Rio Batallo
"Il sentiero che portava al vallone era ripido e
impervio, anche se ogni anno mio padre dedicava un po’ del suo tempo al
ripristino dei passi più pericolosi, rimettendo a posto le pietre dei gradoni
che erano state spostate durante l’inverno dai cinghiali o dalle piogge.
Ripercorrendo quel sentiero, che costeggiava tutta la campagna, ritrovo
nell’archivio della memoria il paesaggio perduto mai dimenticato e torno
volentieri nell’alveo del rio Batallo, il piccolo fossato che percorre la
vallata da Bordighera a Negi.
D’estate ci passavamo pomeriggi interi, io per giocare e la mamma
per tagliare le canne e mantenere completamente pulita l’area antistante il
terreno coltivato. Il luogo che prediligevo era il grande masso scavato dall’acqua
e pieno di buche, che riempivo e svuotavo con piccole pietre, legnetti, foglie,
immaginando di cucinare chissà quali prelibatezze.
Protagonista assoluta di
quel mondo, che aveva un non so che di primitivo, era la mamma, che sapeva
svolgere un lavoro di manutenzione esemplare, procurando le canne necessarie al
confezionamento delle stuoie per la floricoltura, quelle per impiantare i
fagioli e i pomodori. Nel contempo tagliava i deboli rovi, le erbe infestanti e
i residui delle canne da bruciarsi a fine lavoro ed io, a poco a poco, prendevo
confidenza con l’acqua che scorreva ed aspettavo che lei finisse di compiere
quella rispettosa opera di dominio sulla natura. Assaporavo il fresco del
carpino, l’albero più grande che avessi mai visto, osservavo le lucertole e
qualche topo ed aspettavo che tutto il suolo fosse ricoperto dalle cortecce di
canna, perché davano un tocco decisamente esotico. Vivevo una dimensione di
assoluta sospensione, di cui ero consapevole e contenta, e non bramavo affatto
di essere, ad esempio, al mare insieme ai miei amici. Quella solitudine nel
gioco e nell’ambiente mi colmava e ogni mia fantasia ricreava all’infinito il
piacere di trovarmi proprio in quel luogo.
Il passare degli anni cancella l’infanzia, il
vallone perde le nostre presenze e l’alluvione sconvolge ogni cosa. Un triste
mattino sento un rombo salire: una gigantesca ruspa gialla interviene per
ripristinare l’alveo e spiana tutto ciò che incontra. Salgono camion per
caricare detriti e portarli via, li
guardo stupita dall’alto delle fasce
e tutto mi sembra surreale, sproporzionato, impossibile. Nel silenzio
dell’abbandono degli ultimi decenni, era come se fossero tornati i dinosauri,
laggiù dove la mamma ed io passavamo pomeriggi esotici."
Pia - novembre 2011 "Racconti in 2.500 battute"
7 commenti:
Bel racconto che mi ha trasportato in ricordi di un mondo analogo. Solo che adesso da me non sono passate le ruspe ma sono cresciuti i rovi, rigogliosi sempre più.
Una bella pagina di ricordi ben raccontata..da una Amica!
Troppi siti devastati come quello, dalle nostre parti, ormai!
bravissima Pia, un quadro antico con un finale moderno...così è, se ci pare!
complimentissimi, sei stata magica!!! ti ho vista giocare da sola, mi hai trasportato nel tuo mondo lontano...
purtroppo oggi i ruscelli sono lasciati incustoditi e poi succedono disastri... buona serata!
Brava, complimenti.
Non esistono più 'e riane d'ina vouta' ed assieme ad altre cose così semplici mi mancano molto.
(Cmq anche quest'anno sono andato a fare due fasci di canne per le piante di pomodoro).
Diagnosi: nostalgia da invecchiamento?!???
Marlor58 No! Era un racconto richiestomi per una rassegna sul Secolo XIX, avente per tema il paesaggio, però il mio "maestro" l'ha bocciato... E allora me lo sono pubblicato da sola!
Grazie a voi tutti per gli apprezzamenti.
Posta un commento