Castellaro (Im) - U Castelà
foto di Mattia Anselmi
"Era
un clemente pomeriggio di primavera ed era perfetto per andare a Castellaro,
anche se il funerale non era certo la motivazione migliore.
Appena
raggiunta l'Aurelia, dopo l'autostrada, la nuova strada e la superstrada, la
mamma guardava il paesaggio, ovvero la collina sottostante il luogo della
nostra méta e mi dice: "Cousa i sun ste sciure gialle? Ina nòva
cultivassiun?"[1] Le
rispondo: "Na, mama, i sun ravaneli e agrete, gh'è tùtu gerbu..."[2] e in quel momento anch'io mi rendevo conto per la prima volta dell'abbandono
che imperversava in quella zona, come in molte altre a ridosso della costa, un
tempo prosperose di fiori di ogni genere.
Risalendo
la collina, i miei occhi cercavano con insistenza il panorama di Taggia,
rischiando continuamente di invadere l'altra corsia e facendomi insultare e
strombazzare dalle vetture che incontravo. Era bella, quell'immagine, colma di
fascino e poesia... vederla così bene ed insolitamente mi catturava l'occhio e
il sentimento. Un tornante mi offriva Taggia, l'altro il fondo valle Argentina
e rimanevo spaesata alla vista di un intricato labirinto di capannoni, palazzi,
strade e controstrade, ferrovia, laminati e cemento.
Castellaro è disteso sul colle, come Perinaldo. Sono paesi in cui la luce è esagerata, inonda ogni dove e lo spettacolo mi colma. E' bello osservare il suo serpeggiare sulla cresta della collina.
Desideravo tanto un
caffè, ma l'unico bar era chiuso per lutto. "Nei paesi siamo tutti
parenti - ho pensato - saranno in lutto per Nino u Basté, così come anch'io
sono qui per lui". Invece no, il morto era un altro, il nonno di 99 anni che,
già che c'era, poteva aspettare ancora un pò e gli avrebbero fatto una bella
festa per i cent'anni ed io mi sarei potuta godere quel caffè tanto agognato.
Avevamo
by-passato la messa: impensabile andare alla chiesa degli Angeli a Sanremo in
Piazza Colombo, troppo casino, troppo traffico per noi anime contadine.
Aspettare davanti al cimitero era la soluzione migliore. Noi eravamo "e
furestre"[3],
venivamo da lontano, dall'altra parte del mondo rispetto a quelli di Castellaro
e ai Baaucògni[4],
visto che Nino era un Boeri purosangue.
Su
quell'unica panchina, silenziosamente ascoltavo i discorsi della gente: il tipo
banfone, le donne bisbetiche, il personaggio più simpatico, il tizio che
rifiutava di sedersi perché era già la seconda volta, quel giorno, che si
faceva la camminata fino al cimitero perché "caminà u fa ben"[5],
fino all'indagine per scoprire come mai quelle "furestre" erano lì al
funerale du Basté.
Poi
tutto scorre. L'arrivo del feretro, la benedizione, la tumulazione, il "piacere"
di rivedere persone che alla fine incontri solo in quelle circostanze, i saluti
ed il rientro.
La
fine dello scopo per cui ci si reca in un luogo spoglia il ritorno del fascino
dell'andata. La realtà riprende i suoi contorni e Castellaro emerge nei suoi
dintorni violentata come tutti gli altri paesi dell'entroterra ligure. La
cittadella col campo golf, lo scempio a Lampedusa, le case brutte e quel fondo
valle diventato ormai un non luogo, perché uguale a troppi altri sparsi
dappertutto.
Rimaneva
solo Taggia, adagiata al suo posto, a consolare l'occhio e l'anima di una
viandante irriducibilmente in cerca di bellezza. Taggia vista da lontano."
[1] Cosa sono questi fiori
gialli? Una nuova coltivazione?
[2] No, mamma, sono rapanelli
e fiori di trifoglio, c’è tutto incolto…
[3] Forestiere
[4] Badalucchesi
[5] Camminare fa bene
Pia Viale, Castellaro, da I racconti della domenica, aprile 2010
2 commenti:
ti rinnovo i complimenti per come fai rivivere al lettore le tue emozioni e per come comunichi le tue osservazioni... mi sei piaciuta!!!
@raggio: ... e gli apprezzamenti fanno bene al cuore!
Grazie raggio!
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