!?


lunedì 29 novembre 2010

Farsi la sciarpa

Molti di noi sono cresciuti vedendo in casa o sui gradini dei carugi solerti mani sferruzzare per dar vita a caldi maglioni di lana, sciarpe, guanti e quant'altro. Oggigiorno, però, è una consuetudine andata in disuso o, per lo meno, non più frequente come un tempo.

La curiosità, quindi, di vedere qualcuno nell'atto di dedicarsi a questa pratica affascina sempre un pò, proprio per quel retaggio che sa di tempi andati e di atmosfere così calde e familiari. La curiosità, poi, raggiunge il suo culmine quando la circostanza riveste caratteristiche così insolite...

E veniamo al dunque. Mi sono ritrovata al Caffè Mentelocale a Genova, nell'androne di Palazzo Ducale, all'ora dell'aperitivo serale e al tavolino a fianco c'era una giovane ragazza, pressoché ventenne, col proprio fidanzato che tranquillamente sorseggiavano la loro consumazione e nel frattempo lei si dedicava al lavoro a maglia per ultimare una sciarpa.
Un'immagine inattesa, in un luogo inatteso, un'età impensabile per dedicarsi a quella lavorazione.
Che bello.


martedì 21 settembre 2010

Il GrandHotel

Copertina di GrandHoltel
del 24 ottobre 1959
Anno XIV° - n. 696 - L. 40

Circa un mese fa, alla discarica comunale di inerti, ho trovato quasi due intere annate di numeri del settimanale GrandHotel, quelli del 1959-60: mi è sembrato un vero e proprio bottino!
Ho subito galoppato tra i ricordi, perchè era la rivista che leggeva assiduamente mio padre e, di conseguenza, tutta la famiglia. Il GrandHotel era proprio bello, ad iniziare dalla copertina, che solitamente riportava un disegno del bravissimo Walter Molino, con immagini che raffiguravano i principali eventi del periodo: a ottobre, infatti, è tempo di vendemmia.

Fotoromanzo tratto dal romanzo
La Signora delle camelie di Alessandro Dumas

Al suo interno il giornale era veramente ricco di argomenti: attualità, mondo dello spettacolo, rubriche, pubblicità, romanzi, fotoromanzi, foto giganti a colori di personaggi di spicco dell'epoca, oroscopo, programmi radio-tv, "i casi della vita", barzellette, "microgiornale", una pagina dedicata all'arredo e una alla cucina, "retroscena", un passo di Storia, insomma tanto da chiedersi, col senno di poi, come facevano a condensare in poche pagine tanti argomenti così.
Il fotoromanzo "storico", in costume, era anche un modo per rendere accessibile alle persone meno colte capolavori della letteratura.

Pubblicità

La pubblicità occupava parecchio spazio: d'altronde il consumismo iniziava il suo impietoso percorso e quello era (ed è) il suo veicolo indiscusso. Mi ha colpito quella della Tissot, che riproduceva modelli di orologio (tra l'altro sempre attuali) di cui beneficiavano puntualmente i "maschi" in occasione della Comunione e Cresima, quale regalo del loro padrino.

La vignetta di Pimpinella la sbruffoncella

Immancabile la vignetta, la cui protagonista era Pimpinella la sbruffoncella, purtroppo non raffigurata su quella di questo numero. Era una ragazzina che sbeffeggiava, però con stile, la cui particolarità era la pettinatura: una coda di cavallo alta che, devo ammettere, quando da ragazza mi legavo i capelli in quel modo, inevitabilemente mi veniva in mente lei.

Utima pagina: E' accaduto

La pagina finale della rivista era dedicata ad un fatto realmente accaduto, raffigurato da Walter Molino. Era quasi sempre riferita ad eventi tragici, come dimostava la piccola icona in alto a sinistra, che dava titolo alla pagina e illustrava un "mondo in rovina".
Il GrandHotel è stato un protagonista della vita di molte famiglie italiane accompagnandole dall'immediato dopoguerra (1946) ai giorni nostri, visto che ancora oggi viene pubblicato, anche se non mi capita più tra le mani da moltissimo tempo.

martedì 14 settembre 2010

Però , 'sti Toscani...

Firenze, Pontevecchio
foto Marco Lorenzi

Per riparare alle "stranezze Toscane" del post precedente, pubblico volentieri questa foto "fresca di giornata" del mio amico Marco Lorenzi. Indubbiamente un'immagine insolita del Lungarno, almeno per me che è già qualche annetto che non vado a Firenze. Mi fa pensare alla Parigi dell'Ottocento e devo dire che dà proprio il senso di un salto nel tempo.
Tra tutte le brutture che solitamente si vedono in riva ai fiumi, ferocemente cementificati e rasati di vegetazione per contenere il fenomeno delle alluvioni, non si può fare altro che approvare questa delicata idea de' Fiorentini...